Lo standard 5G per i sistemi di comunicazione mobile: torniamo ai fatti

Lo standard 5G per i sistemi di comunicazione mobile: torniamo ai fatti

Questo articolo è estratto dalla Rivista n.0 di Policlic pubblicata il 27 aprile. Scarica qui sotto la versione integrale.

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L’introduzione dello standard di quinta generazione per le comunicazioni mobili è un argomento ampiamente dibattuto negli ultimi tempi, sia per le nuove opportunità offerte da questa nuova generazione delle telecomunicazioni che per i presunti effetti della stessa sulla salute umana. Se il crescente interesse sul tema da parte della popolazione è senz’altro un fatto positivo, e il conseguente dibattito persino auspicabile, esiste tuttavia un non trascurabile rischio di disinformazione, presente del resto ogniqualvolta questioni di natura tecnico-scientifica vengono trattate con approcci qualitativi e senza avere le necessarie conoscenze e competenze.

Diviene dunque importante, se non essenziale, fare un passo indietro e trattare il tema del 5G in maniera oggettiva da una prospettiva tecnica, tornando in definitiva ai fatti, ovvero ai fondamenti dei sistemi di telecomunicazioni e della propagazione elettromagnetica. Questo è l’obiettivo che ci si propone in questo articolo, mantenendo tuttavia un approccio divulgativo e senza alcuna pretesa di esaustività. Più nello specifico, l’obiettivo di questo articolo è duplice: da un lato, descrivere le principali novità del 5G rispetto ai precedenti standard di comunicazione, sia in termini di infrastruttura che di tipologia di segnali utilizzati; dall’altro lato, discutere gli effetti dei campi elettromagnetici sui sistemi biologici (quindi le possibili conseguenze sulla salute umana) e la misura in cui i campi associati al 5G saranno differenti, rispetto agli standard attuali, in relazione a questi aspetti.


Un passo indietro

Prima di addentrarsi nella caratterizzazione dei tratti distintivi dello standard di quinta generazione, è opportuno fare un passo indietro, focalizzandosi su una descrizione più generale dei sistemi di comunicazione wireless e identificandone gli elementi e i parametri fondamentali. In estrema sintesi, come senz’altro noto ai lettori, l’obiettivo di un sistema di comunicazione wireless è la trasmissione di dati (sotto forma di bit, negli attuali sistemi digitali) da una sorgente a un destinatario, sfruttando la propagazione di segnali elettromagnetici attraverso un canale fisico, costituito dallo spazio che ci circonda. Affinché tale comunicazione sia possibile, è necessario che l’informazione (ovvero i bit da trasmettere) venga trasferita, o impressa, nel segnale elettromagnetico che verrà propagato: questa fondamentale operazione, eseguita da ogni trasmettitore, è nota come modulazione, e l’onda elettromagnetica risultante è nota come “onda portante” (in quanto “trasporta” con sé l’informazione da trasmettere al ricevitore). Gli standard per le telecomunicazioni (come ad esempio il 4G e il 5G) hanno il compito di definire tutte le operazioni necessarie per processare opportunamente i segnali elettromagnetici che trasportano l’informazione (che vanno ben oltre la semplice modulazione), sia al trasmettitore che al ricevitore (che avrà il compito di recuperare i dati a partire dal segnale ricevuto). Inoltre, è necessario definire le caratteristiche delle infrastrutture e dei terminali mobili (ad esempio le rispettive antenne). Il fine ultimo è garantire una trasmissione di dati che rispetti degli specifici requisiti in termini di velocità (quantità di dati trasmessa nell’unità di tempo, in bit al secondo), consumi energetici, latenza (ovvero ritardo nella trasmissione), copertura. Una descrizione approfondita delle specifiche tecniche di elaborazione dei segnali e delle infrastrutture che garantiscono l’efficienza delle comunicazioni wireless non è tra gli obiettivi di questo articolo[1].
Tuttavia, è importante caratterizzare almeno due importanti parametri dei segnali elettromagnetici utilizzati, che influenzano direttamente le prestazioni dei sistemi di comunicazione in esame.

