La nazionalizzazione dell’industria elettrica in Italia nel 1962 – Pt. 2

La nazionalizzazione dell’industria elettrica in Italia nel 1962 – Pt. 2

La nazionalizzazione dell’industria elettrica in Italia ha rappresentato un campo di battaglia ideale per due visioni politiche storiche dello Stato e dell’economia, quella riformista e quella liberista. Due modi di concepire il ruolo della politica e delle istituzioni: da un lato i favorevoli a un intervento massiccio dello Stato nell’economia, dall’altro chi riteneva e ritiene che la libera iniziativa dei privati non debba essere sottoposta a vincoli. Ma la nazionalizzazione è stata anche un luogo di discussione sul concetto di monopolio e su quello di sviluppo economico, legato a doppio filo alla produzione energetica.

Policlic ha dunque voluto proporre ai propri lettori questo approfondimento “a puntate”, incentrato su quella che è stata una riforma così importante e dirimente per lo scenario politico degli anni Sessanta e per tutta la successiva parabola della Prima Repubblica. In questi appuntamenti si cercherà di analizzare gli eventi storicamente più rilevanti che hanno portato all’approvazione della riforma nel 1962, attraverso le idee politiche tanto dei favorevoli quanto dei contrari alla nazionalizzazione.


La strategia di espansione di Enrico Mattei e la mancata creazione dell’Ente Nazionale dell’Energia

Un contributo alla campagna contro gli imprenditori “elettrici” degli anni Cinquanta venne dal Presidente dell’Ente Nazionale Idrocarburi (E.N.I.) Enrico Mattei, che nel corso degli anni si impegnò in direzione della maggiore autonomia energetica dell’Italia, ma anche nella lotta allo sfruttamento oligopolistico delle fonti di energia. In particolare, relativamente al settore elettrico, Mattei perseguiva l’elaborazione di un sistema verticale che comprendesse il combustibile come l’energia elettrica, attraverso l’allargamento dell’area di intervento statale nel settore energetico[1].

Il primo tentativo di ingresso nell’elettrico da parte di Mattei si registrò nel settembre 1953, attraverso il controllo del 50% della SIFE, Società Italiana Forze Endogene. Mattei promosse infatti il programma di investimenti in ricerca per due miliardi all’anno per cinque anni della società, che però non portò ai risultati auspicati per via del mancato accordo sul prezzo dell’energia elettrica da distribuire nella rete della Finelettrica. Questo comportò lo scioglimento della SIFE dopo appena due anni di esistenza, nel 1953, e la sua fuoriuscita dall’organigramma dell’ENI.

Le “mire espansionistiche” di Mattei generarono un vasto schieramento di oppositori, che andavano appunto dalla pubblica Finelettrica, fino a privati della società Larderello che sarebbe passata sotto il controllo dell’ente gestito da Mattei. Il 5 febbraio 1954 il Governo decise di presentare in Parlamento un progetto di legge che prevedeva il passaggio all’E.N.I. della gestione della ricerca, della coltivazione e della utilizzazione delle forze endogene nelle provincie di Grosseto, Livorno, Pisa e Siena e il passaggio dalle Ferrovie dello Stato all’E.N.I. dell’attrezzatura tecnica aziendale e del personale della Larderello[2].

La proposta provocò reazioni avverse, come testimoniato dalle parole dello stesso Mattei:

La decisione del Consiglio dei Ministri sollevò vaste polemiche che trovarono anche eco sulla stampa, particolarmente da parte della minoranza della società Larderello che ravvisava nella decisione governativa una grave lesione ai propri diritti, considerando la revoca delle concessioni già attribuite attraverso le Ferrovie dello Stato alla Larderello, un atto di spoliazione: fatto questo aggravato dal conflitto di interessi nascente fra la Larderello, concessionaria della zona ristretta ad essa riservata, e l’E.N.I., concessionario del restante più ampio territorio delle quattro provincie toscane[3].

