“Dedicato a voi” – Una lettera per i lettori di Policlic

“Dedicato a voi” – Una lettera per i lettori di Policlic

“Cari lettori”,
per la prima volta mi trovo a rivolgermi direttamente a voi per potervi raccontare una piccola storia, la
mia storia.
Questa sorta di “editoriale” è per me il primo, ma allo stesso tempo diventa anche l’ultimo scritto per questo progetto: dopo più di sei anni, infatti, il mio lungo viaggio con Policlic finisce con queste parole e con un ultimo articolo – attualmente in lavorazione e che verrà pubblicato prossimamente – con cui si concluderà il lavoro di
“Critica al Wilsonismo”, il ciclo di approfondimenti analitici dedicato alla storia politica statunitense.
Nel ripercorrere tutto quello che è avvenuto in questi anni, tra i successi individuali e di squadra ed i momenti più difficili e turbolenti vissuti all’interno di Policlic, provo un insieme di emozioni tra loro contrastanti mentre sto per congedarmi da voi, cari lettori, che avete avuto modo di leggermi in tutto questo tempo.
Non immaginavo che alla fine sarebbe giunto il momento di prendere commiato da un progetto d’in-formazione per il quale ho avuto modo di scrivere e lavorare così a lungo.
Una decisione alquanto sofferta, soprattutto se ripenso a tutta la strada percorsa con impegno, passione, dedizione e determinazione.
Un viaggio decisamente non privo di sacrifici e di un grande impiego di energie volto a poter proiettare questa realtà verso lidi e traguardi sempre più grandi e ambiziosi, anche quando questi erano oggetto di grande perplessità agli occhi di chi, da esterno, mi vedeva coinvolto.
Dopo tutto questo tempo mi sento di poter dire con abbastanza franchezza che ho avuto modo di dare molto per questo progetto editoriale, al punto di sentirlo come profondamente “mio”, pur non essendone stato il suo artefice originario.

Quel che è certo è che, in ogni caso, Policlic ha rappresentato per me una grande palestra di vita sia da un punto di vista “lavorativo” che personale.
Gli anni passati a scrivere e a organizzare eventi e attività con questo gruppo di persone hanno lasciato un’impronta indelebile nel mio percorso e hanno contribuito a indirizzare in modo decisivo la scelta di continuare a perseguire il desiderio di lavorare nel mondo del giornalismo.

Ripenso a come questa storia avesse avuto inizio nel 2017, in un normale pomeriggio “sapientino” di Marzo tra i corridoi della facoltà di Scienze Politiche. Tutto per via di un incontro casuale, dopo una lunga lezione, con William che altri non è se non la persona che mi ha voluto coinvolgere in questo progetto.

“È da un po’ di tempo che ti osservo e ascolto durante le lezioni.”
– mi dice, notando come fossi solito partecipare in maniera “molto attiva” durante le spiegazioni dei docenti – “Fai delle domande davvero interessanti. Ti vorrei parlare di un’idea che ho...”.
Da lì mi mostra l’idea che stava cercando di portare avanti già da due anni, partendo dal suo Salento per arrivare a Roma. Un’idea semplice, perché senza troppi giri di parole, ma dirompente nella portata della sua ambizione :
cambiare il modo di fare giornalismo partendo “dalla base”.
Una missione che condividevo appieno allora così come la condivido oggi, in un Paese come il nostro nel quale il valore dell’informazione – sia in termini qualitativi che quantitativi – è relegato sempre più ad essere elemento marginale, se non addirittura di ultim’ordine.

