Dagli anni di piombo a oggi: tra estradizione e funzione rieducativa della pena

Dagli anni di piombo a oggi: tra estradizione e funzione rieducativa della pena

Un Paese diviso tra Costituzione e legge ordinaria

Gli arresti di aprile

Il 28 aprile scorso, su richiesta italiana, sono stati arrestati in Francia sette ex terroristi già condannati in Italia per reati commessi negli anni di piombo[1]; altri tre sono in fuga. Cinque degli arrestati sono ex membri delle Brigate Rosse: Giovanni Alimonti, Enzo Calvitti, Roberta Cappelli, Marina Petrella e Sergio Tornaghi. Narciso Manenti, invece, apparteneva ai Nuclei Armati per il Contropotere Territoriale. Giorgio Pietrostefani, infine, ex militante di Lotta Continua. I ricercati sono Maurizio Di Marzio, Raffaele Bergamin e Raffaele Ventura,[2] questi ultimi due ex membri delle Brigate Rosse e di Proletari Armati per il Comunismo.[3]

La procedura che ha portato agli arresti del 28 aprile ha subìto un’accelerata a seguito dell’incontro in videoconferenza avvenuto il 9 aprile scorso tra la ministra Marta Cartabia e il suo omologo Eric Dupont-Moretti, al quale ha presentato “una richiesta urgente delle autorità italiane a non lasciare impuniti gli attentati”, urgenza dettata principalmente dal fatto che le richieste di arresto europeo sono prossime alla scadenza.[4] La richiesta della ministra Cartabia, peraltro, pare sia stata preceduta, solo pochi giorni prima, da una telefonata tra il presidente della Repubblica Emmanuel Macron e il presidente del Consiglio Mario Draghi.[5]


Estradizione o mandato d’arresto europeo?

Orbene, prima di procedere ad un approfondimento politico sulla questione e sulle ragioni per le quali gli arresti in Francia siano avvenuti dopo oltre quarant’anni dai fatti, pare opportuno effettuare una breve analisi giuridica degli istituti coinvolti. Invero, proprio il lungo lasso di tempo intercorso tra l’accadimento dei fatti e gli arresti del 28 aprile scorso sollevano una questione giuridica piuttosto interessante, ovvero se sia stato applicato, al caso di specie, l’istituto dell’estradizione o quello del mandato di arresto europeo. Le due procedure, seppure affini, non sono tra loro perfettamente sovrapponibili, sicché appare opportuno evidenziarne le differenze.

In linea generale, l’estradizione rappresenta lo strumento tradizionale di collaborazione e cooperazione tra Stati. Mediante tale strumento, si offre (estradizione passiva o per l’estero) o si richiede (estradizione attiva o dall’estero) dallo Stato italiano ad altro Stato la consegna di un imputato o di un condannato, affinché quest’ultimo venga sottoposto a procedimento penale ovvero all’esecuzione di una sentenza definitiva.[6]

L’estradizione trova applicazione, in altre parole, ogni qual volta un cittadino di uno Stato si sia reso responsabile di un reato e abbia trovato rifugio in un altro Stato, al fine di sottrarsi al processo o all’esecuzione della pena.

Il mandato di arresto europeo, invece, può essere definito come una sorta di estradizione semplificata con la quale ne condivide, di fatto, il fine ultimo. Entrambe le procedure, difatti, culminano con la consegna del “rifugiato” allo Stato che ne ha fatto richiesta, affinché possa essere giudicato o possa scontare la pena per la quale è intervenuta la condanna definitiva.[7]

La prima differenza (ma non l’unica) tra le due procedure attiene all’area di applicabilità dei rispettivi istituti. Il mandato di arresto europeo, difatti, può trovare applicazione solo tra gli Stati appartenenti all’Unione europea, altrimenti dovrà essere applicata la procedura dell’estradizione.

Come accennato, vi sono ulteriori differenze tra le due procedure, e sono tutte finalizzate a rendere più veloce e snella la procedura di arresto europeo. In primo luogo, difatti, si rileva come tale istituto affondi le proprie radici nel principio del mutuo riconoscimento delle decisioni poste in essere dalle autorità giudiziarie degli altri Paesi dell’Unione. Ciò significa, in altre parole, che qualora uno Stato dell’Unione emetta un mandato di arresto europeo, lo Stato cui è destinata la richiesta – presso il quale abbia trovato rifugio il soggetto – dovrà procedere all’esecuzione dell’arresto, senza che questo sia preceduto da alcuna forma di controllo, convalida o valutazione nel merito.[8]

Al contrario, l’istituto dell’estradizione viene regolato quasi esclusivamente da norme in materia di diritto internazionale e da trattati debitamente ratificati dai singoli Stati. In Italia, inoltre, viene regolato sia dalle disposizioni costituzionali che dalle norme del codice di procedura penale.  In particolare, si rileva come l’estradizione si presenti come un complesso di atti, sia amministrativi sia giudiziari, che impongono un controllo sul merito delle richieste e una consistente collaborazione degli organi politici dei rispettivi Paesi.

