Cenni storici sul rapporto tra la Romania e la Santa Sede

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L’annuncio ufficiale da parte del Vaticano conferma il viaggio che Sua Santità Papa Francesco effettuerà in Romania dal 31 maggio al 2 giugno 2019. Il Santo Padre, su invito della Presidenza, del Governo e della Conferenza episcopale (cattolica) della Romania, visiterà le città di Bucarest, Iasi, Blaj e Sumuleu Ciuc.

Il portavoce del Patriarcato della Chiesa ortodossa rumena in Bucarest ha espresso entusiasmo per la visita e ha colto l’occasione per rievocare i buoni rapporti che sussistono tra le due comunità. Tali rapporti, già rafforzatisi nel 1999 con la visita di Papa Giovanni Paolo II, sono nuovamente rinnovati con la presenza di Papa Francesco. Le autorità rumene, sia spirituali che laiche, sono inoltre consapevoli del fatto che le relazioni cordiali con la Santa Sede hanno notevolmente contribuito a creare un’atmosfera di tolleranza e di accoglienza umana a beneficio della cospicua comunità rumena in Italia, considerata “ponte di collegamento” tra le due chiese. Allo stesso tempo, in Romania, la Chiesa ortodossa locale, l’unica di lingua e cultura latina tra le comunità ortodosse, ha sempre avuto un approccio aperto e sincero al dialogo ecumenico con il mondo cattolico nel periodo post comunista.

La visita del Santo Padre in Romania riveste un significato particolare per tutti quei cittadini rumeni che hanno stretti legami spirituali con la Santa Sede; pensiamo alla comunità cattolica e greco-cattolica unita con Roma. Secondo i dati ufficiali dell’ultimo censimento risalente al 2011, in Romania si contano 870.774 fedeli cattolici (4,38% della popolazione) e 150.593 greco-cattolici uniti con Roma (0,75%), quindi in totale parliamo di una comunità composta da 1.021.367 persone (5,08%) che riconosce come guida spirituale il Santo Padre [1].

È opportuno sottolineare come la visita, strutturata in una serie di incontri che il Papa avrà con le comunità cattoliche locali, è considerata una missione spirituale importante, tenendo presente l’ardua sfida dell’ecumenismo che ha come obiettivo un riavvicinamento tra le cosiddette “Chiese sorelle”, la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse.

Il popolo rumeno e la Santa Sede nel Medio Evo

I legami del popolo rumeno con il Vaticano risalgono al periodo medievale. È opportuno ricordare alcuni momenti storici.

Nel XIII secolo, durante la dominazione ungherese in Transilvania, in un documento firmato da Papa Innocenzo III del 1205, era menzionata la diocesi ortodossa del “Principe Bela” (Bâlea), presente nella regione. [2] Nel XIV secolo, il principe di Moldavia Laţcu (1367-1375), nel tentativo di far fronte alle pressioni ungheresi e polacche, stabilì a Siret la sua residenza e vi nacque una comunità alle dirette dipendenze di papa Urbano V. [3]

Nel XV e XVI secolo, i rapporti tra i territori rumeni e la Santa Sede furono stimolati dalla lotta comune contro l’espansione ottomana in Europa e dal desiderio del Vaticano di cercare alleati cristiani in una zona direttamente minacciata dal Sultano. Significativo fu, in tal senso, il coinvolgimento di Vlad Tepes (1448, 1456-1462, 1476), Signore dei Paesi rumeni, e di Iancu de Hunedoara (1441-1456), principe di Transilvania e poi governatore e capitano generale d’Ungheria nelle azioni anti-ottomane avviate da Papa Pio II. Nel periodo immediatamente successivo, il 31 marzo 1475, il Signore di Moldavia Stefano il Grande (1457-1504) fu nominato “atleta di Cristo” (Athleta Christi) da papa Sisto IV, in una sua lettera inviata al condottiero dopo la vittoria contro i Turchi nella battaglia del Ponte Alto (10 gennaio 1475). La ripresa delle lotte anti-ottomane da parte di papa Clemente VIII (1592-1605), ex nunzio apostolico in Polonia e dunque profondo conoscitore della realtà della regione, vide in prima linea il principe di Transilvania Sigismondo Bathory (1588-1599, 1601-1602), Aron Voda (1591-1592, 1592 -1595), Signore di Moldavia e il Signore dei Paesi rumeni e Michele il Coraggioso (1593-1601), definito dal Santo Padre “uno dei principi più coraggiosi, più forti, preziosi e saggi del nostro tempo”.[4]

