Sostenibilità ambientale e digitalizzazione

Sostenibilità ambientale e digitalizzazione

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Sostenibilità e fenomeni contemporanei

Il tema della sostenibilità ambientale, connesso a quello della salvaguardia delle risorse e della riduzione dell’inquinamento, è certamente tra i più discussi e urgenti del nostro tempo. Una definizione illuminante a tal riguardo è quella data dal Rapporto Brundtland, un documento pubblicato nel 1987 dalla Commissione mondiale sull’ambiente e lo sviluppo (WCED), in cui la sostenibilità è descritta come quel modello di sviluppo “che soddisfa i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri”.

Ciò che risalta è che tale definizione, più che considerare unicamente il tema ampio e complesso dell’ambiente, da una parte prende in considerazione l’equilibrio dell’ecosistema del nostro pianeta e il mantenimento delle sue risorse; dall’altra, mette bene in luce il ruolo della responsabilità, individuale e collettiva, per il mantenimento dell’equità inter-generazionale. La sostenibilità, dunque, è strettamente connessa al rispetto dell’ambiente e all’impatto che le azioni individuali hanno sullo stesso. 

L’obiettivo che il presente elaborato si prefigge è quello di indagare come questi princìpi generali trovino applicazione nella realtà contemporanea del nostro Paese, alla luce dei sempre più rapidi processi di digitalizzazione e innovazione tecnologica che investono tanto i prodotti di consumo quanto gli stessi processi produttivi. Tale analisi trova un riscontro ancora più attuale se si pensa a come la nostra realtà, investita dalla pandemia di COVID-19, si sia rivelata del tutto dipendente dalla tecnologia e subordinata alla digitalizzazione della maggior parte delle attività di quotidiano svolgimento. Va anche considerato che il fenomeno pandemico ha certamente evidenziato delle criticità, dei paradossi e dei dubbi sulla tenuta del sistema liberal-consumistico cui buona parte degli Stati erano soliti fare affidamento. La nostra economia, che si basa su consumo di beni e fruizione di servizi, ha subìto un profondo shock nelle proprie direttici, sebbene un tale effetto sia già stato annunciato e avviato dalla – seppur lenta, specialmente in Italia – digitalizzazione dei comparti produttivi e amministrativi degli Stati, già precedente al coronavirus. In contemporanea a questo fenomeno, si sono fatte sempre più urgenti, da un lato, la questione della tutela del patrimonio ambientale e dell’ecologia, e dall’altro quella del sostegno alle società in un’ottica di inclusione e sostenibilità.

Utile ai fini dell’analisi sarà inoltre un breve excursus volto a esaminare gli aspetti salienti degli strumenti operativi di tale trasformazione storica rispetto all’impatto che questi hanno concretamente sull’ambiente. Si approfondirà infine lo stato dell’arte delle politiche di governo sui finanziamenti per la digitalizzazione e la competitività del settore produttivo italiano degli ultimi anni, con delle riflessioni critiche su tale operato e sulle sfide che attendono il Paese sul tema ambientale.


La digitalizzazione è davvero sostenibile?

Le nuove tecnologie digitali sembrano avere impatti sempre più positivi sulla sostenibilità ambientale, e la percezione comune di consumatori, produttori e decision-maker è che i prodotti digitali siano più ecologici di altri. Le moderne tecnologie, mirate all’ottenimento di obiettivi produttivi sempre più efficienti ed ecologicamente innovativi, sono state in grado di modificare nettamente le capacità produttive e logistiche connesse con il funzionamento dell’economia mondiale. Ma non solo: la rivoluzione sta anche nella loro capacità di influenzare i comportamenti individuali, scardinando talune abitudini e sostituendole con altre.

