La politica energetica italiana

La politica energetica italiana

Dalla nazionalizzazione alla liberalizzazione delle infrastrutture

L’Italia: dalla nazionalizzazione alla liberalizzazione delle fonti energetiche

L’Italia ha avuto una storia molto particolare riguardo la politica energetica. Già nel 1962, con la legge che istituiva l’Enel[1] (ente nazionale energia elettrica), il governo italiano creò un grande ente pubblico monopolista in tutte le fasi del ciclo elettrico. L’Italia è stata per lungo tempo caratterizzata da un forte intervento pubblico, che attraverso le nazionalizzazioni e altri strumenti diretti, ha controllato tutti gli aspetti della policy, anche grazie alla costruzione di grandi imprese pubbliche monopoliste e verticalmente integrate. Le fonti energetiche rappresentano una risorsa fondamentale per qualsiasi paese, tanto che, nel processo di approfondimento dell’Unione Europea, la loro è stata l’area liberalizzata con più difficoltà. L’energia, inoltre, è uno strumento di politica estera di fondamentale importanza, vitale per la sopravvivenza di una nazione; tanto che, nel Dopoguerra, le aziende produttrici di energia sono state nazionalizzate dalla maggior parte dei paesi. La nostra penisola si è allineata ai criteri di nazionalizzazione energetica, con la creazione e messa in funzione dell’Eni[2].

L’Italia ha fatto i conti, nella fase del suo rapido sviluppo economico tra il 1950 e il 1990, con la scarsità di fonti fossili che caratterizza il territorio della penisola e che a lungo è stato considerato un grave handicap per l’economia nazionale. Per fronteggiare questa situazione, le azioni principali sono state le seguenti:

  • La creazione di un ente elettrico pubblico (l’Enel) nel 1962, per unificare la rete e accelerare gli investimenti;
  • la trasformazione dell’impresa petrolifera ereditata dalla politica fascista (l’AGIP, creata in vista dell’autarchia, cioè di un impossibile autosufficienza totale) in un ente (l’ENI) incaricato di sviluppare gli approvvigionamenti di petrolio e gas nel modo più sicuro e indipendente possibile;
  • la redazione di successivi piani energetici nazionali (PEN) che hanno fornito il quadro delle azioni pubbliche e degli incentivi ai privati, puntando sul nucleare (piano 1975 e aggiornamenti successivi).

L’Italia, nel corso degli anni ‘70, cercò di avviare una pianificazione più efficiente nel settore energetico, con una serie di manovre. Si ravvisò la necessità di riordinare il settore petrolifero, attraverso il recepimento delle decisioni prese all’interno della Comunità europea[3]. Tale obiettivo sarebbe stato raggiunto attraverso l’armonizzazione delle divergenze nelle definizioni dei prodotti petroliferi e nella definizione di un regime comune di importazioni ed esportazioni degli idrocarburi.

Per quanto riguarda le compagnie petrolifere, si ravvisava di dover stabilire una concertazione tra poteri pubblici e compagnie, che si tradusse in una serie di interventi di carattere emergenziale come il divieto di circolazione con i mezzi privati nei giorni festivi, l’anticipazione del termine delle trasmissioni televisive, la chiusura anticipata di cinema, teatri, negozi e locali pubblici, la riduzione dell’illuminazione pubblica.

Un ulteriore passo in avanti venne attuato attraverso un rafforzamento del ruolo dell’Eni, che avrebbe dovuto raggiungere una quota del 40% del mercato petrolifero italiano, divenendo uno strumento attraverso il quale garantire una certa stabilità negli approvvigionamenti. L’Eni ha poi ampliato la propria rete di distribuzione attraverso il lancio della Italiana Petroli (Ip). L’Eni si sarebbe fatta carico della costruzione di una scorta strategica di greggio di trenta giorni di consumo, in aggiunta a quella di novanta giorni stabilita dalla CEE.