In questo contesto, in un clima culturale dominato dall’Umanesimo e dal Rinascimento, gli interessi del Papato si rivolsero anche alle origini latine e romane del popolo rumeno. I Pontefici Pio II (Enea Silvio Piccolomini), Clemente VI e Clemente VIII confermarono ciò in alcune dichiarazioni. [5] 

 

Situazione confessionale in Transilvania. L’unione con la Chiesa di Roma e le sue conseguenze

Nel 1365-66, Re Luigi I d’Angiò (1342-1382) istituì il primo sistema di struttura organizzativa e di governance del principato di Transilvania. Esso era basato su tre categorie privilegiate (nobili, Siculi, Sassoni) e su un’unica religione “recepta”, quella Cattolica. La religione ortodossa, considerata “scismatica”, era meramente tollerata; alla nobiltà di fede ortodossa era riconosciuto il mantenimento dello statuto nobiliare soltanto previa conversione al cattolicesimo. Ne consegue che la popolazione ortodossa e la relativa nobiltà furono escluse, per applicazione del criterio confessionale, dalla partecipazione al governo della Transilvania. Nel XVI secolo, tale sistema di governance fu definitivamente completato dalla diffusione della Riforma in Transilvania; in questo contesto, nel 1564, la Dieta di Turda ammise tra le cosiddette “religio recepte” le nuove forme religiose protestanti (Calvinismo, Luteranesimo e Unitarianismo). [6]

Durante l’epoca del Principato indipendente (1541-1691), ad eccezione del periodo in cui vari principi della famiglia Báthory promossero azioni nello spirito della Controriforma, sia il cattolicesimo che l’ortodossia dovettero affrontare il continuo “assalto” del calvinismo. La situazione mutò dopo il 1683 con l’espansione Asburgica nella regione. L’entrata della Transilvania nella sfera di influenza austriaca (Trattato di Blaj del 1686 e di Karlowitz del 1699) apportò modifiche nell’assetto organizzativo del vecchio Principato. Anche se all’inizio gli Asburgo confermarono i diritti delle quattro religioni sino a quel momento accettate e quelli delle tre nazioni privilegiate, a poco a poco essi diedero avvio a una politica di restaurazione cattolica. In seguito a ciò, il popolo rumeno inizio a essere attratto dal cattolicesimo e la conseguente organizzazione delle loro nuove chiese. [7]

La nascita in Transilvania della Chiesa rumena Unita con Roma è, ancora oggi, nella storiografia rumena, oggetto di interpretazioni divergenti. Da un lato, vi è chi sostiene che la sua nascita abbia salvato la nazione rumena nello spazio intracarpatico; dall’altro, vi è chi vi vede una capitolazione della stessa a vantaggio del proselitismo papale e di quello Asburgico.[8] Per capire le ragioni che hanno spinto parte del popolo rumeno a unirsi con la Chiesa di Roma, si può prendere come modello l’opinione di un grande storico rumeno, Nicolae Iorga. Egli ha sintetizzato i motivi sociali e politici di quel dato momento storico, ai quali ha aggiunto anche quelli spirituali e psicologici: i rumeni hanno respinto il Calvinismo dei principi e dei nobili dai quali erano sfruttati, e i loro sacerdoti, che versavano in una situazione materiale simile a quella dei servi della gleba, ben accettarono le proposte degli Asburgo dalle quali potevano cogliere “l’inizio di una nuova era di libertà e luce”. [9]

Grazie all’intermediazione dei Gesuiti, i negoziati con i rumeni ebbero alla base l’ammissione dei precetti stabiliti dal Consiglio di Firenze nel 1439: primato papale, filioque (lo Spirito Santo che procede dal Padre e dal Figlio), l’esistenza del Purgatorio e la validità del pane azzimo nell’Eucarestia. Con l’accettazione di queste condizioni, i rumeni erano certi di poter mantenere il loro rito tradizionale, il rispetto delle feste ortodosse, la scelta dei vescovi da parte del Consiglio (successivamente riconosciuti dal Papa e dall’Imperatore) e la parità di diritti con gli altri popoli cattolici. Questi diritti furono inoltre convalidati da due diplomi dell’imperatore (1699, 1701). Questi ultimi, tuttavia, non furono rispettati nella loro pienezza.[10]