La digitalizzazione ha, per molti aspetti, un effetto certamente positivo in termini ambientali. Vengono infatti abbattuti molti processi connessi alla produzione, al consumo e dunque alla diffusione di beni fisici. Si pensi, ad esempio, alla forte riduzione nell’utilizzo della carta. Anche nei comparti aziendali pubblici e privati, nelle amministrazioni, la comunicazione virtuale abbatte lo spreco di risorse materiali, evita di danneggiare l’ambiente aumentando l’efficienza e la rapidità delle azioni e, infine, riduce gli stessi spazi fisici utilizzati per lo svolgimento di tali attività, cui sono connesse tutta una serie di risorse (come l’elettricità, i prodotti di cancelleria, il mobilio, ecc.).  Si pensi poi a come la virtualizzazione delle attività abbatta anche i confini fisici e geografici tra persone, riducendo gli spostamenti e, anche qui, l’uso di risorse ad alto impatto ambientale utilizzate a tal fine. Quello dei trasporti è uno dei temi più spinosi. I combustibili fossili utilizzati per i trasporti contribuiscono drammaticamente alle emissioni globali. A tal riguardo, sono sempre più numerose le aziende che sviluppano sistemi innovativi atti a ridurre o monitorare tali emissioni[1].

Ogni settore economico è investito dai benefici apportati dalla digitalizzazione e dall’innovazione tecnologica, anche quello dell’agricoltura. L’iniziativa EIP-AGRI, ad esempio, lanciata con la strategia Europa 2020, è stata costituita allo scopo di aiutare il settore agro-forestale a migliorare la propria produttività, sostenibilità e capacità di affrontare le sfide attuali, in particolare rispetto al cambiamento climatico e alle sempre più severe norme ambientali. In quest’ambito, molte sono le best practices condivise tra Paesi membri e le iniziative atte a diffondere maggiore consapevolezza e conoscenza sul tema.

Tutto questo trasforma rapidamente le nostre abitudini e ci consente di aspirare a standard di vita sempre migliori. Tuttavia, affinché l’ecosistema benefici realmente di queste trasformazioni, restano fondamentali le singole azioni individuali.  È fuor di dubbio che uno dei cambiamenti più significativi del sistema economico del XXI secolo sia l’attenzione sempre maggiore posta dalle imprese verso la sostenibilità ambientale. Eppure, spesso si assiste a una forte divergenza tra ciò che il consumatore (o l’opinione pubblica) generalmente desidera e le sue azioni concrete. Ma si assiste a una sorta di paradosso anche quando si fa riferimento al lato dell’offerta, che potremmo definire “the dark side of technology“.

Le tecnologie, presentate sempre come quella trovata rivoluzionaria ed eco-sostenibile capace di sovvertire radicalmente le sorti della questione ambientale, possiedono considerevoli aspetti negativi, di cui spesso si omette di parlare e su cui le istituzioni nazionali ed europee dovrebbero insistere per trovare concrete soluzioni. Tra questi aspetti negativi figura, ad esempio, la tracciabilità: le ripercussioni ambientali legate alla digitalizzazione sono molto difficili da individuare e misurare e, per questo, potenzialmente pericolose. Inoltre, durante le fasi di produzione, distribuzione, utilizzo e smaltimento degli strumenti (hardware) digitali, vengono introdotte in natura sostanze altamente inquinanti. Viene impiegata infatti una grande quantità di energia e risorse per far operare tali sistemi ad alta tecnologia, come per la loro costruzione (estrazione delle materie prime e fabbricazione dei componenti). A tal riguardo, i materiali che compongono tali sistemi sono spesso molto rari o dannosi per l’ambiente: combustibili fossili, materiali tossici, minerali rari (e una considerevole quantità di acqua). In più, una volta costruiti, i dispositivi finali vengono trasportati per lunghe distanze, in imballaggi piuttosto robusti e altrettanto inquinanti, che andranno poi smaltiti. Per ciò che concerne l’utilizzo, invece, questi hardware hanno un ciclo di vita molto breve e sfruttano considerevoli quantità di elettricità, rilasciando gas, fumi e inquinanti di varia natura. Di tali strumenti, solo l’hardware può avere una seconda fase di utilizzo, mediante il riciclo. Si possono infatti recuperare, dopo una lunga serie di processi, solo le materie prime secondarie che compongono lo strumento. Tuttavia, se la struttura interna dei dispositivi è complessa, il recupero delle materie prime secondarie sarà altrettanto difficile e questo rende il corretto smaltimento un processo multifase, lungo e molto costoso[2]

In sintesi, le tre grandi conseguenze delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT) sono: depauperamento di risorse non rinnovabili, riscaldamento globale e inquinamento. Per fornire alcuni dati, “nel 2008 l’ICT ha contribuito per il 2% delle emissioni globali di CO2, nell’ultimo decennio tale contributo è triplicato e si stima che nel 2040 si arriverà al 14% (a fronte di un contributo del 20% del settore trasporti, sostanzialmente stabile nel tempo)”[3]. Ricoprono un ruolo centrale di impatto negativo gli smartphone, considerando il tasso di crescita nel consumo e la rapidità di sostituzione[4].