Il Piano del Petrolio sarebbe stato integrato con il Piano energetico nazionale (Pen). L’Eni poteva essere considerata come il deus ex machina dell’energia, come avente una delega diretta dal governo italiano per poter intraprendere piani di investimenti e firma di contratti per accordi, anche internazionali, tanto che l’Eni era la detentrice della quasi totalità della rete di produzione di gas nazionale[4]. Per la diversificazione e la ricerca di nuovi approvvigionamenti, l’Eni stipulò nel 1973 un accordo con la Sonatrach, l’ente petrolifero di Stato algerino, per l’importazione di gas naturale per un periodo di venticinque anni, a partire dal 1978. A tale scopo venne costruita la Trans Mediterranean Pipeline, un gasdotto di 2500 chilometri che attraversa il canale. Allo stesso tempo, erano in corso di costruzione i collegamenti che avrebbero permesso importazioni dall’Unione Sovietica e dall’Olanda, mentre erano entrate a regime le importazioni di gas liquefatto che dalla Libia giungeva via nave in Italia per essere rigassificato nell’impianto di La Spezia[5].

Nel 1979, con la caduta di Reza Pahlavi in Iran e l’avvento del regime khomeinista, il mondo subì uno shock petrolifero. La conseguenze che ne derivò fu un costante aumento dei prezzi del petrolio, secondo i dati riportati dall’OPEC (Organizzazione dei Paesi produttori di petrolio)[6].

Il primo Piano energetico nazionale (PEN) era stato redatto nel 1975 dal Ministero dell’industria. Prevedeva di soddisfare il fabbisogno di energia attraverso l’uso del nucleare, evitando il problema da una forte dipendenza dagli idrocarburi importati dall’estero. Si prevedeva di arrivare alla messa in funzione di venti centrali, così da coprire il 64% del fabbisogno di energia elettrica entro il 1990[7].

Nel successivo piano energetico del 1981, il secondo della storia italiana, e il primo successivo allo shock petrolifero citato, fu dichiarata in atto una transizione energetica mondiale, dove il nucleare e il carbone ricoprivano un ruolo fondamentale, che li avrebbero portati a soppiantare il petrolio come fonte preminente. Furono istituiti il Progetto unificato nucleare (PUN), e una regia unica centralizzata per abbreviare i tempi di realizzazione e ridurre i costi complessivi per la realizzazione delle centrali nucleari.

Con il Piano tra il 1981 e il 1982 nacque anche dalle ceneri del Cnen, il nuovo ente di ricerca sul nucleare e le energie alternative, che si sarebbe occupato dello sviluppo delle fonti rinnovabili. Negli anni ’80, però, l’Enel fu in difficoltà nel garantire una sufficiente capacità di generazione di energia, a seguito dell’abbandono del nucleare e delle resistenze locali agli impianti a carbone. Tale situazione aprì la via agli investimenti delle imprese private, le quali disponevano di siti industriali di ultima generazione. La liberalizzazione ha sostituito una pianificazione centralizzata con un sistema di decisioni decentrate che non ha fornito alcuna certezza per la capacità di generazione di energia futura.


Dalla nazionalizzazione alla liberalizzazione del settore energia

“Beniamino Andreatta, Ministro degli Esteri del Governo italiano dall’aprile del 1993 al marzo 1994” (Wikimedia Commons, licenza CC BY-SA 3.0 ), link: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Andreatta1.jpeg.

In seguito alle disposizioni dell’Unione Europea, e attraverso il recepimento del Trattato di Maastricht, l’Italia è stata costretta a rivedere l’assetto della propria policy sul mercato dell’energia. Non più un mercato dominato dai due enti principali, bensì la creazione di un mercato elettrico teso a favorire la concorrenza. In secondo luogo, l’Italia non era riuscita a rientrare in due dei cosiddetti vincoli di convergenza (rapporto tra disavanzo pubblico annuale e PIL al di sotto del 3% e rapporto tra debito pubblico lordo e PIL inferiore al 60%). Per tale motivo, venne firmato nel 1993 un protocollo tra il Ministro degli Esteri, Beniamino Andreatta e Karel Van Miert, Commissario europeo alla concorrenza, che stabiliva la necessità di ridurre l’indebitamento delle imprese pubbliche e non consentiva più la garanzia illimitata dello Stato, in qualità di socio unico, sui debiti delle società controllate al 100%, in quanto fattore distorsivo della concorrenza. Ciò ha imposto esplicitamente allo Stato italiano di cedere quote di capitale delle imprese pubbliche (Enel ed Eni). A seguito della direttiva 96/92/CE, attraverso il Decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79  (il cosiddetto “decreto Bersani”), il governo italiano separò produzione, trasmissione e distribuzione dell’energia elettrica, e videro la luce Enel Produzione, Enel Distribuzione e Terna.[8]