Gli studiosi dell’atto di unione con la Chiesa di Roma riconoscono quasi all’unanimità gli effetti positivi dello stesso. In tal senso, molti giovani greco-cattolici ebbero la possibilità di studiare a Roma e in altre prestigiose università cattoliche occidentali. Contribuirono così alla formazione di élite ecclesiastiche e laiche che ebbero un ruolo di primo piano nello sviluppo della cultura rumena, nella formazione della coscienza nazionale del popolo rumeno e nel sostenere il movimento di emancipazione politica e nazionale dello stesso. Nello stesso modo, l’unione con la Chiesa di Roma ha aperto ai rumeni la possibilità di un’emancipazione sociale ed economica, avendo essi la possibilità di accedere alla vita cittadina, ai mestieri, alle professioni e a occupare posti di lavoro nella pubblica amministrazione.

Il successo di questo approccio stimolò inoltre la stessa Chiesa ortodossa, la quale intraprese gradualmente un programma coerente e decisivo a livello sociale, economico, politico e nazionale. Le due entità religiose dei rumeni giocarono un ruolo fondamentale nell’organizzazione e nello svolgimento di tutti gli avvenimenti che contribuirono a marcare la loro storia nella regione storica della Transilvania, partendo da un percorso ben articolato a livello nazionale e arrivando all’europeizzazione e all’attaccamento dei rumeni ai valori occidentali. Tra questi avvenimenti notiamo il Supplex Libellus Valachorum del 1791-92, la rivoluzione del 1848-49, il pronunciamento di Blaj del 1868, il movimento memorandista del 1892-95 e l’unione della Transilvania con la Romania del 1° dicembre 1918. [11]

Dopo la grande unione del 1918, alla Chiesa greco-cattolica è stata riconosciuta, dalla Costituzione del 1923, la cosiddetta “precedenza sulle altre religioni”, unitamente allo status di “chiesa nazionale” dei rumeni insieme alla Chiesa ortodossa. Tutto ciò appare naturale, tenendo presente i meriti storici ma anche il fatto che i fedeli greco-cattolici rappresentavano il 7,9% della popolazione della Grande Romania.

Relazioni diplomatiche con il Vaticano

Nel periodo interbellico, due momenti segnarono la storia delle relazioni tra la Romania e la Santa Sede.

Il 1° giugno 1920 fu istituita una delegazione rumena presso la Santa Sede e pochi giorni dopo, il ministro della Romania presentò le sue credenziali. Nel 1938, la delegazione fu elevata a rango di ambasciata, salvo poi regredire a rango di delegazione nel 1940. Il 10 maggio 1927 fu firmato il Concordato il quale, entrato in vigore il 7 luglio 1929, sancì l’esistenza in Romania di tre riti cattolici – greco, latino e armeno – garantendo ai fedeli libertà religiosa. Le principali disposizioni contenute nel Concordato si riferiscono al libero esercizio della fede, al riconoscimento di personalità giuridica alla Chiesa cattolica di Romania, alla sua capacità di acquisire e amministrare beni immobili, ma anche alla possibilità di istituire e finanziare scuole primarie e secondarie.

Il Concordato, nonostante fosse visto con leggera sfiducia dalla Chiesa ortodossa e dalla società civile, ha senza dubbio contribuito a regolare i rapporti con la Santa Sede, normalizzando le varie confessioni e contribuendo allo stesso tempo a rafforzare il prestigio della Romania all’estero[12]

Rapporti diplomatici con la Santa Sede durante la dittatura comunista

Con l’istituzione del regime comunista in Romania, i rapporti con il Vaticano furono interrotti. Nei primi mesi del 1946, le autorità rumene non accettarono il Concordato con la Santa Sede (Decreto 151/17 luglio 1948) e dichiararono il Papa persona non grata. L’abrogazione del Concordato e l’interruzione dei legami con la Santa Sede furono motivati dalle autorità comuniste attraverso la garanzia della libertà religiosa nella Repubblica popolare rumena. La loro Legge sui Culti confermò il diritto dei poteri laici di intervenire nell’organizzazione della chiesa: il governo si sostituì de facto alle prerogative papali. Il governo di Bucarest, inoltre, con decreto n. 358 del 1° dicembre 1948, mise fuorilegge la Chiesa greco-cattolica. Lo stato prese in consegna i suoi beni e le chiese e le case parrocchiali furono attribuite alla Chiesa ortodossa rumena. Infine, i dirigenti comunisti espulsero, nel luglio 1950, i rappresentanti del Vaticano, interrompendo completamente le relazioni diplomatiche tentando di creare una chiesa cattolica “nazionale”, subordinata allo stato. Il Papa e gli alti prelati cattolici della Romania si opposero e successivamente, dopo la morte di Stalin, l’idea fu abbandonata.