Un panorama decisamente poco edificante che diventa ancor più desolante pensando allo scenario offerto della stampa italiana, fatta di testate che, in numerosi casi, nascono con una data di scadenza già prefissata, che si ritrovano legate da “lacci e lacciuoli” burocratici e sommerse da oneri finanziari da saldare, oltre alle linee editoriali da rispettare “pedissequamente” per non inimicarsi i direttori responsabili e/o gli editori, ovvero coloro i quali spesso e volentieri orientano (e sovvenzionano) la sopravvivenza di quelle testate, di quei giornali e di quelle riviste.
Figure di vertice e ai vertici delle Redazioni le cui scelte, alla fine di tutto, portano in troppi casi a squalificare ulteriormente la figura del giornalista, sia nel suo ruolo che nel suo lavoro di cronaca, inchiesta e approfondimento.
Questi effetti devastanti, certificati anno dopo anno dai rapporti internazionali sulla libertà di stampa e di espressione in cui l’Italia si trova a perdere sempre più posizioni [1],  vengono amplificati in modo più energico anche all’interno delle platee digitali offerte da Internet e, da ultimo, dalle stesse piattaforme dei social media.

Il problema si presenta come profondamente complesso, e a riguardo ritengo fermamente che la Rete come strumento non sia in sé per sé “l’origine di tutti i mali”, ma che lo sia il modo in cui si intenda utilizzare quello stesso strumento. Il discorso, pertanto, è di natura più ampia e da intendere in modo trasversale: se gli organi di informazione risultano, in troppi casi, profondamente scadenti e omologati nonostante l’apparente “pluralismo” offerto, questo fattore problematico non può essere attribuito o imputato unicamente a chi vi lavora e/o alle scelte compiute a livello di organico e di vertici delle stesse, ma anche a un evidente impoverimento culturale della nostra società.
Una società che si compone
anche di persone che leggono e si informano sempre di meno [2] e in modo superficiale e che, pertanto, risultano anche più a rischio di essere facilmente manovrabili e manipolabili.
Il problema si presenta quindi come di natura ampia e (purtroppo) ben radicata e si lega a diversi fattori e, di conseguenza, non può essere ridotto a una risposta semplicistica a breve termine per “ripianare una falla”, ma che necessita di un processo lungo e perdurante nel tempo che probabilmente potrà vedere frutti in circostanze future, con un’eventuale attenzione maggiore al valore che la cultura ha e deve avere nella formazione delle persone e delle loro menti voraci.
Una prospettiva per la quale dove ad oggi tante realtà, come quella che per molto tempo ha incarnato Policlic, lavorano senza sosta negli anni allo scopo di poter raggiungere quel traguardo.

Queste furono le più importanti tra le motivazioni che mi hanno portato allora all’unica e per me fondamentale richiesta da fare: “Il tuo progetto ha una linea editoriale?”.
È bastato un cenno negativo perché potessi replicare in modo diretto:
“Perfetto, sono dentro”.
Da quel momento Policlic si ritrovò il primo ingresso in squadra, il primo di una lunga serie: un paio di settimane dopo, ad aprile, si sarebbero aggiunti infatti anche Vincenzo e Alessio, gli altri volti di quello che per molto tempo è stato il “quartetto storico” che ha contribuito alla (ri)nascita di questo progetto d’editoria e giornalismo, con nuovi stimoli, nuove energie e tante idee in ebollizione. Un passaggio allora sancito e celebrato con poche ma sentite parole, assieme a una goliardica partita a
Risiko! .

Quanti momenti sono passati da quel giorno di marzo del 2017: un paio di mesi di rodaggio per organizzare la nuova squadra e poi, le prime panoramiche sulle elezioni politiche in Europa tra giugno e ottobre, con l’analisi del voto nel Regno Unito e, in seguito, in Germania.
L’inizio delle attività con i primi articoli scritti – dopo anni e anni di “pausa”- e la penna che riprende a riempire fogli e cartelle di materiale con cui raccontare, seguire e approfondire i fatti di cronaca politica provenienti dall’estero. Il desiderio di poter offrire una panoramica ampia e al contempo chiara per chi avrebbe avuto modo di leggermi su quanto stesse avvenendo nel resto del mondo.
L’inizio del ciclo di Critica al Wilsonismo, un lavoro volto a presentare in vari appuntamenti una personale lettura critico-analitica dell’agenda politica “a stelle e strisce” attraverso una prospettiva a 360° sulle sue numerose sfaccettature.
A queste prime pubblicazioni hanno poi fatto seguito anche la partecipazione e il racconto, tra la cronaca e l’approfondimento, di alcuni eventi e seminari accademici organizzati sia nel contesto della mia università che altrove. Personalmente non posso dimenticare il ciclo di eventi internazionali co-organizzati nel 2018 tra il mio ateneo e la Link Campus University attorno alle relazioni internazionali tra mondo occidentale e Russia, ma anche le celebrazioni nella sede della Società Geografica Italiana di Villa Celimontana per il novantesimo anniversario dell’impresa del Dirigibile ITALIA.
Eventi che sono stati tra i primi prestigiosi contesti in cui mi è stato possibile incontrare e conoscere illustri figure intellettuali dalla grande esperienza in campo accademico e politico, oltre a essere stati dei momenti davvero formativi che, in alcuni casi, mi hanno portato anche a poter effettuare alcune piccole interviste con gli stessi ospiti d’onore.
Ricordi che custodisco preziosamente perché mi hanno permesso di poter interloquire e interfacciarmi per la prima volta con persone del settore con la loro massima disponibilità nel rispondere alle mie domande.