Potenza trasmessa: la potenza elettromagnetica irradiata dall’antenna (o dalle antenne) in trasmissione è un parametro particolarmente importante nell’economia dei sistemi di telecomunicazioni. Com’è facile immaginare, a una maggiore potenza trasmessa corrisponde una maggiore potenza ricevuta e di conseguenza una migliore qualità del segnale e migliori prestazioni (per quanto queste non crescano linearmente con la potenza). D’altra parte, la potenza in trasmissione è una risorsa limitata, sia per motivi di costo (associato al consumo energetico) che per limiti fisici di alcuni componenti hardware come gli amplificatori. Inoltre, è fondamentale limitare la potenza elettromagnetica irradiata per rispettare i limiti imposti in relazione alle interazioni bioelettromagnetiche (che verranno discusse in seguito).

Bande di frequenza utilizzate: un parametro fondamentale che caratterizza i segnali elettromagnetici è costituito dalla loro banda di frequenza, ovvero dalla porzione di spettro elettromagnetico da essi occupata. Senza entrare nei dettagli, e accettando qualche inevitabile semplificazione, si può affermare che ogni onda elettromagnetica è caratterizzata da una certa frequenza, o meglio un insieme (o banda) di frequenze attigue, che sono direttamente collegate al modo in cui l’onda si propaga nello spazio: frequenze più alte corrispondono a lunghezze d’onda più corte, ovvero a una maggiore variazione spaziale dei segnali (in altri termini, segnali a frequenza maggiore variano più velocemente nello spazio). Per maggiore chiarezza, vale la pena far riferimento alla rappresentazione schematica dello spettro elettromagnetico riportata in Figura 1, dove si può osservare la corrispondenza (di inversa proporzionalità) tra frequenze (in Hertz) e relative lunghezze d’onda, nonché una rappresentazione (puramente illustrativa) del corrispondente segnale nello spazio. È inoltre riportata la differente denominazione delle onde elettromagnetiche a seconda delle bande di frequenza da esse occupate, dalle onde radio alle frequenze più basse fino ai raggi gamma, caratterizzati da frequenze estremamente elevate. Vale la pena evidenziare, come peraltro indicato in figura, che anche la luce visibile è un’onda elettromagnetica, che occupa una banda di frequenze ampiamente superiori a quelle utilizzate nei sistemi di telecomunicazioni (incluso il 5G, come discusso più avanti), ovvero le onde radio e le microonde.

La scelta delle bande di frequenza da utilizzare nei diversi standard di telecomunicazioni è ovviamente tutt’altro che casuale. Le frequenze utilizzate sono infatti caratterizzate da specifiche tecniche e fisiche che le rendono più o meno adatte a diversi servizi, in funzione dell’infrastruttura presente. In generale, al crescere della frequenza corrisponde una maggiore larghezza di banda a disposizione, anche per via di uno spettro meno congestionato da diversi servizi, e di conseguenza una maggiore velocità di comunicazione. Al contempo, le onde elettromagnetiche a frequenze alte sono soggette a un’attenuazione maggiore, per cui coprono distanze minori, e sono inoltre più facilmente schermate dagli ostacoli che incontrano nella propagazione (ad esempio muri ed edifici). In definitiva, si può affermare che le frequenze più basse sono più adatte a garantire una copertura diffusa a minore capacità (velocità di trasferimento dati raggiungibile), mentre le frequenze più alte garantiscono capacità maggiori in zone, o celle, più circoscritte. Come facilmente intuibile, in questo secondo caso è necessario avere una maggiore densità di trasmettitori distribuiti sul territorio per garantire una copertura pervasiva, fatto comunque facilitato dalle minori dimensioni delle antenne (che diminuiscono al crescere della frequenza).

Gli attuali standard di telefonia mobile utilizzano differenti frequenze radio dello spettro elettromagnetico a seconda dei servizi messi a disposizione degli utenti. Lo standard 4G, in particolare, utilizza diverse bande di frequenza che vanno dai 600 MHz ai 2.5 GHz.

Figura 1: Rappresentazione schematica dello spettro elettromagnetico, con riferimento ai tipi di radiazione e alle rispettive frequenze (in Hertz) e lunghezze d’onda (in metri).


Le principali novità del 5G

Lo standard 5G, come anche i precedenti, è stato sviluppato dalla comunità scientifica e dalle associazioni di industrie del settore, e in particolare dall’associazione industriale 3GPP. La spinta verso la creazione di un nuovo standard per le telecomunicazioni è legata da un lato alla necessità di far fronte all’esorbitante crescita del traffico dati previsto nei prossimi anni (trasferimento di contenuti multimediali, realtà aumentata, alta definizione, smart working), e dall’altro per permettere lo sviluppo di nuove architetture di rete in aree emergenti, come il cosiddetto “Internet delle cose” (o Internet of things – IoT), la guida autonoma e la e-Health. Queste ultime richiedono la connessione simultanea di un elevato numero di dispositivi con requisiti spesso molto stringenti in termini di latenza, affidabilità e consumo energetico.