Nel 1995, intanto, era nata l’Autorità di regolazione per Energia Reti e Ambiente (ARERA). Si trattava di un organismo indipendente, istituito con la legge 14 novembre 1995, n. 481[9] e avente il compito di tutelare gli interessi dei consumatori e di promuovere la concorrenza, l’efficienza e la diffusione di servizi con adeguati livelli di qualità, attraverso l’attività di regolazione e controllo.[10]

Partì allora un processo di deverticalizzazione dell’industria nazionale dell’energia (sia dell’energia elettrica che del gas naturale) e, laddove l’attività fosse ineluttabilmente legata a un asset fisico inscindibile (ovvero, tipicamente, la Rete Nazionale di Trasmissione e di Distribuzione di Energia), allora esso doveva esser reso “accessibile” a tutti i potenziali concorrenti, nazionali ed europei. Fu, allo scopo, creato il termine di Common Carrier, ovvero vettore comune a tutti i partecipanti potenziali all’impiego concorrenziale del medesimo asset. Tale asset, poi, doveva esser reso “inter-operabile”, affinché tutte le reti nazionali fossero ugualmente interfacciabili l’una con l’altra, così da creare il cosiddetto Trans-European Network. Ad esso era ed è garantita l’accessibilità con le regole della Third-Party Accessibility (TPA). Tutto ciò per incrementare l’efficienza allocativa, sollecitata dalle spinte della concorrenza in alcuni settori dell’industria elettrica (il gas), così da erodere le “sacche d’inefficienza” delle imprese pubbliche verticalmente integrate e monopolistiche, tacciate di autoreferenzialità, e che, quindi, la perdita di efficienza tecnica di coordinamento fosse compensata dagli stimoli”[11].

Il “decreto Bersani”[12] inseriva, contestualmente al Ministero dell’Industria e l’AEEG (garanti istituzionali), altri tre nuovi soggetti pubblici, o garanti operativi: il Gestore della rete di trasmissione nazionale (GRTN), l’Acquirente Unico (AU) e il Gestore del Mercato (GME). Sono S.p.a. controllate dal Tesoro, direttamente (GRTN) o indirettamente tramite il GRTN (GME e AU). Il GRTN doveva presiedere alle attività di trasmissione e dispacciamento, ed eroga i servizi ancillari. L’Autorità però ne fissava le regole a tutti gli utenti della rete la libertà di accesso a parità di condizioni, l’imparzialità e la neutralità del servizio di trasmissione e dispacciamento con criteri di efficienza e attribuendo priorità all’energia rinnovabile e di cogenerazione.

Sede del Parlamento Europeo di Bruxelles (cortesia dell’autore, licenza CC BY).

Il GME doveva predisporre il modello organizzativo del mercato elettrico, oltre che della riserva di potenza e delle congestioni, e lo gestisce, una volta approvato dal ministero, sentita l’Autorità per il gas e l’elettricità (che regola il mercato dell’elettricità e del gas, che più avanti verranno descritti).

L’avviamento del mercato era previsto per il primo gennaio 2001. A partire da quella data tutta l’energia offerta e domandata, salvo quella direttamente venduta al GRTN e salve le importazioni, doveva essere negoziata nella borsa elettrica. Il “decreto Bersani” regolamentava domanda, produzione, trasmissione, distribuzione e vendita, e ovviamente l’organizzazione del mercato, ossia del meccanismo di allocazione dell’energia.

Le negoziazioni sulla borsa elettrica e, conseguentemente, l’avvio della prima fase del mercato elettrico risale al primo aprile del 2004. La partecipazione attiva della domanda iniziava il primo gennaio del 2005. La sua creazione rispondeva a due specifiche esigenze:

  • promuovere, sulla base di criteri di neutralità, trasparenza e obiettività, la competizione nelle attività di produzione e di compravendita di energia elettrica, tramite la creazione di una “piazza del mercato”;
  • garantire la gestione economica di una adeguata disponibilità dei servizi di dispacciamento.