Piano Industria 4.0: per una transizione ecologica del sistema produttivo italiano

L’obiettivo degli ultimi anni è stato quello di promuovere un nuovo modello di sviluppo economico che garantisse competitività alle imprese italiane e al Paese intero, agendo in linea con i valori della sostenibilità, anche di stampo europeo. Alla luce dell’evidente aggravarsi del degrado ambientale e dei cambiamenti climatici, conseguenza di uno sviluppo industriale incontrollato, sembra chiaro che le istituzioni debbano ricoprire un ruolo di guida fondamentale. In questa direzione si muove il Green Deal europeo, presentato dalla Commissione von der Leyen nel dicembre 2019 come una priorità assoluta dell’UE. Nello specifico, questa sarà una strategia – un insieme di misure e normative – da realizzarsi nei prossimi trent’anni per rendere più sostenibili la produzione di energia e lo stile di vita dei cittadini europei[5]. Lo strumento operativo del Green Deal europeo sarà il Next Generation EU. Con l’obiettivo di ridurre del 55% le emissioni di gas a effetto serra entro il 2030, il 37% dei fondi derivati dal Next Generation EU saranno destinati agli obiettivi climatici in linea con il Green Deal. In più, stando alle parole del Commissario europeo per l’Economia Paolo Gentiloni, il 30% dei 750 miliardi del Next Generation EU deriveranno da green bond (obbligazioni verdi) al fine di coinvolgere anche il mercato finanziario nella transizione ecologica. Questo renderebbe il Next Generation EU “il più grande pacchetto per lo sviluppo sostenibile che esista sul mercato”.

Oltre al ruolo chiave dell’UE, appare evidente come esista una responsabilità sociale diffusa in tema di produttività economica, gestione delle risorse, consumi sostenibili e tutela ambientale, in un contesto di inarrestabile trasformazione tecnologica come quello contemporaneo. Per ciò che concerne il tema qui trattato, la responsabilità sociale d’impresa è proprio quella branca dell’economia che si occupa delle strategie e dell’aspetto valoriale ed etico interno a una struttura produttiva. A tal proposito, nel 2018 Confindustria ha stilato un Manifesto sulla responsabilità sociale d’impresa. Parlare di innovazione applicata alle imprese non implica solo adozione di tecnologie avanzate nei processi di produzione, ma anche lo sviluppo di comportamenti aziendali nei confronti dell’ambiente, come il risparmio energetico, la tutela del territorio, nonché elementi di sostenibilità sociale, come la formazione dei giovani e dell’intera società.

Questi sono tutti aspetti legati all’innovazione, alla governance economica e alla responsabilità sociale d’impresa. Ma sono anche i pilastri di Piano Industria 4.0, un piano nazionale di sviluppo industriale – avviato già dal 2017 – che pone le basi della “quarta rivoluzione industriale”. Tale modello in costante evoluzione collega in modo dinamico tutti quei processi di produzione fisica attraverso dispositivi ad alta tecnologia e stabilimenti produttivi interconnessi. Industria 4.0 consiste proprio nell’utilizzare l’Internet of Things (IoT) al fine di integrare i processi di business e quelli produttivi, permettendo alla produzione di essere flessibile, efficiente ed ecosostenibile, con un’attenzione specifica alla qualità del prodotto e alla riduzione dei costi. Un aspetto che va tuttavia sottolineato è la grande responsabilità che viene attribuita al singolo, in questo caso l’imprenditore. Il successo di questa strategia dipenderà infatti dall’ampiezza con cui ogni singolo imprenditore utilizzerà le misure messe a disposizione dal Governo.