Figura 2: Applications of 5G. Fonte: https://ec.europa.eu/digital-single-market/en/towards-5g

I principali aspetti che differenziano il 5G dai precedenti standard in termini di prestazioni sono i seguenti:

Velocità di trasmissione dei dati estremamente elevata, fino a 100 volte superiore a quella del 4G, con un bitrate potenziale di picco di 20 Gbps (Gigabit al secondo).
Latenza (ovvero ritardo tra l’invio di un segnale e la sua ricezione) fino a 50 volte inferiore al 4G, con risvolti particolarmente rilevanti in campi quali la guida autonoma di veicoli e l’e-Health.
Elevata densità di connessioni simultanee, con risvolti considerevoli sullo sviluppo dell’IoT.

Queste prestazioni sono rese possibili da una serie di caratteristiche completamente innovative rispetto ai sistemi attuali, sia dal punto di vista dei segnali trasmessi che delle infrastrutture, oltre che ad architetture di rete estremamente flessibili e riconfigurabili. Lungi dall’essere esaustivi, alcuni elementi innovativi particolarmente rilevanti sono i seguenti:

• Utilizzo di nuove bande di frequenza per la trasmissione, sia a frequenze simili a quelle degli standard precedenti (al di sotto di 6 GHz) sia a frequenze più elevate, nella banda delle onde millimetriche. Queste ultime sono onde elettromagnetiche caratterizzate da lunghezze d’onda tra un centimetro e un millimetro ovvero da frequenze comprese tre 30 GHz e 300 GHz (per quanto spesso si denotino come onde millimetriche anche onde con frequenze leggermente inferiori ai 30 GHz). In Italia, come in moltissimi altri Paesi dell’UE e anche extra UE, le frequenze licenziate per i sistemi 5G sono nella banda a 700 MHz, nella banda a 3.7 GHz e nella banda a 26 GHz (ma in alcuni Paesi, come la Cina e l’Australia, sono licenziate anche frequenze superiori, intorno ai 40 GHz). Come già discusso in precedenza, l’avere a disposizione bande di frequenza molto diverse permette un alto grado di flessibilità, poiché le basse frequenze possono essere utilizzate per garantire copertura su vaste zone a basso traffico, mentre le alte frequenze (millimetriche) garantiscono elevate velocità di trasferimento (grazie alla maggiore larghezza di banda disponibile) su zone a maggiore densità di antenne. Vale la pena evidenziare come, in questo secondo caso, l’utilizzo di un maggior numero di antenne distribuite più densamente sul territorio comporti anche una riduzione delle potenze trasmesse, con un conseguente miglioramento dell’efficienza energetica.
• Utilizzo di antenne multiple, spesso in gran numero, sia in trasmissione che in ricezione, implementando il cosiddetto massive MIMO (multiple-input multiple-output). Questo tipo di architettura permette di sfruttare la dimensione spaziale (costituita dalle diverse antenne utilizzate congiuntamente) per rendere più efficiente la trasmissione. Più nello specifico, la presenza di più antenne rende possibile il cosiddetto beamforming, una tecnica di elaborazione del segnale che concentra la potenza elettromagnetica irradiata nella direzione degli utenti serviti (che possono essere tanti simultaneamente), e di conseguenza evita di irradiare onde dove non servono. Il vantaggio è duplice: efficienza energetica migliorata (poiché non si spreca potenza in trasmissione) e riduzione dell’inquinamento elettromagnetico.
• Possibilità di utilizzare bande di frequenza non licenziate, ovvero non riservate al 5G e possibilmente riservate ad altri sistemi, attraverso meccanismi adattativi di coesistenza spettrale: in altri termini, è possibile utilizzare banda aggiuntiva riservata ad altri sistemi (come alcune reti Wi-Fi) a patto di adattarsi a essi e non interferire con gli stessi (ad esempio trasmettendo solo quando la banda in questione non è occupata).
• Un ulteriore possibile sviluppo dello standard 5G è costituito dall’integrazione con reti satellitari, in maniera da poter garantire copertura in zone remote difficilmente accessibili all’infrastruttura terrestre.


Effetti sulla salute umana: siamo in pericolo?

