La “Nota aggiuntiva” di Ugo La Malfa e i suoi retroscena: un viaggio tra le fonti 

La “Nota aggiuntiva” di Ugo La Malfa e i suoi retroscena: un viaggio tra le fonti 

Del IV governo Fanfani (1961-1962), La Malfa fu l’attivo ministro del bilancio. Trovandosi in quell’ufficio così delicato e strategico, La Malfa si trovò a redigere la relazione economica di un anno particolarmente fortunato, il 1961.

La Malfa ebbe, nell’esperienza del governo, un peso decisivo. E l’elaborazione della Nota aggiuntiva fu il fulcro di tutta la sua azione.

Quello del ‘61 era il massimo saggio di sviluppo dal 1951 al 1975, ma il commento, intrinseco nella Nota aggiuntiva, fu lapidario e insieme denso di contenuti: «Questo è uno sviluppo che dobbiamo ordinare attraverso la programmazione, per risolvere alcuni fondamentali problemi del Paese»[1].


L’ideazione della Nota aggiuntiva

Giorgio Napolitano, ripensando a posteriori alla Nota aggiuntiva di La Malfa, ha manifestato rimpianto per quel che avrebbe potuto essere e non è stato[2].

Sessantasei pagine e tredici tabelle per espletare quella che venne e viene ancora considerata la più ampia e autorevole proposta volta al risanamento degli squilibri del sistema italiano. La Nota aggiuntiva alla Relazione generale sulla situazione economica del Paese 1961[3] di Ugo La Malfa venne illustrata in Parlamento il 22 maggio 1962. Era la prima volta che veniva posto così inderogabilmente e chiaramente il problema degli squilibri creati dal modello economico di sviluppo. Questa modalità di crescita per così dire “libera” o “spontanea” era stata responsabile di problemi e storture quali la svalutazione del ruolo economico dell’agricoltura, l’incontrollabile urbanizzazione e industrializzazione verso pochi (e ormai saturi) centri nevralgici e l’inefficienza dei servizi sociali. La Nota rimase, e rimane ancor oggi, un documento attuale per quanto riguarda l’economia del Paese. Andò oltre lo sviluppo economico espresso dai meri dati statistici proprio perché ne vedeva con chiarezza il limite e individuava l’ingranaggio mancante.

Con lungimiranza, l’ex ministro del Bilancio spiegò come il processo di sviluppo non potesse ritenersi un flusso destinato a continuare per sempre, ma bensì soggetto a essere ostacolato da arresti più o meno fisiologici. La discriminante era quella di prendere atto che ciò potesse avvenire e premunirsi di conseguenza, sapendo che tali processi avrebbero inciso maggiormente nelle situazioni più disagiate e meno sviluppate.

Il ritmo di accrescimento, infatti, derivava da uno sviluppo solo settoriale, con determinate sacche di arretratezza che non permettevano di avere una crescita omogenea.
Il disegno di La Malfa, però, andava anche più a fondo: la fase di progresso che attraversava l’Italia agiva nella sfera dei bisogni più immediati (e superficiali) dell’individuo e della comunità, ma lasciava inevase una serie di problematiche critiche e di arretratezze strutturali risalenti agli albori della società italiana e che, in ogni fase della storia precedente, pur essendo individuate, non erano state risolte.

Il team redattore della Nota era formato da pochissime persone, sintomo della caratteristica di La Malfa di lavorare con collaboratori fidati. Il “gruppetto”[4] comprendeva, tra gli altri, Francesco Forte, Antonio Giolitti e Sergio Steve, i quali elaboravano, in uno stanzone semibuio del Ministero del Bilancio, gli appunti precedentemente presi nei colloqui con il ministro. Si utilizzavano contributi di studiosi come Claudio Napoleoni, già allora apprezzato economista e ricercatore della SVIMEZ. La stesura del documento, scrive Forte, fu affidata a pochissime persone, alcune delle quali già citate nei precedenti articoli: Pasquale Saraceno, Achille Parise e Luigi Spaventa.

 

Questi personaggi, in grado di aiutarlo nel suo progetto di politica di sviluppo globale, collaboravano con lui già da anni ed erano personalità che avevano perseguito e perseguirono poi sempre, nel corso della loro vita, le finalità proposte dalla Nota aggiuntiva. Merito non secondario di La Malfa fu la sua la capacità di riunirli in gruppo, secondo un modello che si ispirava al team di tradizione americana. Fu questa una operazione che concorse non poco a creare una classe di governo moderna, poi ampiamente protagonista negli anni successivi.