Tale polemica produsse una proposta della IX commissione del Senato volta a trasferire all’E.N.I. la parte relativa alla Larderello[4]. In realtà anch’essa non venne approvata, portando il tentativo del Governo in favore dell’E.N.I. a un nulla di fatto.

Fonte immagine: Wikimedia Commons

Il capitolo successivo della “sfida” tra Mattei e gli elettrici venne il 9 luglio 1958, quando Fanfani espose alla Camera il programma del suo governo. In particolare Fanfani parlò in questi termini della questione energetica:

Nessuno pensa di menomare le garanzie costituzionali della iniziativa privata. Anzi, proponendoci di dare la certezza del diritto e del divenire ad ogni operatore e di difenderlo con apposita legge dallo strapotere dei monopoli e delle catene finanziarie, crediamo di sgombrare il campo per una più agile ed efficace azione di quanti nel settore economico intendono dar prova delle proprie capacità concorrendo al progresso comune.
Conoscendo le insufficienze che anche la più volenterosa iniziativa privata manifesta, ci proponiamo di colmarle ed integrarle a servizio del bene comune con il ricorso all’attività pubblica, da svolgersi con criteri economici e per le iniziative autorizzate dalla legge.
Quanto già esiste in questo campo deve essere sottoposto ad un riordinamento che distribuisca più razionalmente le competenze e le imprese tra I.R.I. ed E.N.I., regolarizzi con apposita legge la creazione recente degli enti di gestione, inquadri le imprese statali o a prevalente partecipazione statale in apposita associazione, stimoli il progresso di esse associando i lavoratori ai benefici dell’aumento di produttività e quindi alla formazione di nuovo capitale azionario con conseguente partecipazione alle responsabilità della gestione.
E nel riordinamento previsto comprendiamo la concentrazione in apposito ente di tutte le partecipazioni statali nel settore di ricerca, produzione e distribuzione di energia di qualsiasi specie, in modo da affidare con successo ad esso un intervento sistematico diretto ad integrare le manifeste insufficienze della iniziativa privata ed a sostenere con efficacia una doverosa politica regolarizzatrice della distribuzione dei prezzi dell’energia, specie secondo le esigenze dello sviluppo del sud e delle aree depresse.
Per rendere più incisiva e ad effetto sicuro l’azione nel suddetto ente si pensa di passare ad esso, via via che scadranno, le concessioni in corso per la produzione di energia, ed affidare allo stesso il compito di utilizzare gli utili di gestione od altri fondi messi a disposizione per il riscatto anticipato di altre concessioni.
L’esperienza dice che una politica di sviluppo non accompagnata da una politica dell’energia non raggiunge i suoi scopi. Per prodigare più efficacemente quest’ultima sembra necessario quindi prendere le ricordate misure per rinforzare l’azione che lo Stato ha il dovere di svolgere[5].

Marcello Colitti sottolinea, nella sua opera Energia e sviluppo in Italia. La vicenda di Enrico Mattei, come ci fossero tutte le premesse affinché tale politica potesse incontrare l’opposizione degli “elettrici”, minacciati dalla carica riformista del programma fanfaniano. In particolare gli elementi preoccupanti per i privati erano la sottolineatura delle mancanze della iniziativa privata nel settore dell’energia elettrica, del potere dei monopoli, l’accesso dei lavoratori delle aziende a partecipazione statale ai guadagni provenienti dall’aumento di produttività, i prezzi che avrebbero dovuto privilegiare il mezzogiorno e le aree depresse e il passaggio della rendita idroelettrica nelle mani del presidente dell’E.N.I.

Accanto all’industria privata nella lotta contro tale progetto di unificazione energetica si pose anche l’I.R.I., nonostante tale disegno sembrava andare nella direzione di evitare la nazionalizzazione dell’industria elettrica. Questa coalizione di forze provocò pressioni non indifferenti sia sul nuovo capo del Governo che su tutta la Democrazia Cristiana.