È ora il caso di affrontare lo spinoso tema dei presunti effetti dei segnali utilizzati dal 5G sulla salute umana, spinoso non tanto per la sua natura intrinseca quanto per il suo essere facilmente oggetto di fenomeni di disinformazione.

Il tema può essere affrontato facendo riferimento in generale alle radiazioni elettromagnetiche nelle bande delle onde radio e delle microonde, ovvero con frequenze comprese tra 0 Hz e 300 GHz, i cui effetti sui sistemi biologici vengono studiati da diversi decenni. Va notato che tutti i sistemi di telecomunicazioni operano all’interno di questo range di frequenze, per cui quanto verrà discusso vale indipendentemente dallo specifico standard di comunicazione considerato. Tuttavia, le peculiarità dello standard 5G verranno comunque prese in considerazione in seguito, per discutere se e in che misura le conclusioni cambino nel caso specifico.

Per evitare confusione, è dapprima opportuno sottolineare che le radiazioni in questione, ovvero con frequenza sino ai 300 GHz, sono radiazioni non ionizzanti: non trasportano cioè sufficiente energia per ionizzare atomi o molecole, ossia liberare elettroni da essi. Questa precisazione è fondamentale per distinguere le onde elettromagnetiche in esame, che d’altronde hanno frequenze inferiori a quelle della luce visibile, dalle radiazioni ionizzanti, come i raggi X e i raggi gamma (si faccia riferimento alla rappresentazione schematica dello spettro elettromagnetico discussa in precedenza), che hanno meccanismi di interazione con la materia totalmente differenti.

Sulla base degli studi effettuati nel corso degli ultimi decenni sotto la gestione congiunta dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e dell’ICNIRP (International Commission on Non-Ionizing Radiation Protection), gli unici effetti ad oggi confermati delle radiazioni non ionizzanti sui sistemi biologici sono effetti termici: si tratta di effetti legati al surriscaldamento dei tessuti umani esposti ad onde radio, in misura variabile a seconda della tipologia di tessuto, che possono essere nocivi se la potenza delle onde eccede certe soglie. In seguito agli studi condotti sugli effetti termici, sono stati dunque introdotti degli specifici limiti di esposizione ai campi elettromagnetici, per garantire una protezione della popolazione dagli eventuali rischi associati a tali effetti nel breve, medio e lungo termine. Questi limiti, introdotti a livello europeo nella Raccomandazione del Consiglio Europeo del 12 luglio 1999 (1999/519/CE), sono regolamentati a livello nazionale nei vari Paesi, che li adottano in maniera più o meno conservativa. L’Italia è garantita in questo senso dal D.P.C.M. 8 luglio 2003, che stabilisce limiti di esposizione fra i più restrittivi in Europa. Per maggiore chiarezza, vale la pena menzionare più nello specifico in cosa consistono i suddetti limiti di esposizione: si tratta di precisi limiti imposti, alle varie frequenze in esame, su campo elettrico, campo magnetico e densità di potenza elettromagnetica misurati in ogni ambiente libero. Tali quantità sono direttamente correlate tra loro, per cui spesso si fa riferimento al solo campo elettrico, misurato in V/m (Volt per metro). In base a considerazioni cautelative, la normativa italiana prevede un’ulteriore riduzione dei valori soglia per i centri abitati, nei quali il “valore di attenzione” da non superare per il campo elettrico è di 6 V/m indipendentemente dalla frequenza, valore molto più basso (sino a 10 volte) del corrispondente valore in diversi Paesi europei. È anche importante evidenziare che questi limiti di esposizione hanno a che fare con la radiazione elettromagnetica presente sul territorio, e devono essere rispettati indipendentemente dagli specifici sistemi di telecomunicazioni utilizzati e dalle rispettive infrastrutture installate sul territorio, che naturalmente si sono evoluti negli ultimi vent’anni e continueranno a evolversi. Campagne di misura ad hoc vengono estensivamente condotte sul territorio per verificare il rispetto dei limiti, che impone dei vincoli sulla potenza irradiata dalle stazioni radio base.

Per quanto riguarda effetti non termici dei campi elettromagnetici sui sistemi biologici, effetti associati cioè a dinamiche non legate al surriscaldamento dei tessuti, diverse ricerche sono state condotte negli anni e non ci sono ad oggi evidenze scientifiche di effetti nocivi a lungo termine per radiazioni che rispettino i limiti succitati.