Il compito di gestire il mercato elettrico italiano in linea con queste due precise esigenze fu affidato al Gestore dei Mercati Energetici S.p.a (o GME). Si trattava di una società controllata dal Gestore dei Servizi Energetici (GSE), in base a una specifica disciplina – che definiva il funzionamento del mercato e le modalità di partecipazione degli operatori – predisposta dallo stesso GME e approvata dal Ministero dello Sviluppo Economico, previo parere dell’Autorità per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico.[13] Il GSE controllava al 100%, oltre al GME, anche le società Acquirente Unico (AU) S.p.a., oltre che Ricerca sul Sistema Energetico (RSE) S.p.a.

La Borsa Elettrica non era un mercato obbligatorio: gli operatori, infatti, potevano concludere contratti di compravendita anche al di fuori della piattaforma di borsa, attraverso i cosiddetti contratti bilaterali (OTC – Over The Counter).

L’elevato grado di complessità e coordinamento necessario a garantire il funzionamento del sistema imponeva l’individuazione di un coordinatore centrale, dotato di un potere di controllo su tutti gli impianti di produzione facenti parte del sistema. Tale soggetto, noto come “dispacciatore”, che in Italia è Terna S.p.A., rappresentava il fulcro del sistema elettrico e aveva il compito di assicurarne il funzionamento nelle condizioni di massima sicurezza, per garantire la continuità e la qualità del servizio. Il dispacciatore svolgeva l’attività di bilanciamento del sistema in tempo reale (c.d. balancing). Il necessario equilibrio tra immissioni e prelievi in ogni istante e in ogni nodo della rete era garantito dai sistemi di regolazione e controllo automatici delle unità di produzione (c.d. riserva primaria e secondaria), che aumentavano o riducevano l’immissione in rete in modo da compensare ogni squilibrio sulla rete stessa[14].


Conclusioni

L’ondata di neoliberismo aveva spinto il governo italiano a una privatizzazione del mercato italiano. Insomma, con Bersani prima e con Letta[15] poi (tramite il decreto legislativo 164/2000), si era giunti in un momento in cui la politica energetica doveva essere rinnovata, trasformata in un mercato dove l’entrata in campo di nuovi competitor portasse dei benefici ai consumatori, con un abbassamento finale dei costi dell’elettricità.

Nel 2005 il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi presentò un piano per l’entrata della Gazprom nel mercato italiano, attraverso una società terza (l’austriaca Centrex, in mano a persone vicine allo stesso premier italiano (Bruno Mentasti). Il Consiglio d’amministrazione bocciò la proposta di Berlusconi, anche a seguito dei dati che indicavano una perdita di nove miliardi di Euro per l’Eni. Il tutto sotto lo sguardo indifferente del Parlamento italiano.

Tanto che, nel 2012, il governo presieduto da Mario Monti, ha imposto all’Eni di cedere la Snam, la quale possedeva la rete di gasdotti sia nazionale che estera. L’obiettivo era di ridurre ulteriormente il monopolio dell’azienda di Stato nel mondo energetico. In prospettiva, il governo vedeva le privatizzazioni come un modo per rendere ancora più efficiente e competitivo il mercato, per abbassare ulteriormente il prezzo finale rivolto ai consumatori, ma anche una certa convinzione dell’opinione pubblica di una forte vicinanza con la Russia, vista come alleata principale per le importazioni di gas.

A un primo sguardo, il processo di liberalizzazione del mercato elettrico italiano appare addirittura più competitivo rispetto a quello di altre esperienze europee: per esempio, la Francia non ha ridotto il monopolio di EDF[16] e la Germania è molto indietro nel processo di separazione delle reti e nella definizione di tariffe di accesso non discriminatorie. Le imprese operanti in Italia sono più numerose che nel resto dell’Europa. Tuttavia, questo maggior numero di imprese non sembra che abbia dato luogo a una maggiore concorrenza. La gran parte delle ricerche condotte nel corso dell’ultimo decennio sullo stato della privatizzazione del settore elettrico in Italia mette infatti in evidenza come le tariffe non siano scese nel modo sperato e come i vantaggi di produttività realizzati abbiano fatto aumentare le rendite delle imprese interessate senza rilevanti trasferimenti ai consumatori. La stessa letteratura indica nella proprietà prevalentemente pubblica, di governo o enti locali, la causa principale di questo risultato insoddisfacente per i consumatori, derivante da un generale atteggiamento collusivo tra le imprese. Per esempio, l’ENEL ha fortemente accresciuto la produzione per addetto grazie a una drastica riduzione del personale che non si è peraltro riflessa in una riduzione delle tariffe alle utenze, ma in un aumento dei profitti pubblici distribuiti all’azionista di maggioranza, ossia il governo.