Le quattro rivoluzioni industriali (Fonte: ChristophRoser/Wikimedia Commons)

La svolta sempre più ecologica di tale progetto – rinominata Transizione 4.0 – è iniziata nel 2019 ed è stata portata avanti dal Ministero dello Sviluppo economico in partnership con associazioni che rappresentano le imprese italiane. Ha l’obiettivo di avviare un confronto sui risultati raggiunti negli ultimi anni dalle misure realizzate dal Piano Industria 4.0[6], migliorare gli strumenti già esistenti e individuare un nuovo assetto che possa supportare PMI e grandi imprese verso una transizione tecnologica che premi lo sviluppo della green economy. Nell’ottica di incentivare gli investimenti per la formazione, l’innovazione e la trasformazione tecnologica, l’Internet delle cose risulta lo strumento primario, che non esclude tuttavia elementi più orientati alla sostenibilità sociale e a contesti di sviluppo umano votati all’inclusività e alla resilienza.


Le misure del Governo: manovre, criticità e prospettive future

La quarta rivoluzione industriale insiste dunque sulle cosiddette “tecnologie abilitanti”, utili a far fare un salto di qualità nella produttività ed efficienza delle diverse attività economiche e produttive del Paese[7]. Prima ancora che le condizioni economiche si aggravassero a causa della pandemia di COVID-19, tutto il tessuto industriale italiano presentava segni di arretratezza in termini di innovazione e capacità di investimento in settori chiave come la digitalizzazione. Questo riguarda in particolare le piccole e medie imprese, che rappresentano il tessuto produttivo del nostro territorio. Stando a un rapporto del MiSE su Industria 4.0, sono proprio le microimprese, spesso a conduzione familiare, ad avere beneficiato di agevolazioni in questi ambiti[8].

Nel corso degli anni, il Piano è stato via via modificato dalle manovre del Governo con un focus sempre più stringente proprio sul ruolo degli imprenditori e sul sostegno alle PMI.
Con la legge di bilancio per il 2020 sono state individuate diverse e interessanti tipologie di incentivo e misure di sostegno nel settore tecnologico, dell’innovazione e della sostenibilità (sociale e ambientale). È utile accennare in particolare ai crediti d’imposta per le spese in ricerca, sviluppo, innovazione e design, per la formazione 4.0 e per investimenti in beni strumentali.

Il primo, ovvero il Credito d’imposta R&S, è una misura attivata già dalla legge di bilancio del 2015 e poi potenziata nel 2020, che mira a sostenere le imprese negli investimenti in innovazione tecnologica, ricerca industriale e sviluppo sperimentale, al fine di garantire competitività alle imprese manifatturiere e “favorirne i processi di transizione digitale e nell’ambito dell’economia circolare e della sostenibilità ambientale”. La misura del Credito d’imposta Formazione 4.0 ha invece il fine di sostenere lo sviluppo tecnologico e digitale delle imprese attraverso la formazione in determinati ambiti strategici[9]. Infine, il Credito d’imposta per investimenti in beni strumentali, già noto come Super/Iper-ammortamento dal 2017, ha l’obiettivo di incentivare gli investimenti in beni strumentali nuovi, materiali e immateriali. Connessa al Credito d’imposta in beni strumentali è la Nuova Sabbatini, una misura che è stata potenziata con la scorsa legge di bilancio e che già dall’estate 2019 presenta una procedura semplificata, rispetto a quella originaria, per la richiesta di erogazione di fondi per favorire ulteriormente gli investimenti ecosostenibili da parte delle PMI. Si tratta di un bonus destinato alle imprese di tutti i settori produttivi, comprese agricoltura e pesca: l’investimento si materializza in operazioni di acquisto o leasing finanziario di impianti e macchinari nuovi (nonché software e tecnologie digitali) a uso produttivo e a limitato impatto ambientale, tanto rispetto al prodotto quanto al processo produttivo in sé. Ulteriore novità introdotta dalla Nuova Sabbatini è stata la maggiorazione del contributo a favore di PMI che investano in tecnologie di Industria 4.0 nel Mezzogiorno, nello specifico nelle Regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia.

