L’11 marzo, in piazza Santa Maria in Trastevere, il Santo Padre Francesco ha incontrato i fedeli della Comunità di Sant’Egidio. La celebrazione, avvenuta in onore del 50esimo anno di attività della comunità, può definirsi un successo. La pioggia incessante infatti non ha impedito ai fedeli di attendere il Vescovo di Roma per rivolgergli un caloroso e sentito tributo.

Tra la folla si potevano scorgere uomini, donne e bambini di molteplici nazionalità ed estrazioni sociali, a dimostrazione del fatto che le intenzioni che ispirano il Pontificato di Francesco sono le medesime che da sempre animano la Comunità. La chiesa dei poveri ha dato così ulteriore dimostrazione di esistere e di operare nell’interesse del prossimo, guardando, naturalmente, alle “Periferie del Mondo”.

Alle 16:30 l’auto sulla quale viaggiava il Pontefice è giunta di fronte all’ingresso della Chiesa di Santa Maria in Trastevere. Ad attenderlo vi erano Marco Impagliazzo e Andrea Riccardi, rispettivamente presidente e fondatore della Comunità. Così, sotto un cielo nuvoloso e una pioggia incessante, al cospetto di Roma, la “città che vive con le porte aperte”, il Presidente Impagliazzo ha ringraziato il Papa per la sua presenza in quella Chiesa, in quella Casa. Ha sottolineato con orgoglio l’intenzione di “non voler tanto guardare agli anni trascorsi, ma al futuro della comunità, una comunità in uscita verso le periferie della città e del mondo”.

Dalle parole del presidente si è potuta percepire, inoltre, quella comunione di intenti che si riassume nel perseguimento del sogno che fu di Papa Giovanni XXIII: “la realizzazione di una Chiesa di tutti e particolarmente dei poveri”. Infine, con commozione e voce tremante:

“abbiamo trovato in lei un Padre e un Fratello, in lei si uniscono paternità e fraternità, mentre la Chiesa ci è madre”

Una volta terminato il discorso di benvenuto la parola è passata al Santo Padre. Le condizioni atmosferiche avverse non hanno scalfito il sorriso del pontefice che ha esordito con una battuta sul maltempo. Dopo un breve ringraziamento ai fedeli la celebrazione è poi proseguita all’interno della Chiesa. Come di consueto il tragitto che porta dall’ingresso all’altare si è dimostrato un momento di comunione e di affetto. Strette di mano, abbracci e benedizioni si sono susseguite per diversi minuti e hanno donato gioia alle centinaia di fedeli che occupavano gli scranni interni della Chiesa.

Carico di significato è stato l’intervento di Mons. Marco Gnavi. Partendo dalla parabola del Buon samaritano e concentrandosi sulla domanda che il dottore della Legge rivolse a Gesù “chi è il mio prossimo?”, Monsignor Gnavi ricorda che “qualche volta a concentrarsi troppo sulla legge o sulla teologia si diventa miopi: non si vede l’altro”. È un chiaro riferimento, e ammonimento, a chi non vede nella Chiesa la casa del prossimo, del sofferente, dell’ammalato, del povero, ma si concentra prevalentemente sulla dottrina e sulla teologia risultando irraggiungibile per i bisognosi. Il messaggio è quindi chiaro: bisogna scendere per strada, aiutare il prossimo e smettere di vedere solo se stessi e il proprio interesse.

Proprio là, per strada, si possono conoscere gli “individui periferici” della società. Quelle persone dimenticate che hanno trovato nella Comunità un amplificatore per la loro voce, altrimenti flebile e impercettibile. Il loro grido di aiuto rappresenta l’incarnazione del lavoro svolto in questi primi 50 anni di attività, e risulta il motore di una collettività determinata a fare sempre di più, sempre meglio.

Questa volta, più di altre, le richieste di aiuto sono pervenute direttamente al Vescovo di Roma. Nella chiesa gremita di fedeli – e al cospetto di Francesco – sono stati chiamati a raccontare le proprie esperienze quattro differenti esponenti della “periferia del mondo”. È importante sottolineare che il termine Periferia nel Magistero di Francesco non risponde a logiche meramente geografiche, ma si inserisce in un quadro più ampio, esistenziale. E allora è facile sentire la voce di Giovanna proveniente dal mondo della terza età; di Laura che rappresenta la gioventù a disposizione del povero; di Jafar, un adolescente siriano che ha conosciuto la miseria, la morte e la guerra; di Mauro, un operatore per la Pace che da anni lotta contro il commercio di armi nei paesi del “Terzo Mondo”. Attraverso le parole di questi ambasciatori della Comunità si è potuta percepire una linea rossa, un filo conduttore: la voglia di avere nella Chiesa una fonte di ispirazione e nel Papa un punto di riferimento fisso e immutabile.