E poi…le personali passioni per “la Settima Arte” cinematografica e quella per l’Irlanda, che in un periodo particolare si sono unite portandomi a coinvolgere attivamente la Redazione all’interno dell’IRISH FILM FESTA di Roma per poter offrire un reportage di una delle rassegne cinematografiche più apprezzate della Capitale nel corso di questi ultimi quattro anni.

Eppure, per citare le parole di una canzone a me molto cara del gruppo
Il Teatro degli Orrori, “la vita ci spinge verso direzioni diverse” e anche le storie più belle e coinvolgenti possono riservare un finale del tutto inaspettato, quando la fiamma che fino a quel momento brillava vivace con forza e con ardore “si spegne”.
Che avvenga in modo lento ma inesorabile o che accada d’improvviso, come se travolta da una folata di vento, l’esito finale rimane invariato e quando non rimane altro che prenderne atto a fronte dell’arrivo di venti sfavorevoli e bruschi cambi di direzione, ci si ritrova a dover fare un passo indietro. Si scende così dalla nave con cui si è viaggiato a lungo e la si lascia spiegare le vele puntando rotte di gran lunga distanti da quelle tracciate agli inizi del viaggio.

I miei ringraziamenti cominciano così rivolgendomi con ordine ai primi compagni d’avventure, di cui oggi restano soltanto due nomi: a William, che ne è stata e rimane la mente e il creatore, a Vincenzo e, infine, ad Alessio, che intendo ringraziare ugualmente sebbene abbia lasciato il progetto molto prima di me.
Grazie a tutti coloro che, a mio tempo, ho voluto coinvolgere attivamente in questa realtà e che hanno condiviso con me questo importante percorso, chi per meno e chi per più tempo.
In primo luogo, a mia sorella Giulia e ai miei “fratelli acquisiti” Luca Valerio e Luigi, con questi ultimi che sono stati le prime persone che ho voluto far “salire a bordo” di questa realtà.
Ai cari amici e colleghi universitari Alessandra, Sara e Juan, ma anche a Farafin, Riccardo, Elia, Sergio, Amir, Yannick, Renata e a Nazanin, oltre a chi ho avuto modo di conoscere al di fuori del contesto universitario romano come Kevin Gerry Cafà, il direttore di Politicose con cui è stato sempre possibile organizzare attività in comune tra le nostre realtà editoriali e che si è sempre mostrato disponibile, anche nel pieno degli impegni lavorativi che lo hanno coinvolto, con un grande sorriso e, soprattutto, la voglia di fare.
Sono felice di aver personalmente coinvolto tutte queste persone, indipendentemente dalla durata e dal dinamismo profuso durante il viaggio vissuto assieme.

Qualche parola in più la riservo e rivolgo per Francesco Finucci, che oltre a essere stato un collega negli anni universitari (e, in seguito, di questa Redazione) è e rimane un amico.
A colui che da anni chiamo giocosamente “bestiaccia” e che è ancora qui, saldo al suo posto all’interno di Policlic, luogo tra il metaforico e il concreto in cui ha avuto modo di raggiungere importanti traguardi e ottenere soddisfazioni personali non indifferenti. A lui ricambio e rinnovo oggi la profonda stima che ha avuto modo di dimostrarmi in più occasioni, anche nelle nostre visioni del mondo alquanto differenti.