Concludendo sul tema, la legge di bilancio 2021 rimodula gli incentivi di Industria 4.0 e ne rafforza i contenuti. In particolare, il documento di programmazione aumenta il Credito d’imposta per investimenti in beni strumentali e in beni immateriali (software) 4.0, ma aumenta considerevolmente anche il Credito d’imposta in R&S, Innovazione e Formazione 4.0, di fatto confermando appieno la strategia del Governo degli anni precedenti. In più, il Ministero dell’Ambiente ha indicato talune priorità che si sviluppano su quattro pilastri principali: “le infrastrutture per l’ambiente; il supporto alle imprese virtuose o che vogliano incrementare la sostenibilità dei loro processi produttivi e delle filiere; la transizione ecologica con uno sguardo specifico all’economia circolare; il potenziamento delle azioni di contrasto ai cambiamenti climatici”.

Sul fronte della produttività sostenibile, iniziative concrete sono ad esempio le Zone Economiche Ambientali (ZEA) nei parchi nazionali: una serie di agevolazioni fiscali, vantaggi economici e misure di sostegno per la viabilità elettrica e l’efficientamento energetico indirizzate a chiunque viva o voglia vivere, lavorare o fare impresa, nei parchi nazionali e nei Comuni in essi compresi.

Sul fronte economico, ancora, sono previsti gli ecobonus per la riqualificazione energetica e le ristrutturazioni, oltre al bonus mobilità. Per il settore della finanza nasce poi la piattaforma per la certificazione ambientale per la finanza sostenibile, uno strumento di stampo europeo, disponibile per pubblici e privati e utile a incentivare flussi di capitale verso investimenti sostenibili sia dal punto di vista economico che sociale[10].

In aggiunta, va considerato che l’Italia riceverà circa 208 miliardi di euro dal Recovery Fund, la quota maggiore tra i Paesi membri. Con circa 81 miliardi utilizzabili a titolo di sussidi, cui si aggiungono 127 miliardi di euro di prestiti, l’Italia dovrà presto presentare nelle sedi europee (Commissione e poi Consiglio) un Piano nazionale per la ripresa e la resilienza che consenta di definire un progetto di riforme e investimenti che copra il triennio 2021-2023.

Una spinta verso obiettivi più ambiziosi viene da Legambiente, che critica le tempistiche con cui l’Italia sta rispondendo a tale Piano, oltre ai contenuti insoddisfacenti della nuova legge di bilancio, dove non compare ad esempio l’entrata in vigore, molto attesa, della cosiddetta plastic tax, né una misura che avvii il percorso per abolire le fonti fossili. Il rinvio di tali misure rappresenta un pessimo segnale da parte del Governo. In linea generale, contributi, esenzioni, rinvii fiscali e bonus paiono iniziative utili ma non sufficienti per la reale ripartenza del Paese. Ciò che più scontenta, inoltre, è il notevole ritardo con il quale si stanno affrontando le sfide centrali del Recovery Plan, la maggior parte di queste finanziabili attraverso lo strumento del Next Generation EU[11]. Delle proposte significative in tema di sostenibilità potrebbero essere quelle che incentivano concretamente l’economia circolare, ad esempio riducendo l’IVA sui prodotti da riciclo, sulla sharing mobility o sui generi alimentari a base vegetale. Inoltre, una reale transizione da parte delle imprese, oltre che attraverso le misure legate alla digitalizzazione dei processi per la loro competitività, si otterrebbe sostenendo il mercato delle materie di recupero e assicurando standard ambientali minimi in tutte le gare d’appalto pubbliche.

Ulteriori e aspre critiche vengono anche da ASviS (Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile) che sottolinea l’insufficienza delle misure varate dal Governo per il 2021, sebbene in linea con la strategia di Industria 4.0, e insiste sull’urgenza di un programma più incisivo e coerente con il Green Deal europeo. Il Governo dovrebbe impegnare maggiori risorse utili non solo a proteggere ma soprattutto a promuovere e trasformare il sistema socio-economico del Paese. Si insiste ancora una volta sul concetto di sostenibilità sociale e inclusività, aspetti imprescindibili per un reale benessere collettivo, da realizzare attraverso misure di contrasto alle disuguaglianze, economiche come di genere, entrambe in rapida crescita a causa del drammatico impatto della pandemia sulle collettività più emarginate. Anche ASviS ha esortato il Governo con una serie di proposte in tema di sostenibilità, come la creazione di un Istituto per gli studi sul futuro e la programmazione strategica, che adotti visioni strategiche di lungo periodo nel settore ambientale e cooperi con il Governo nella realizzazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza. 

