Memoria è responsabilità

Memoria è responsabilità

Parlare di responsabilità nei riguardi della Shoah è sempre molto difficile e nondimeno ancora necessario. L’anno scorso numerosi sono stati gli eventi e le manifestazioni in ricordo di due tra le più tristi pagine della storia d’Italia: gli ottant’anni dalle leggi razziali e i settantacinque dalla Razzia del Ghetto ebraico di Roma. Questo capitolo della storia recente della Penisola, tuttavia, ancora oggi, molto spesso, è trattato in maniera autoassolutoria, scaricando direttamente e indirettamente sull’ex alleato nazista le colpe di quanto avvenuto a cavallo tra il 1938 ed il 1945. Frasi – e film – quali “Italiani brava gente” o “il cattivo tedesco e il bravo italiano” (sul tema si consiglia l’omonimo libro del Prof. Focardi) sono ancora molto utilizzate, inserendosi in una determinata narrazione.

Volendo risalire alle radici di quest’ultima non si può non fare riferimento a due eventi che, diversamente da quanto avvenuto in Germania col processo di Norimberga, hanno pregiudicato la possibilità di affrontare le colpe di Mussolini, del fascismo e di tanti italiani, militari e civili: la fucilazione del dittatore all’indomani della Liberazione e la grande amnistia del 1946 in nome di una riconciliazione nazionale. Ma se questo processo ex post è mancato, non esiste prova migliore dei fatti, ovvero la persecuzione subita dagli ebrei nella Penisola dal 1938 al 1945. Quest’articolo, in tutta la sua limitatezza e incompletezza, si pone questo obiettivo.

Partendo dai provvedimenti antisemiti, questi furono emanati a seguito del vergognoso “Manifesto della Razza” del 14 luglio 1938. A partire dal settembre dello stesso anno fino al 1942, si arrivò infatti alla completa esclusione degli ebrei dalla vita dello Stato: si decretò l’espulsione degli ebrei stranieri, furono estromessi studenti e professori dalle scuole e dalle università, non fu più consentito loro lavorare – tanto nel pubblico quanto nel privato – ancor più in quanto furono sequestrate le loro proprietà in favore dell’Egeli e, quindi, dello Stato, fu fatto divieto di contrarre matrimonio con un “ariano”. Fondamentale in questo processo furono i due decreti del novembre 1938: R.D.L. 17 novembre 1938-XVII, n. 1728 – Provvedimenti per la difesa della razza italiana; R.D.L. 15 novembre 1938-XVII, n. 1779 – Integrazione e coordinamento in unico testo delle norme già emanate per la difesa della razza nella Scuola italiana. L’entrata in guerra, poi, portò ad un ulteriore irrigidimento persecutorio attraverso l’internamento di diverse centinaia di ebrei e la precettazione civile a scopo di lavoro.

Questa una brevissima descrizione della vergognosa e umiliante oppressione subita tramite un concatenarsi di provvedimenti legislativi e amministrativi della Demorazza a partire dal 1938. Furono trenta quanti il 1943 decisero di togliersi la vita non potendola sopportare.

In molti, tuttora, ritengono che la svolta antiebraica sia stata un’imposizione tedesca ma, in realtà, ad oggi non esiste un solo documento che provi questa affermazione e anzi il regime mantenne autonomia in materiale razziale rispetto all’alleato fino alle fasi più convulse della Seconda Guerra Mondiale. L’adozione di una legislazione antisemita fu una scelta autonoma di Mussolini e a poco vale la giustificazione dell’essersi messo in un vicolo cieco a partire dalla campagna in Abissinia. Tuttavia va anche detto che furono in molto pochi quanti si opposero. Il Gran Consiglio, con la sola eccezione di Balbo, chi per cortigianeria e chi entusiasticamente, accettò la svolta antisemita senza battere ciglio. Fu però soprattutto fondamentale il ruolo di Vittorio Emanuele III che non si fece alcun problema a firmare i decreti, abbagliato dai titoli che il regime gli aveva tributato nel giro di pochi anni. Allo stesso tempo, molto ci sarebbe da dire sulle reazioni da parte degli italiani. È davvero degradante, infatti, pensare che l’adesione maggiore provenne da parte degli intellettuali e dai giovani raccolti nei GUF. Le uniche forme d’opposizione provennero dalla maggior parte dei cattolici e dai giornali di riferimento. Tale opposizione comunque potè continuare solo fino a quando anche le loro voci finirono per essere coperte dall’offensiva contro i “pietisti”, ovvero contro coloro i quali si erano dimostrati poco propensi ad accettare l’antisemitismo di Stato, aiutando gli ebrei. Ma al di fuori di queste categorie la maggior parte degli italiani rimase sostanzialmente indifferente ai provvedimenti e anzi ci fu anche chi, con il progressivo licenziamento degli ebrei dai loro posti di lavoro vide in ciò un’opportunità per arricchirsi.