Il 26 maggio 1973, nonostante l’assenza di relazioni ufficiali tra la Romania e la Santa Sede, il leader comunista Nicolae Ceausescu fu invitato presso il Vaticano. L’allora Papa Paolo VI tentò un intervento a difesa dei fedeli greco-cattolici di Romania, ma il tema della discussione irritò Ceausescu, il quale ribadì l’apertura e la libertà religiosa che lo Stato rumeno assicurava alla sua popolazione.

Dopo il 1948, nel periodo della messa al bando e della persecuzione nei confronti della Chiesa greco-cattolica, i vescovi greco-cattolici rimasero fedeli al giuramento alla Chiesa di Roma. Tutti i vescovi, così come molti tra sacerdoti e credenti, conservarono la loro fede greco-cattolica nonostante i duri metodi di uno stato comunista e ateo. Fu una prova di martirio, una prova di tenacia nella resistenza contro il totalitarismo. Fu la lotta volta a difendere uno dei valori fondamentali del mondo contemporaneo, la libertà di coscienza.

L’atteggiamento severo e inflessibile delle autorità comuniste non si rivolse solo contro i prelati e i credenti greco-cattolici, ma anche nei confronti di cattolici e ortodossi che rifiutarono di accettare un regime ateo e oppressivo. Esempi di martirio, durante il periodo comunista, furono personalità ecclesiastiche appartenenti ai diversi culti: Vasile Aftenie, Iuliu Hossu, Ioan Ploscaru, Alexandru Todea, George Guţiu (greco-cattolici), Márton Aron, Anton Durcovici (cattolici), Gheorghe Calciu-Dumitreasa, Bartolomeu Anania (ortodossi). [13]

L’atteggiamento dei preti cattolici, ortodossi e greco-cattolici, i quali, durante la detenzione nelle carceri comuniste, lavoravano e pregavano insieme rifiutandosi di cedere ai dettami del regime, fu considerato un esempio di fraternità cristiana nonché preziosa eredità lasciata alla società rumena attuale. 

 

Ripresa delle relazioni ufficiali tra la Romania e il Vaticano

Con la caduta del regime comunista e il ritorno della democrazia in Romania, le relazioni diplomatiche con la Santa Sede ripresero. Il 28 aprile 1990, il Nunzio Apostolico della Santa Sede presentò a Bucarest le sue lettere di accreditamento e successivamente, l’8 giugno 1993, il primo ambasciatore di Romania presso il Vaticano presentò a sua volta le lettere ufficiali. Inoltre, dal gennaio 1998, la Romania ristabilì una sua vecchia tradizione in base alla quale il nunzio apostolico a Bucarest è anche decano del corpo diplomatico. Inoltre, Nella Romania post rivoluzionaria fu garantito il libero esercizio delle sette diverse religioni presenti. Il Decreto-legge n. 9 del 31 dicembre 1989 del Consiglio del Fronte per la Salvezza Nazionale riconobbe la Chiesa greco-cattolica unita con Roma, abrogando il decreto legge 358/1948 del periodo comunista. Il decreto-legge n. 126 del 24 aprile 1990 ha infine confermato il riconoscimento della Chiesa greco-cattolica Unita con Roma stabilendo la restituzione di tutti i suoi beni fino ad allora requisiti dallo Stato (a eccezione delle proprietà fondiarie). La questione riguardante la restituzione di chiese e case parrocchiali greco-cattoliche in possesso della Chiesa ortodossa rimane tuttora aperta tra le due entità religiose. 