Ed è proprio al Pontefice che Andrea Riccardi – il fondatore della comunità – rivolge un sentito e leale ringraziamento per essere stato una costante fonte di ispirazione nei cinque anni del suo magistero:

“Vorrei dirle […] che da quando con l’Evangeli Gaudium lei ha proposto di uscire per strada, fuori dall’istituzione, fuori dalle sacrestie, fuori dai piani pastorali, fuori dall’autoreferenzialità, dall’egocentrismo, dalla nostra purezza, quando lei ha proposto di uscire, un popolo grande si è messo in cammino. Da quando lei ha proposto di uscire si incontra tanta gente che ha voglia di fare del bene e si trovano risorse ed energie, si trova più amore che rabbia e questo ci dà molta speranza e molta gioia. In questa prospettiva Sant’Egidio non si sente una comunità di perfetti, ma si sente una comunità di popolo, magri piccola, ma senza confini. Una Comunità coinvolta nei dolori dei vicini e dei lontani […] La rabbia e l’egoismo guariscono se andiamo incontro ai poveri. I poveri sono veri maestri della verità della vita, questa è la gioia del Vangelo che proviamo”

Secondo Riccardi, infine, quella di vivere nelle Periferie è una Rivoluzione. Una Rivoluzione possibile. Servendosi di un’espressione coniata dal teologo ortodosso Oliver Clément ha sottolineato che “le uniche rivoluzioni creatrici della storia sono nate dalla trasformazione dei cuori”. L’impegno della Comunità è, pertanto, quello di trasformare i cuori degli uomini sostituendo il sentimento della rabbia con quello della fraternità.

Ultimo, ma non per importanza e profondità, è stato l’intervento di Papa Francesco. Per rendere al meglio l’idea della responsabilità che grava sulla Comunità di Sant’Egidio, il Santo Padre si è servito del Vangelo. Attraverso la Parabola evangelica dei Talenti ha ricordato il difficile compito che spetta a ogni singolo membro della comunità. Tutti coloro che hanno intrapreso questo cammino, infatti, posseggono un Talento:

“anche a ciascuno di voi, qualunque sia la sua età, è dato un Talento. Su di esso è scritto il Carisma di questa Comunità […] che può essere sintetizzato attraverso le tre P: Parola, Poveri e Pace”

Il nostro tempo, però, come ricordato da Francesco, conosce grandi paure di fronte alle vaste dimensioni della globalizzazione. “Le paure si concentrano spesso su chi è straniero, diverso da noi, povero. Si tende a considerare costoro come dei nemici, e allora ci si difende da queste persone, credendo di preservare quello che abbiamo, quello che siamo”.

Tornando alla Parabola dei Talenti, e analizzando l’atteggiamento del terzo servo, il Santo Padre ammonisce proprio coloro che, facendosi consigliare dalla paura, non investono il proprio talento per la costruzione di un futuro migliore:

“l’atmosfera di paura può contagiare anche i cristiani che, come quel servo della parabola, nascondono il dono ricevuto: non lo investono nel futuro, non lo condividono con gli altri, ma lo conservano per sé […] si “truccano” la vita con questo e non fanno fiorire il talento. Se siamo da soli, siamo presi facilmente dalla paura. Ma il vostro cammino vi orienta a guardare insieme il futuro: non da soli, non per sé. Insieme con la Chiesa”

Francesco, come Riccardi, pensa che la Rivoluzione sia possibile. Secondo il Papa, infatti, la Comunità di Sant’Egidio operando collettivamente e accanto alla Chiesa può dare vita alla vera rivoluzione del cuore, la “rivoluzione della compassione e della tenerezza”, l’unica in grado di scacciare dal mondo l’indifferenza e l’inamicizia.

Infine il Pontefice sottolinea il tema della globalizzazione, a lui molto caro e ricorrente sotto diversi aspetti nei suoi cinque anni di pontificato:

“da quando la vostra Comunità è nata, il mondo è diventato “globale”: l’economia e le comunicazioni si sono, per così dire, “unificate”. Ma per tanta gente, specialmente poveri, si sono alzati nuovi muri. Le diversità sono occasione di ostilità e di conflitto; è ancora da costruire una globalizzazione della solidarietà e dello spirito. Il futuro del mondo globale è vivere insieme: questo ideale richiede l’impegno di costruire ponti, tenere aperto il dialogo, continuare a incontrarsi”

Come si è potuto notare vi è una viva convergenza tra la dottrina sociale del Santo Padre e gli obiettivi della Comunità di Sant’Egidio. Abbattere muri, costruire ponti, fondare i rapporti sociali sul dialogo sono, secondo Francesco, quelle caratteristiche che rendono Sant’Egidio una Comunità di artigiani di Pace e profeti di Misericordia.

La rivoluzione dei cuori, oggi, appare più vicina.

William De Carlo per Policlic.it