Fonte immagine: culture.globalist.it

La seconda metà del 1943 vide poi oltre alla deposizione e all’arresto di Mussolini, l’avanzata degli Alleati e l’invasione delle truppe tedesche nell’Italia settentrionale e centrale, stabilendo la linea del fronte, la linea Gustav a sud di Roma. Fu Hitler in persona a decidere come si sarebbe organizzato il territorio e dal 23 settembre il primo governo della nuova entità collaborazionista, la Repubblica Sociale Italiana. Mussolini fu capo del governo e Ministro degli Esteri; Buffarini-Guidi fu Ministro dell’Interno fino al 21 febbraio 1945; diversi furono gli avvicendamenti per l’incarico di capo della polizia. Mussolini, Bombacci e Pavolini si occuparono di redigere il nuovo manifesto, il Manifesto di Verona, facendo – diversamente dal passato – dell’antisemitismo un punto programmatico.

Tra le prime mosse vi fu la reintroduzione di tutta la legislazione antiebraica ma ben presto giunsero dei nuovi provvedimenti. I più importanti furono il DLD n°2 del 4 gennaio 1944 e l’ordine di polizia n°5 del 30 novembre 1943. Il primo si preoccupò prevalentemente di portare ai massimi livelli la stretta economica ai danni degli ebrei, provvedendo, sostanzialmente, alla confisca di tutti i loro beni in favore dell’Egeli. Molto più gravi furono gli effetti, invece, dell’ordine di polizia in quanto al punto 6 s’indicava che tutti gli ebrei, italiani, stranieri e compresi i discriminati, sarebbero stati rinchiusi “in appositi campi di concentramento”, la cui costruzione iniziò subito. Gli effetti drammatici non tardarono a manifestarsi: sul finire di dicembre i tedeschi cominciarono a fare pressione sugli italiani perché iniziassero gli arresti secondo quando era indicato nell’ordine di polizia. Era accaduto, infatti, che i nazisti si fossero resi conto, dopo aver già effettuato diversi eccidi e razzie nel territorio occupato – compresa la peggiore, quella del 16 ottobre al Ghetto di Roma, coordinata dalla sezione IVB4 capeggiata da Dannecker – di dover ricorrere all’aiuto dei fascisti. Così, se nelle Zone d’Operazione Litorale Adriatico e Prealpi, gli arresti continuarono ad essere compiuti dai tedeschi allora in controllo dell’area, nel territorio della RSI iniziarono gli internamenti per mano italiana.

Fu di poco successiva la pagina più tragica della storia della RSI e d’Italia: il collaborazionismo. La maggior parte degli storici, infatti, sebbene non vi sia un documento atto a provarlo, è del parere che alla fine di gennaio del 1944 il governo della RSI e quello tedesco giunsero ad un accordo tale per cui dopo gli arresti e l’internamento degli ebrei nei campi provinciali, questi sarebbero stati condotti, sempre dagli italiani, presso il campo di Fossoli di Carpi e qui, infine, consegnati ai nazisti per la deportazione, Numerosi sono i “fogli di traduzione” testimonianti il frequente ricorso ai carabinieri e alla polizia italiana per trasferire gli ebrei nei campi di concentramento. Il primo convoglio da Fossoli partì il 26 gennaio 1944, seguito da altri sei fino al 1°agosto, quando venne chiuso e sostituito dal campo di Gries, frazione di Bolzano. Da quest’ultimo partirono due altri convogli per un totale di circa 2500 ebrei deportati.

Oltre al collaborazionismo della RSI, anche tanti civili italiani, spesso ex informatori dei fascisti, permisero l’arresto degli ebrei con le loro delazioni, venendo pagati in media cinquemila lire per ognuno dai tedeschi. Collaborazionisti vi furono in molte città, ma a Roma arrivarono a formarsi circa dieci bande. Una di queste arrivò ad arrestare 80 persone nei pressi del Ghetto e, in seguito, effettuò anche alcune delle catture di quanti avrebbero perso la vita nella strage delle Fosse Ardeatine. Non mancarono, da ultimo, alcuni contrabbandieri che, dopo essere stati pagati dagli ebrei per superare il confine svizzero, li consegnarono alla polizia fascista.