La prima visita di un Papa in un Paese ortodosso

Tra il 7 e il 9 maggio 1999, Papa Giovanni Paolo II visitò la Romania. L’evento fu definito dalla stampa mondiale come la prima visita di un Sommo Pontefice in un Paese a maggioranza ortodossa. L’impatto della visita ecumenica di Sua Santità in Romania fu a dir poco grandioso e lasciò impresso un segno indelebile nella popolazione locale.

I rumeni considerarono Papa Giovanni Paolo II un profondo conoscitore della realtà del Paese per via delle sue origini polacche. Il Santo Padre fu visto dai rumeni come un importante simbolo della resistenza contro il totalitarismo comunista; il suo celebre “non abbiate paura”, rivolto ai polacchi, fu percepito come un appello rivolto agli stessi rumeni, un’esortazione alla dignità umana che ha avuto la sua massima espressione nel 1989, quell’annus mirabilis che ha cambiato del tutto il destino della Romania.

Il fatto che il Santo Padre avesse baciato la terra rumena (gesto di umiltà, lode a Dio per la bellezza della sua creazione, profondo rispetto per il popolo rumeno), definendola con l’espressione “Il giardino della Madonna”, impressionò profondamente e positivamente l’opinione pubblica di questo Paese.[14] I rumeni, indipendentemente dalla loro fede, apprezzarono il fatto che Papa Giovanni Paolo II, attraverso la sua visita, avesse aperto un dialogo interconfessionale basato sul rispetto e l’amore per Dio. L’ammirazione dei rumeni per il Pontefice si poté osservare dal fatto che centinaia di migliaia di fedeli – sia cattolici che ortodossi – lo accolsero, sin dal suo arrivo all’aeroporto, con scroscianti applausi e al grido di “Viva il Papa!”

Questa visita non fu il primo e unico incontro tra Sua Santità Giovanni Paolo II e il Patriarca della Chiesa ortodossa rumena, il Beato Padre Teoctist. I due capi religiosi si incontrarono per la prima volta nel gennaio 1989 in Vaticano, quando in Romania il regime comunista sembrava ancora abbastanza forte. Successivamente, il secondo incontro avvenne tra il 7 e il 14 ottobre 2002, quando il Patriarca Teoctist, su invito di Sua Santità Papa Giovanni Paolo II, firmò in Vaticano una dichiarazione congiunta che esortava all’unità dei cristiani. 

Fonte immagine: www.acistampa.com – L’arcivescovo Ioan Robu di Bucharest e Papa Francesco

Conclusioni

L’eco mediatico per la visita di Sua Santità Papa Francesco in Romania risulta al momento abbastanza sporadico; si considerino, dunque, le dichiarazioni ufficiali a disposizione.

Una prima osservazione da farsi è che la visita del Santo Padre avrà luogo su invito del Presidente, dalle autorità dello Stato e dalla Conferenza dei Vescovi (cattolici) di Romania; quindi la Chiesa ortodossa rumena non compare tra gli organizzatori. Il programma non è ancora definitivamente delineato, tuttavia vi sarà un incontro con il Beato Padre Daniele, Patriarca della Chiesa Ortodossa Rumena. Si percepisce, quindi, l’intenzione delle varie Metropolie della Chiesa Ortodossa Rumena a continuare il dialogo interconfessionale con la Santa Sede.

La visita di Papa Francesco riprende le tematiche aperte da Papa Giovanni Paolo II, amplificandole con il motto “Să mergem împreună!” (Camminiamo insieme). Il desiderio del Santo Padre di entrare in contatto diretto con i fedeli si percepisce dalle visite in diverse città quali Iasi, Blaj e Sumuleu-Ciuc, oltre alla capitale Bucarest.

Prelati e fedeli della Chiesa rumena Unita con Roma (greco-cattolica) auspicano la canonizzazione dei loro vescovi martiri nelle carceri comuniste (Valeriu Traian Frentiu, Iuliu Hossu, Alexandru Rusu, Ioan Balan, Ioan Suciu, Vasile Aftenie e Tit Liviu Chinezu) come riparazione morale e consolidamento spirituale della loro posizione.

L’opinione pubblica vede, nella visita del Santo Padre, l’occasione per unificare le diverse forze, la rinuncia all’egoismo, la priorità del bene comune e il necessario dialogo ecumenico volto a rafforzare fede e unità in un contesto confessionale ancora profondamente diviso.