Il modello italiano di mercato elettrico appare dunque, a quindici anni dalla sua promozione, come una combinazione di modelli piuttosto che il frutto di una scelta strategica ben definita. Si osserva un’apparente maggiore concorrenza rispetto ad altri casi nazionali dell’Europa continentale, ma vi è ancora un’impresa dominante come l’ENEL. La sua proprietà è ancora prevalentemente pubblica, ma si comporta come un azionista privato quanto alla ricerca di posizioni di rendita. Si osserva una rilevante apertura formale al mercato e alla concorrenza, ma permangono estese forme di sussidio incrociate tra categorie di consumatori attraverso una serie di condizioni speciali, privilegi ed esenzioni. Infine, la tutela dei “campioni nazionali” è accompagnata da un’apertura del mercato alle imprese estere che non si osserva in altri paesi come Francia, Germania e Spagna[17].

 

Tiziano Sestili per www.policlic.it


Riferimenti bibliografici

[1] L. 6 dicembre 1962, n. 1643, “Istituzione dell’Ente nazionale per l’energia elettrica e trasferimento ad esso delle imprese esercenti le industrie elettriche”, link: https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/1962/12/12/062U1643/sg (ultima consultazione 11/06/2023).

[2] L. 10 febbraio 1953, n. 136, “Istituzione dell’Ente Nazionale Idrocarburi (E.N.I.)”, link: https://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:legge:1953-02-10;136!vig (ultima consultazione 11/06/2023).

[3] La Commissione elaborò un documento, “Orientamenti e azioni prioritarie per la politica energetica Comunitaria”, che si poneva l’obiettivo di creare un mercato petrolifero comune che garantisse la libera circolazione all’interno della Comunità.

[4] La Snam, altra società controllata dall’Eni, era il principale snodo di distribuzione del gas naturale sul suolo nazionale.

[5] D. Marcello, La questione energetica italiana, Streetlib editore, Milano 2022, pp. 91-92.

[6] Ivi., p. 93.

[7] Nel 1952 veniva costituito, all’interno del Consiglio nazionale delle ricerche, il Comitato Nazionale per le Ricerche Nucleari (CNRN). Nel 1960 il CNRN ha cambiato nome in Comitato nazionale per l’energia nucleare (CNEN). Aveva lo scopo di studiare applicazioni industriali dell’energia nucleare.

[8] D. Marcello, op. cit., pp. 112-113.

[9] “Norme per la concorrenza e la regolazione dei servizi di pubblica utilità. Istituzione delle Autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità”.

[10] Link: https://www.arera.it/it/chisiamo.htm#anchor4 (ultima consultazione 11/06/2023).

[11] R. Fazioli e D. Lenza, Appunti di economia dell’energia, Volta la carta, Ferrara 2021, pp. 202-203.

[12] D. Lgs. 16 marzo 1999, n. 79,Attuazione della direttiva 96/92/CE recante norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica”, link: https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/1999/03/31/099G0136/sg (ultima consultazione 11/06/2023).

[13] Link: https://quifinanza.it/green/mercato-elettrico-come-funziona-quello-italiano/495488/ (ultima consultazione 11/06/2023).

[14] Link: https://www.enea.it/it/seguici/documenti/le-proposte/MERCATOELETTRICOIDEEDEF.pdf, pp. 5-6.

[15] Allora Ministro dell’Industria.

[16] Électricité de France, multinazionale francese dei servizi elettrici, facente capo in gran parte allo Stato francese. È il corrispondente di Enel in Francia.

[17] R. Giannetti, Il servizio elettrico dai sistemi regionali alla liberalizzazione, in “Treccani”, link: https://www.treccani.it/enciclopedia/il-servizio-elettrico-dai-sistemi-regionali-alla-liberalizzazione_%28Il-Contributo-italiano-alla-storia-del-Pensiero:-Tecnica%29/ (ultima consultazione 11/06/2023).

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