Avendo descritto il quadro generale riguardo alle interazioni tra radiazioni non ionizzanti e salute umana, ci si potrebbe chiedere ora se qualcosa in merito vada aggiunto nel caso specifico dello standard 5G. In realtà la risposta sarebbe negativa, in quanto i segnali associati al 5G rientrano appieno nella categoria di radiazioni discusse in precedenza, e di conseguenza valgono le stesse considerazioni e conclusioni. Tra le principali preoccupazioni associate all’introduzione del 5G figurano senz’altro l’utilizzo di frequenze più alte rispetto ai precedenti standard (le onde millimetriche trattate in precedenza) e il crescente numero di antenne distribuito sul territorio. Per quanto riguarda le onde millimetriche (con frequenze licenziate intorno ai 26 GHz e, in alcuni Paesi, intorno ai 40 GHz), oltre a rimarcare nuovamente come esse rientrino nel range studiato, va anche evidenziato che la loro “profondità di penetrazione” nei tessuti umani è persino inferiore rispetto alle frequenze minori, in quanto tale profondità diminuisce al crescere della frequenza (per radiazioni non ionizzanti). In merito invece al crescente numero di antenne che verranno utilizzate e alla maggiore densificazione delle stesse sul territorio, è stato già sottolineato come questo comporti in realtà un utilizzo più efficiente della potenza irradiata e conseguentemente una riduzione della stessa, in particolar modo laddove tecniche di beamforming siano implementate. Questo suggerisce che i trasmettitori 5G, anche in scenari ad alta densità come l’internet delle cose, possano persino ridurre il livello di emissioni elettromagnetiche complessivo (che tiene cioè conto cumulativamente di tutti i dispositivi presenti) rispetto ai precedenti standard. Si può dunque verosimilmente affermare che i dispositivi mobili di cui siamo circondati in questo momento ci espongano a livelli di radiazione superiori a quelli associati alle antenne dei sistemi futuri.

Naturalmente, tutte le considerazioni fatte valgono a patto che il monitoraggio dei livelli di campo negli ambienti abitati e delle emissioni elettromagnetiche dei dispositivi mobili sia effettuato in maniera scrupolosa, in modo tale da garantire che i limiti imposti non vengano superati in nessun caso. È inoltre molto importante che la comunità scientifica continui a studiare gli effetti non termici dei campi elettromagnetici, come del resto viene fatto da svariati anni.

In ultima analisi, va sottolineato come tematiche scientifiche complesse, come quella in esame, debbano necessariamente essere affrontate in maniera quantitativa e non discorsiva, alla luce di un’attenta analisi degli scenari specifici che utilizzi gli strumenti teorici e pratici a disposizione. Ogni tentativo di semplificazione o generalizzazione di questi temi risulta improprio e può portare a conclusioni molto lontane dalla realtà, e l’assunzione di atteggiamenti giacobini in ambiti così specialistici sfocia inevitabilmente in fenomeni di disinformazione, i quali possono avere pericolose conseguenze nell’attuale società iperconnessa (ironicamente, grazie agli standard di telecomunicazioni). Nell’opinione di chi scrive, è assolutamente lecito e anche normale avere dei dubbi o preoccuparsi in relazione alle nuove tecnologie con cui non si ha familiarità. Basti pensare come molti fossero impauriti all’introduzione delle prime centrali elettriche alla fine dell’Ottocento. D’altronde, la tendenza ad avere timore nei confronti di ciò che non si conosce a fondo e non si può controllare è probabilmente una caratteristica innata dell’uomo, e di certo è questo il caso dello sviluppo tecnologico, che ha un’influenza considerevole nelle vite di tutti. Per dirla con Don DeLillo, “man mano che la tecnologia avanza in termini di complessità e portata, la paura diventa più primitiva”[2]. Se questo senso di paura e incertezza è dunque comprensibile, è però fondamentale non diventarne vittime, ma piuttosto incanalarlo nella giusta direzione, ovvero quella di una ricerca critica e coscienziosa delle informazioni, e di un’analisi delle stesse alla luce delle proprie conoscenze. Questo richiede senz’altro uno sforzo, ma è l’unico modo per non alimentare un pericoloso trend di disinformazione che spesso sfrutta e accresce le nostre paure.

Danilo Spano per Policlic.it


Note

[1]Per approfondire cfr.: D. Tse, P. Viswanath, Fundamentals of Wireless Communication, Cambridge University Press, 2005.

[2]Conversations with Don DeLillo, edited by Thomas de Pietro, University Press of Mississippi, Ed. 2005.

 

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