Le persone arrestate in Italia e in seguito deportate o uccise sul posto furono circa 7900-8000. Tra i deportati, il 91 per cento finì ad Auschwitz ed il 94 per cento non vi fece ritorno. Complessivamente il numero degli ebrei morti durante il periodo della persecuzione delle loro vite ammonta a circa 7000.

Tenendo conto di quanto indicato nelle pagine precedenti la vera sfida, la responsabilità che ricade nelle mani di tutti noi, oggi, è ricostituire una memoria della Shoah che sia libera da interpretazioni e narrazioni distorte ed autoassolutorie affinché quanto avvenuto non possa più ripetersi. Il medium è necessariamente una presa di coscienza che quanto avvenuto in Europa è imputabile, direttamente ed indirettamente, anche ad un gran numero di italiani, cui, è sempre bene ricordare, si contrapposero tanti altri che con la loro opera salvarono la vita a decine di migliaia di ebrei. Ai delatori, infatti, si contrapposero tanti italiani – civili e militari, antifascisti e fascisti e di ogni fede religiosa – che si sacrificarono in nome della solidarietà, fornendo documenti falsi e carte annonarie. L’aiuto maggiore venne dalle popolazioni contadine dell’Italia centrale e ancor di più settentrionale e si dimostrò più̀ consistente laddove era maggiore la presenza dei partigiani (e questo spiega anche perché furono molti di meno quanti trovarono rifugio nelle città). Il Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea di Milano stima in 27000 gli ebrei che trovarono rifugio nelle aree controllate dai tedeschi o dalla RSI, mentre furono 387 gli italiani non ebrei che nel dopoguerra vennero insigniti del titolo di “Giusti tra le Nazioni”. E tuttavia è necessario ribadire ancora una volta che mentre decine di migliaia di ebrei subivano dal 1938 una durissima persecuzione, era quasi generale l’indifferenza degli “ariani”. Non a caso proprio la parola “indifferenza” è stata impressa all’ingresso del Memoriale della Shoah di Milano. Allo stesso modo, ancora, se dal 1943 al 1945 furono migliaia gli ebrei morti negli eccidi o in deportazione, ciò non è avvenuto senza il collaborazionismo della RSI e di singoli italiani.

Primo Levi nel suo I sommersi e i salvati ha scritto:

“È avvenuto contro ogni previsione; è avvenuto in Europa; incredibilmente, è avvenuto che un intero popolo civile, appena uscito dalla fervida fioritura di Weimar, seguisse un istrione la cui figura oggi muove al riso; eppure Adolf Hitler è stato obbedito e osannato fino alla catastrofe. È avvenuto, quindi può accadere di nuovo: questo è il nocciolo di quanto abbiamo da dire.
Può accadere, e dappertutto.”

Federico De Pasquale per Policlic.it

Fonti

  • Capogreco Carlo Spartaco, I campi del duce, Torino, Einaudi, 2004;
  • Cuomo Franco, I dieci, Acireale, Bonanno Editore, 2017;
  • De Felice Renzo, Storie degli ebrei sotto il fascismo, Torino, Einaudi, 1993;
  • Debenedetti Giacomo, 16 ottobre 1943, Torino, Einaudi, 2015;
  • Focardi Filippo, Il cattivo tedesco e il bravo italiano, Laterza, Bari-Roma, 2016;
  • Gentile Emilio, Il fascismo in tre capitoli, Bari, Laterza, 2004;
  • Guerrazzi Amedeo Osti, Caviglia Marco, Di Consiglio David, Gli anni della vergogna 1938-1945, Roma, Cangeni editore, 2018;
  • Levi Primo, I sommersi e i salvati, Torino, Einaudi, 1986;
  • Mammarella Giuseppa, Carace Paolo, La politica estera dell’Italia, Laterza, Roma-Bari, 2010;
  • Pezzetti Marcello, Il libro della Shoah italiana, Torino, Einaudi, 2015;
  • Poliakov Léon, Il Nazismo e lo sterminio degli Ebrei, Torino, Einaudi, 2003;
  • Sarfatti Michele, Gli ebrei dell’Italia fascista, Torino, Einaudi, 2003;
  • Sarfatti Michele, La shoah in Italia, Torino, Einaudi, 2005;
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