Luigi Cosma per Policlic.it

 


[1] http://www.recensamantromania.ro/noutati/volumul-ii-populatia-stabila-rezidenta-structura-etnica-si-confesionala/

[2] Bărbulescu, Mihai; Deletant, Dennis; Hitchins, Keith; Papacostea, Şerban; Teodor¸ Pompiliu, Istoria României, Edizione Enciclopedica, Bucarest, 2002, p. 48-50.

[3] Ibidem, p. 159.

[4] Ibidem, p. 164-194, 202-214, 224-20.

[5] Armbruster, Adolf, Romanitatea românilor. Istoria unei idei, II-a edizione rivista e completata, Edizione Enciclopedica, Bucarest,  2012, p. 22-60.

[6] Bărbulescu, Mihai; Deletant, Dennis; Hitchins, Keith; Papacostea, Şerban; Teodor¸ Pompiliu, Istoria României, Edizione Enciclopedica, Bucarest, 2002, p.161-177.

[7] Andea, Avram, Biserica românilor transilvăneni în secolul al XVII-lea și unirea religioasă cu Roma, in Istoria românilor, vol. V, O epocă de înnoiri în spirit european (1601-1711/1716), coord. accademico Virgil Cândea, Edizione enciclopedica, Bucarest, 2003, p. 777-799.

[8] Si veda Câmpeanu, Remus, Biserica Română Unită. Între istorie și istoriografie, Stampa Universitaria Clujana, 2003.

[9] Iorga, Nicolae, Sate şi preoţi din Ardeal, Carol Göbl, Bucarest, 1902, p. 166-176.

[10] Andea, Avram, op.cit, loc cit.

[11] Si veda Istoria românilor, vol. VI, Românii între Europa clasică și Europa luminilor (1711-1821), coord. Paul Cernovodeanu, Nicolae Edroiu, Edizione enciclopedica, Bucarest, 2002; Istoria românilor, vol. VII, tomo I, Constituirea României moderne (1821-1878), coord. Dan Berindei, Edizione enciclopedica, Bucarest, 2003; Istoria românilor, vol. VII, tomo II, De la Independență la Marea Unire (1878-1918), coord. Gheorghe Platon, Edizione enciclopedica, Bucarest, 2003.

[12] Si veda Istoria românilor, vol. VIII, România întregită (1918-1940), coord. Ioan Scurtu, Edizione enciclopedica, Bucarest, 2003; Stirban, Marcel, Problema reglementarii regimului general al cultelor (1922-1928). Etape, proiecte, problem in litigiu / The Problem of a Regulation for the General Regime of the Cults (1922-1928). Steps, Projects, Controversial Issues”, “Babes-Bolyai” University, Cluj-Napoca, 2002. http://www.history-cluj.ro/Istorie/anuare/2002/Stirban%20-%20Problema%20reglementarii.htm

[13] Si veda Comisia prezidenţială pentru analiza dictaturii comuniste din România. Raport final, Bucarest, 2006, https://www.wilsoncenter.org/sites/default/files/RAPORT%20FINAL_%20CADCR.pdf; Mureșanu, Camil, Liniști-se-vor apele?…, în Provincia. Revistă lunară de cultură și politică, anul II, nr. 8-9, agosto-settembre 2001, p. 4-5; Popescu, Adrian, Identitate și universalitate, în Provincia. Revistă lunară de cultură și politică, anul II, nr. 8-9, agosto-settembre 2001, p. 5.

[14] Si veda (ad esempio) Un Papă slav și un Patriarh latin își dau mâna la București. Sfântul Părinte în România, in Adevărul. Ziar național independent, nr. 2773, venerdì, 7 maggio 1999; România unește Apusul cu Răsăritul. Ioan Paul al II-lea și Teoctist – doi arhierei pentru izbânda creștinătății, in Adevărul. Ziar național independent, nr. 2774, sabato 8 maggio, domenica 9 maggio 1999; Vizita Papei în România marchează momentul istoric al întâlnirii dintre ortodocși și catolici după 945 de ani, in Cotidianul, nr. 302 (2347), giovedì, 6 maggio 1999; Pragul spre refacerea unității creștinismului în mileniul III a fost trecut, ieri, la București, in Curierul Național, an X, nr. 2483, lunedì, 10 maggio 1999; Papa a înălțat inimile românilor, in Evenimentul zilei. Cotidian de informație, an VIII, nr. 2086, sabato 8 maggio, domenica 9 maggio 1999.