Fonte: geralt/Pixabay


Quanto si spendono le forze politiche italiane sul tema ambientale?

Ciò che appare più evidente, a un’analisi delle attività governative recenti e – allargando lo sguardo – dei programmi politici dei partiti italiani, è la scarsa attenzione ai temi ambientali, soprattutto se comparata ad altri Paesi dell’UE, molto più sensibili e proattivi. A partire dai programmi per le elezioni del 2018, e poi con la campagna elettorale per le europee del 2019, risulta che nessun partito si sia speso concretamente per il tema ambientale, se non con dei richiami a principi generici dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite, cui non ha fatto seguito alcun piano d’azione. Al netto di ciò, si rilevano comunque alcune differenze.

Nel programma elettorale del centrodestra, ad esempio, la presenza del tema è abbastanza ridotta. Per ciò che concerne nello specifico la Lega, risultata vincente dalla precedente tornata elettorale, vi è addirittura una totale assenza di un programma nazionale; si ha solo un generico rimando ai punti del MENL (Movimento per un’Europa delle Nazioni e della Libertà), gruppo di partiti sovranisti europei, che tuttavia non ha presentato proposte di merito particolarmente incisive.

Maggiormente legate ai programmi di stampo europeo e con proposte più ambiziose risultano le forze politiche di centrosinistra (PD, Liberi e Uguali, Insieme, +Europa, Verdi), che includono nei propri programmi azioni quali la strategia energetica nazionale, mirata a un incremento della produzione di energia da fonti rinnovabili pari al 28% entro il 2030; il potenziamento della raccolta differenziata e dei sistemi di riciclo; la riduzione delle emissioni di CO2; la lotta alla cementificazione selvaggia e la riqualificazione delle città; infine, tra le misure più urgenti, la decarbonizzazione e la rinuncia ai combustibili fossili entro il 2025. Anche il tema della sostenibilità sociale sembra essere maggiormente presente rispetto alla coalizione di centrodestra, trattando di principi più coerenti con i temi dell’inclusività, dell’accoglienza e della emancipazione per ciò che concerne disuguaglianze e divari socio-economici.

Anche per il M5S vi sono delle criticità: l’Agenda 2030 non sembra essere stata presa in considerazione come riferimento per una politica ambientale e sociale di grande impatto. Al più, l’attenzione maggiore è stata rivolta alle energie rinnovabili, all’occupabilità del settore, al tema delle microplastiche e della tutela del sottosuolo e al potenziamento della mobilità sostenibile. Tutto questo sembra però perdere di rilevanza dal momento che nel programma per la tornata elettorale del 2018 il M5S è stato accusato di plagio. Sembra infatti che la maggior parte dei contenuti siano stati addirittura copiati da Wikipedia, Legambiente e da fonti risalenti al Partito Democratico. Un elemento che sconcerta e che porta a ritenere inaffidabili e poco lungimiranti le forze politiche che, pur beneficiando di un bacino consistente di voti, non prestano la giusta attenzione ai temi più urgenti del nostro tempo.

Per concludere, si rileva la mancanza di un approccio corale ed efficace da parte delle forze politiche italiane, con rimandi scarsi e insufficienti ai programmi europei e a dei piani d’azione che facciano seguito. Ancor di più, manca una visione di lungo periodo di stampo nazionale, sebbene alcune forze politiche si siano impegnate più di altre per la sostenibilità dei programmi economici futuri nei propri impegni elettorali.

Una cultura ambientale diffusa è ormai una condizione essenziale per lo sviluppo economico, a partire dalla società, fino alle istituzioni, le imprese e, naturalmente, tra gli stessi consumatori uti cives. Qualora nel prossimo futuro dovesse effettivamente aumentare l’attenzione posta verso l’ecologia, la tecnologia digitale potrebbe fornire degli strumenti importanti per l’innovazione e la competitività. Solo attraverso la cultura, la sensibilizzazione e lo stimolo continuo verso politiche sostenibili potranno emergere delle trasformazioni significative del Paese, a discapito di evoluzioni tecnologiche, anche allettanti da un punto di vista tecnico, ma non necessariamente ecologiche o addirittura potenzialmente dannose per il pianeta. 