La Nota esordisce, senza mezzi termini, palesando la problematica centrale di tutto il documento:

La “Relazione generale sulla situazione economica del Paese”, recentemente presentata al Parlamento, ha messo in chiara luce come l’economia italiana sia stata globalmente caratterizzata – anche nel 1961 – dal permanere di un elevato ritmo di accrescimento, con un saggio financo superiore a quello degli anni scorsi.
Chi ha la responsabilità della politica economica del Paese non può tuttavia ignorare che tale impetuoso sviluppo si è accompagnato al permanere di situazioni settoriali, regionali e sociali di arretratezza e di ritardo economico le quali, evidentemente, non riescono a trarre sufficiente stimolo dalla generale espansione del sistema. Un esame, pertanto, del meccanismo che opera nella nostra economia, nonché delle linee di politica economica in atto, si rende indispensabile[5].

Proprio la premessa alla Nota è contraddistinta da un tono perentorio soprattutto riguardo gli squilibri economici, di reddito e dei reali e basilari bisogni di comunità. Per questo motivo «non sembra possibile limitarsi alla registrazione dei positivi risultati globalmente raggiunti»[6].

Una seconda critica è rivolta nella Nota a quello “sviluppo spontaneo” su cui le manovre correttive avevano sempre inciso troppo poco o che, delle volte, erano valse addirittura ad accentuarne gli effetti negativi.

La relazione animò un’accesa discussione parlamentare ed ebbe in definitiva un’accoglienza favorevole. L’obiettivo di La Malfa venne condiviso anche da chi non aveva le sue stesse visioni.

Il documento consta di quattro capitoli: i primi tre sulla situazione economica e sui caratteri del processo di sviluppo degli anni Cinquanta, mentre l’ultimo individua quelli che potrebbero diventare gli elementi di una nuova politica di Piano.


Uno sguardo indietro

Un concetto che, in effetti, non va lasciato al caso è il processo economico evolutivo del decennio precedente, fondamentale per l’ideazione della Nota aggiuntiva.

Il 18 gennaio 1954, con il primo governo Fanfani, Ezio Vanoni venne nominato ministro del Bilancio, carica che avrebbe mantenuto nei successivi due governi, guidati da Scelba e Segni, fino al 1956. Fu proprio durante il primo governo Fanfani che il valtellinese presentò lo “Schema di sviluppo dell’occupazione e del reddito in Italia nel decennio 1955-1964”, che passò alla storia come “Schema Vanoni[7]. Prevedeva, effettivamente, una serie di risposte ai problemi economici intrinseci nella storia d’Italia, quali la via per aumentare al meglio l’occupazione, un’armonizzazione permanente della bilancia dei pagamenti e una ridistribuzione regionale del reddito, al fine di migliorare le condizioni economiche e sociali del Sud Italia e delle altre aree depresse . Fu uno dei primi interventi che prendevano in considerazione la situazione complessiva dell’Italia in una visione plurisettoriale e questa caratteristica fu la più apprezzata dagli esperti di settore.

Lo Schema restò al centro del dibattito politico per almeno due anni e successivamente venne reintrodotto a più riprese nei discorsi dei programmatori.

Nella conclusione si descrisse invece quello che sarebbero stato l’effetto di una visione non lungimirante e programmatica della politica economica, cioè l’aumento gravoso della pressione inflazionistica. Venne sottolineato lo «sforzo senza precedenti»[8] che l’Italia era chiamata a fare per condurre una buona politica fiscale, economica e fiscale.

Alcuni dei punti salienti vennero riprese da Ugo La Malfa e sono necessari per comprendere le politiche di Piano più tardi previste dai successori di Vanoni. La discussione sullo “schema” di programmazione economica che seguì la sua presentazione differenziò l’approccio e la prospettiva politico-programmatica dell’economista siciliano da quello del resto della sinistra.

L’attenzione politica verso una nuova visione del Meridione continuò con la Prima Relazione Generale sul Mezzogiorno, presentata al Parlamento dal Ministro Giulio Pastore nel febbraio 1961[9]. Al dibattito parlamentare che seguì si suole attribuire un carattere di svolta rispetto alla politica meridionalistica portata avanti sino ad allora. Invero, l’intero 1961 è stato considerato «il momento di chiusura della “questione meridionalistica” intesa in senso tradizionale – ossia l’approccio mantenuto nel decennio precedente – e di riapertura della “questione” come “questione nazionale” in termini nuovi e moderni nel quadro di una politica di Piano»[10].

Poco più di un mese più tardi, il ministro del Bilancio Pella insediava però una Commissione per «procedere alla elaborazione di detto Schema»[11], riferendosi allo Schema Vanoni, presieduta da Giuseppe Ugo Papi[12]. Era l’atteso proseguimento di una politica che stentava a decollare.