Un grazie quindi a tutte le persone con cui ho avuto modo di collaborare nel corso di questi lunghi anni: mi rivolgo anzitutto a Lucia, Alessandro e Camilla con cui ho lavorato più a lungo e in modo più proficuo, stringendo anche un rapporto di amicizia al di fuori dell’ambito lavorativo, per poi proseguire con Denise, Federico B. e Francesca, oltre al “tris” composto da Francesco L. , Francesco S. e Francesco M.

Per ultimo, ma non per importanza, il mio grazie va alla comunità composta da voi appassionati lettori di Policlic, persone con le quali, nel corso di questo lungo viaggio, ho potuto condividere non soltanto i miei lavori ma anche il lungo cammino che qui ho voluto percorrere mentre costruivo, giorno dopo giorno, il ponte che ha connesso quello che ho scritto con il pubblico che ha avuto modo di poterlo leggere.
Nel guardarmi indietro mentre scrivo queste ultime parole, sento di poter dire che per tutto il tempo in cui ho fatto parte di questa squadra ho sempre cercato di approcciare con metodo e dedizione questo lavoro così affascinante quanto “ibrido” nella sua combinazione tra cronaca e approfondimento, ponendo attenzione alla qualità del lavoro da realizzare e coniugandolo infine, una volta presentati e raccontati i fatti, con quella che è la mia personale prospettiva e lettura di osservatore.

Alla Redazione e al Direttore vanno i miei migliori auguri di buon lavoro, con la certezza che potranno ottenere altri grandi risultati con questo progetto anche in mia assenza.
Ai lettori di Policlic, invece, rinnovo con trasporto gli auguri di una “Buona Lettura”.

“Chi di voi vorrà fare questo mestiere, si ricordi di scegliere il proprio padrone, il lettore. Si metta al suo servizio e parli la sua lingua, non quella dell’accademia. Porti la cultura dell’accademia alla comprensione.” (Indro Montanelli)

Cordialmente vostro,
Guglielmo


Note e ulteriori riferimenti

[1] Emblematico in questo senso è il dato mostrato nel rapporto annuale di Reporters Sans Frontieres, organizzazione non governativa con sede a Parigi che monitora lo stato della libertà d’informazione a livello globale.
Nell’ultimo rapporto 2023 pubblicato la scorsa settimana, l’Italia (72.05 punti) risultava collocarsi al quarantunesimo posto su 180 paesi coinvolti, un risultato con cui è riuscita a recuperare la posizione ottenuta nel 2021 e persa lo scorso anno in seguito al crollo di diciassette posizioni dello scorso anno (58° posto con 68.16 punti). Per i dettagli riguardanti la valutazione italiana, si rimanda alla voce tematica nel sito di
Reporters Sans Frontieres (www.rsf.org).

[2] La panoramica, in questo senso, risulta decisamente poco rosea: stando a due differenti rilevazioni dell’ISTAT pubblicate nel dicembre 2022 (Produzione e Lettura di Libri In Italia | Anno 2021 del 07/12/2022) nel marzo di quest’anno (Cittadini e ICT | Anno 2022 del 17/03/2023), si osserva come nel 2021 appena “il 40,8% delle persone di 6 anni e più” aveva “letto nell’ultimo anno almeno un libro per motivi non strettamente scolastici o professionali, valore pressoché stabile rispetto al 2020 (41,4%).” mentre, in riferimento ai dati riferiti alla popolazione italiana dello scorso anno, soltanto “il 44,9% utilizza il web per leggere giornali informazioni e riviste online.”
Si rimanda a Istat, Produzione e Lettura di Libri In Italia | Anno 2021, 07/12/2022, pag.8 e ad Istat, Cittadini e ICT | Anno 2022, 17/03/2023, pag.4

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