Con una digitalizzazione quasi forzata dei comparti economici del Paese e con l’urgenza di una strategia complessiva che rivoluzioni le direttrici strutturali del sistema produttivo italiano, la responsabilità individuale, come quella istituzionale, devono agire sempre di più come bussola che indichi la via della sostenibilità, condizione ormai essenziale per lo sviluppo di un’equità intergenerazionale e per la tutela del nostro patrimonio naturale e sociale.

Camilla Zecca per www.policlic.it


Note e riferimenti bibliografici

[1] Si pensi a Ericsson, Telia ed Einride, che hanno sviluppato una tecnologia che utilizza il 5G per collegare veicoli completamente elettrici e automatizzati, riducendo o eliminando emissioni nocive. Il 5G appare in tal senso un fattore chiave per il trasporto sostenibile, utile a fornire connettività e affidabilità per l’automazione su strada. Ancora, un esempio è EcoNOx, un sistema sviluppato da Altran per ottimizzare le emissioni di ossidi di azoto da veicoli con motore a combustione. Il programma è costituito da una rete di sensori installati nel veicolo che monitora emissioni, condizioni ambientali, diversi parametri del motore a combustione e di guida. Le innovazioni tecnologiche sono numerose anche rispetto al monitoraggio e alla salvaguardia ambientale. Anche qui, tra i possibili esempi può essere citato il sistema Digital Owl di Fujitsu, una soluzione che combina l’uso di droni autonomi con soluzioni di riconoscimento di immagini e intelligenza artificiale applicate al riconoscimento di specie in via di estinzione in aree naturali di difficile accesso. Si veda How digitalization can help the environment, DigitalES, maggio 2020.

[2] Per un approfondimento si veda G. Sissa, L’impronta ambientale dell’ICT: ecco l’impatto dei nostri device sul Pianeta, in “Agenda Digitale”, 24 giugno 2019.

[3] Ibidem.

[4] Ibidem.

[5] L’ambizione è quella di “trasformare l’UE in una società giusta e prospera, dotata di un’economia moderna, efficiente sotto il profilo delle risorse e competitiva, che nel 2050 non genererà emissioni nette di gas a effetto serra e in cui la crescita economica sarà dissociata dall’uso delle risorse. Essa mira inoltre a proteggere, conservare e migliorare il capitale naturale dell’UE e a proteggere la salute e il benessere dei cittadini dai rischi di natura ambientale e dalle relative conseguenze. Allo stesso tempo, tale transizione deve essere giusta e inclusiva”. ASviS, Obiettivi di sviluppo sostenibile e politiche europee. Dal Green Deal al Next Generation Eu, Quaderni ASviS, 2020, 1, p. 31.

[6] Oggi chiamata Impresa 4.0.

[7] Qui un approfondimento.

[8] Ibidem.

[9] Big data e analisi dei dati; cloud e fog computing; cyber security; sistemi cyber-fisici; prototipazione rapida; sistemi di visualizzazione e realtà aumentata; robotica avanzata e collaborativa; interfaccia uomo macchina; manifattura additiva; internet delle cose e delle macchine; integrazione digitale dei processi aziendali. Sul punto si veda la Circolare 3 dicembre 2018 del Ministero per lo Sviluppo economico.

[10] Vi sono poi ulteriori misure sul fronte della tutela ambientale che riguardano per la prima volta l’incremento del fondo per il sistema nazionale delle aree protette e un aumento dei controlli e della vigilanza del mare, oltre a un incremento del fondo di contrasto al dissesto idrogeologico; un’altra misura certamente utile riguarda poi il finanziamento del fondo per la qualità dell’aria.

[11] Per un approfondimento si veda M. Leone, Next Generation EU: necessaria un’autorità indipendente anche per il Recovery Plan italiano, in “Eurobull”, 19 ottobre 2020.

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