Istituita nel terzo governo Fanfani il 20 marzo 1961, la Commissione derivò dal dibattito parlamentare sulla politica meridionale e sullo sviluppo economico italiano, in particolare dalla mozione del democristiano Lorenzo Isgrò[13].

Un anno più avanti, come già visto, venne redatta la famosa Nota di La Malfa che pose le sue fondamenta soprattutto sullo Schema Vanoni e sulla Commissione Papi, ma diede a quegli obiettivi generici dei fini specifici e l’enunciazione di direttive per la creazione di strumenti atti a raggiungerli.


Conclusioni

Il contenuto del documento prestava il fianco a diverse critiche. Era difficile tradurre le «direttive di politica economica generale contenute nella Nota aggiuntiva [in] un vero e proprio programma destinato a guidare le azioni di politica economica»[14]. Dubbi sull’efficacia del progetto lamalfiano furono espressi anche da Eugenio Scalfari, che, criticata la composizione della CNPE, paventò la possibilità che si realizzasse in Italia una moderna forma di corporativismo ispirata all’esperienza gollista francese[15]. Sul piano istituzionale, e in particolare parlamentare, La Malfa dovette rendersi ben presto conto del rischio di un sostanziale isolamento.

Ancora una volta il punto dolente era costituito dalla “resistenza” della politica, dalla estraneità di quest’ultima al disegno riformistico. E dalla incapacità dei partiti di agire per “convincere” i propri elettorati, senza perderne l’appoggio. Si profilava cioè (ma si era ancora agli inizi) quello che sarebbe stato negli anni successivi il principale motivo di crisi delle istituzioni: il difetto di leadership e l’estrema frantumazione della decisione a fronte di problemi economico-strutturali sempre più urgenti.

Dal punto di vista governativo, quella del centro-sinistra è stata «una stagione di riforme. Ma il centro-sinistra non ha realizzato la Riforma, non ha attuato il Programma della Nota aggiuntiva di La Malfa il cui obiettivo era quello di rendere l’Italia un Paese moderno e civile»[16].

Claudia Ciccotti per Policlic.it


Note e riferimenti

[1] U. La Malfa, A. Ronchey (a cura di), Intervista sul non-governo, Roma-Bari, Laterza, 1977, p.55.

[2] G. Amendola, Intervista sull’antifascismo, P. Melograni (a cura di), Roma, Laterza, 1976, pp.66-67.

[3] Si cita, da qui in poi, U. La Malfa, Nota aggiuntiva su problemi e prospettive dello sviluppo economico e della programmazione in Italia, introduzione di F. Forte, Roma, Janus, 1973, p. 8, privilegiando questa edizione comprensiva dell’introduzione di Forte.

[4] Ibidem.

[5] Ivi, p. 33.

[6] Ibidem.

[7] Lo “Schema” fu considerato un «piano d’apertura a sinistra» da Ugo La Malfa, nel quale vi scorse il momento programmatico per l’incontro tra cattolici e socialisti. Da P. Saraceno, Gli anni dello schema Vanoni. 1953-1959, P. Barucci (a cura di e introduzione), Milano, Giuffrè, 1982, p.37.

[8] P. Saraceno, Gli anni dello schema Vanoni. 1953-1959, P. Barucci (a cura di e introduzione), Milano, Giuffrè, 1982, p.100.

[9] Cfr. la voce di A. Ciampani, in Dbi, vol. 81, 2014, ad vocem (Giulio Pastore)

[10] R. Guiducci, Relazione al convegno su “Mezzogiorno e programmazione”, “Mondo Operaio”, Napoli, 5 e 6 giugno 1965.

[11] Ministero del Bilancio e della Programmazione Economica, introduzione di P. Ruffolo, La programmazione economica in Italia, [s.l], [s.n], 1967.

[12] La denominazione completa che viene data alla Commissione è: “Commissione per la elaborazione di uno schema organico di sviluppo nazionale dell’occupazione e del reddito”.

[13] F. Di Fenizio, La programmazione economica, Torino, Unione tipografico-editrice torinese, 1965, p.279.

[14] M. Carabba, Un ventennio di programmazione. 1954-74, Roma-Bari, Laterza, 1977, p. 34.

[15] Cfr. l’intervento di E. Scalfari in La strumentazione democratica sulla programmazione. Tavola rotonda, Roma, Palazzetto Venezia, 15-16 settembre 1962, Roma, Centro italiano ricerche documentazione, 1962.

[16] P. Nenni, Gli anni del centro sinistra. Diari 1957-1966, prefazione di G. Tamburrano, Milano, SugarCo, 1982, p. X.

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