Il controllo sul merito da parte degli organi giudiziari interni e la consistente collaborazione amministrativa – e, quindi, la complessità che ne consegue – trovano la propria ragion d’essere nella “diversità” degli ordinamenti giuridici, amministrativi e politici con i quali i rispettivi Paesi si interfacciano. In particolare, lo Stato che si trovi a dover valutare una richiesta di estradizione, potrà negarla qualora ritenga che lo Stato richiedente possa sottoporre il soggetto a trattamenti disumani o in contrasto con le garanzie e le libertà fondamentali dell’uomo.

Un’altra differenza piuttosto rilevante tra la procedura di estradizione e quella del mandato di arresto europeo risiede nelle funzioni e nel ruolo svolto dagli organi governativi, in particolare dal ministro della Giustizia.

Invero, nell’ambito della procedura di estradizione, il ministro della Giustizia svolge un ruolo centrale se non esclusivo.[9] L’art. 720 del codice di procedura penale, difatti, radica in capo a questo la competenza a “domandare a uno stato estero l’estradizione di un imputato o di un condannato”. E sempre al ministro, inoltre, è affidata la decisione in ordine alle tempistiche di presentazione della richiesta, il quale “può decidere di non presentare la domanda di estradizione o di differirne la presentazione, quando questa può pregiudicare la sovranità, la sicurezza o altri interessi essenziali dello Stato, dandone comunicazione all’autorità giudiziaria competente”.

L’esclusività, invece, risponde all’esigenza di dare rilievo a considerazioni di natura politica, le quali sono necessarie al fine di valutare l’opportunità o meno di una richiesta di collaborazione internazionale.[10]

Nell’ambito della procedura del mandato di arresto europeo, al contrario, il ministro della Giustizia ricopre un ruolo marginale, da intermediario o mero organo di assistenza amministrativa. [11]

Le differenze sin ora analizzate, pertanto, consentono di rilevare come la procedura del mandato di arresto europeo risulti consistentemente alleggerita rispetto a quella di estradizione. E tale alleggerimento si riflette, inevitabilmente, sulle tempistiche di consegna del soggetto richiesto. In presenza di un mandato di arresto, difatti, in linea generale, la procedura viene conclusa nel giro di tre mesi circa.[12] In caso di richiesta di estradizione, al contrario, la procedura può durare anni.


Una procedura ibrida

A ogni buon conto, in conclusione, occorre capire quale dei due istituti sia stato applicato al caso in esame e per quale ragione.

Si rileva, infatti, come gli organi preposti alla comunicazione abbiano fatto continui riferimenti sia al mandato di arresto europeo che all’estradizione, tanto da poter generare confusione in chi legge. Da un esame più approfondito, però, emerge come tale confusione sia da ritenersi, in un certo senso, legittima. L’Italia, difatti, ha emesso richieste di estradizione nei confronti di alcuni ricercati, mentre nei confronti di altri ha emesso richieste di mandato di arresto europeo.

Deve ritenersi però che le richieste formulate dall’Italia – sebbene talune con la forma del mandato di arresto europeo – vengano tutte trattate dalla Francia come procedure di estradizione.[13] 

Le ragioni di tale affermazione sono da rivenire, in primo luogo, nei colloqui intervenuti tra Macron e Draghi e in quello intervenuto tra i rispettivi ministri della Giustizia. Come si è detto, difatti, l’intervento dell’organo politico trova centralità solo nell’abito delle procedure di estradizione.

In secondo luogo, dalle dichiarazioni rese dalla Francia in sede di approvazione della decisione quadro 2002/584/GAI del 13 giugno 2002, mediante la quale l’Unione europea introduceva l’istituto del mandato di arresto. In quella sede, infatti, la Francia dichiarava che, in qualità di Stato dell’esecuzione, avrebbe continuato a trattare le richieste relative a reati commessi prima del 1° novembre 1993 – data di entrata in vigore del trattato sull’Unione europea firmato a Maastricht il 7 febbraio 1992 – secondo il sistema di estradizione applicabile anteriormente al 1° gennaio 2004.[14] Nel caso che ci occupa è pacifico che ci si muova nell’ambito di reati commessi anteriormente al 1° novembre 1993 e che, pertanto, debba trovare applicazione l’istituto dell’estradizione e non quello del mandato di arresto europeo.

Alla luce di quanto sin ora esposto, è doveroso chiedersi per quale ragione e che cosa abbia permesso ai sette ex terroristi rifugiatisi in Francia, e tratti in arresto il 28 aprile scorso, di non essere sottoposti alla procedura di estradizione. Quindi, di essersi potuti sottrarre al processo e, successivamente, all’esecuzione della pena per tutti questi anni.