Fonte immagine: Wikimedia Commons

La strategia di isolare a destra l’opposizione al programma si rivelò insufficiente nel momento in cui sia il Partito Comunista per voce di Togliatti che Don Luigi Sturzo si schieravano apertamente contro il progetto fanfaniano. In particolare il leader comunista espresse la sua posizione in modo eloquente:

Noi non siamo favorevoli all’intervento dello Stato nell’economia in qualsiasi caso ed in qualsiasi condizione: anzi, riteniamo che in determinate condizioni l’intervento dello Stato nella vita economica possa essere cosa cattiva. Sotto il fascismo vi fu un ampio intervento dello Stato nella vita economica e ne venne fuori il corporativismo. Ebbene, noi sentiamo risorgere oggi, sotto l’ispirazione dell’onorevole Fanfani, qualcosa del vecchio indirizzo corporativistico. È necessario… che si tengano presenti non solo la necessità dell’economia, ma anche la necessità di difendere la democrazia dalla pericolosa tendenza a decadere verso un regime di paternalismo clericale e di sempre maggior discriminazione politica, attraverso l’accumularsi di sempre nuovi e pesanti apparati statali e parastatali[6].

Quella che Togliatti contesta è la struttura creatasi attraverso il collegamento tra potere politico ed enti pubblici economici, che ad avviso del leader comunista rischia di riprodurre addirittura quel corporativismo di matrice fascista tanto avversato negli anni della clandestinità prima e della resistenza poi. Nella linea politica del PCI, Baget-Bozzo (Il partito cristiano e l’apertura a sinistra: La DC di Fanfani e di Moro 1954-1962) rintraccia l’esigenza di esprimere un’aderenza alle istituzioni democratiche in generale e al Parlamento in particolare, che sconfina nella accusa di autoritarismo nei confronti di Fanfani per “il disprezzo delle prescrizioni costituzionali, la progressiva riduzione della libertà elettorale, il paternalismo di marca confessionale” del Governo[7].

L’opposizione della sinistra mise sostanzialmente una pietra sull’idea della costituzione di un Ente Nazionale dell’Energia. Le ragioni di tale impostazione politica vengono rintracciate da Colitti nel fatto che soprattutto i socialisti erano maggiormente orientati verso la soluzione della nazionalizzazione. Inoltre, il PSI era contrario all’eccessiva autonomia di azione di Mattei, che lo avrebbe portato a compiere azioni che poi i socialisti, una volta al governo, avrebbero dovuto in qualche modo giustificare.

Ma soprattutto, alla base della diffidenza dei socialisti nei confronti di Mattei, stava il concetto stesso di programmazione economica, perno centrale della politica socialista di quegli anni. Mattei e la sua impresa potevano rappresentare “qualcosa che sarebbe sfuggito continuamente dal quadro programmatico, che il PSI, almeno fino a che andò al governo, riteneva dovesse essere alquanto dettagliato e contenere ordini concreti alle imprese, specie a quelle pubbliche”[8].

Federico Paolini per Policlic.it


Riferimenti bibliografici 

[1] F. Silari, La Nazionalizzazione elettrica in Italia. Conflitti di interesse e progetti legislativi 1945-1962, in “Italia Contemporanea”, dicembre 1989, n. 177, pp. 55-56.

[2] E. Mattei, “Problemi di Politica Economica degli idrocarburi”, in Atti del III Convegno Nazionale sulle utilizzazioni del Metano, Piacenza 9-10-11 settembre 1954, Piacenza, Società Tipografica Editoriale Porta, 1955, p. 51.

[3] Ibidem.

[4] M. Colitti, Energia e sviluppo in Italia. La vicenda di Enrico Mattei, Bari, De Donato Editore, 1979, pp. 213-214.

[5] Camera dei Deputati, Assemblea, Resoconto stenografico. III Legislatura, Seduta del 9 luglio 1958, p. 102.

[6] G. Baget-Bozzo, Il partito cristiano e l’apertura a sinistra. La DC di Fanfani e di Moro 1954-1962, Firenze, Vallecchi Editore, 1977, p. 143.

[7] Ibidem.

[8] M. Colitti, Energia e sviluppo in Italia. La vicenda di Enrico Mattei, cit., pp. 216-219.

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