La dottrina Mitterrand

Lo scatto fotografico di Rob C. Croes per ANeFo immortala l’allora Presidente francese Francois Mitterrand durante la sessione conclusiva del quarantennale del Congresso
dell’Europa, tenutosi a L’Aja il 7 maggio 1988.
Fonte: Nationaal Archief/Wikimedia Commons

La ragione per la quale i sette ex terroristi risedevano in Francia e hanno potuto crearsi una nuova vita, lontana dalle scelte del passato e da quelli che sono stati “gli anni di piombo” in Italia, è da individuarsi nella cosiddetta dottrina Mitterrand: una linea politica stabilita nel 1985 dal presidente socialista francese Francois Mitterrand. Egli, dopo un’intesa con Bettino Craxi, aveva concesso asilo ai rifugiati italiani a condizione che questi ultimi avessero rinunciato al terrorismo e alla lotta armata.[15]

Le ragioni alla base di questa scelta sono molteplici. La Francia nel 1985 si presentava come un Paese diverso sia politicamente che culturalmente. Da un lato, difatti, l’accordo con Bettino Craxi era legato, principalmente, al timore del presidente Mitterrand che i rifugiati potessero collaborare con Action Directe (gruppo terroristico di estrema sinistra), che aveva contatti attivi con altri gruppi stranieri quali ad esempio ETA, GRAPO, la Rote Armee Fraktion (RAF) e Prima Linea. Dall’altro lato, non si può sottovalutare l’aspetto culturale, poiché in Francia spiccava, in quel periodo, una sinistra intellettuale che “considerava l’Italia di quel tempo come una sorta di Cile di Pinochet da cui bisognava scappare”[16]

Negli ultimi anni, tuttavia, la situazione francese ha subito delle consistenti modifiche. Il Paese è stato protagonista di diversi attacchi terroristici e gli arresti dei rifugiati italiani sono avvenuti pochi giorni dopo lo sgozzamento di un’impiegata del commissariato di Rambouillet.[17] Lo stesso giorno, peraltro, veniva presentata una nuova legge anti-terrorismo mediante la quale viene esteso a due anni il periodo di sorveglianza dei soggetti che hanno terminato di scontare la pena comminata per reati di terrorismo.[18] La legge introduce, inoltre, la possibilità di utilizzo di determinati algoritmi al fine di rintracciare le radicalizzazioni in rete. Occorre aggiungere, infine, che in Francia solo negli ultimi mesi sono stati sventati almeno trentacinque attentati e che dal 2015 si contano circa duecentosettanta vittime.[19]

È questo lo scenario attuale nel quale si inserisce il cambio di rotta francese e la sospensione della dottrina Mitterrand.  Uno scenario contemporaneo che il presidente Macron ha utilizzato per legittimare l’accoglimento della richiesta di estradizione italiana e disapplicare la vecchia dottrina dopo oltre quarant’anni dall’accadimento dei fatti e dopo decenni di asilo politico prestato ai cosiddetti “ex-terroristi”.

Non si può ignorare, tuttavia, la presa di posizione di un gruppo di intellettuali francesi, i quali, in un articolo pubblicato su Le Monde, hanno chiesto di non abbandonare la dottrina Mitterrand poiché

elle se pose le problème de la recomposition de cette fracture. Elle n’efface pas les fautes et les responsabilités, elle ne nie pas l’histoire de ce qui s’est produit. Elle permet simplement au pays de recommencer à vivre; et sans doute aussi aux historiens de pouvoir commencer à faire leur travail, c’est-à-dire de transformer la douleur lancinante en objets de savoir”.[20]


È possibile rieducare dopo decenni?

All’indomani degli arresti, invece, in Italia la reazione è stata differente. I vari esponenti politici hanno commentanto con soddisfazione la collaborazione del governo francese con quello italiano, tanto che alcuni hanno parlato di “storico risultato” e altri hanno sostenuto che ora la giustizia potrà fare il suo corso nel rispetto della memoria delle vittime.[21]

Ma è davvero così? Dopo quarant’anni si può parlare ancora di giustizia? Dopo quarant’anni dall’accadimento dei fatti, l’esecuzione della pena potrebbe realmente tendere al fine della rieducazione ai sensi dell’art. 27 della Costituzione o, al contrario, si corre il rischio di affidare alla pena mero scopo retributivo o addirittura vendicativo?[22]

Se si prova, brevemente, a fare un salto nel contesto storico di quegli anni ci si rende conto, da un lato, di trovarsi in un Paese già colpito dal terrorismo di destra che, per lo più,[23] faceva ricorso ad attentati dinamitardi in luoghi pubblici, i quali provocavano stragi, probabilmente al solo scopo di diffondere il panico nel Paese e favorire una svolta autoritaria.[24]  Dall’altro, ci si trovava dinnanzi ad uno Stato debole, minato dalla corruzione politica, e dinnanzi al timore della sinistra che il Paese potesse subire un colpo di Stato per mano del terrorismo di destra spalleggiato dalle istituzioni. Tale timore, difatti, ha alimentato la giustificazione di una risposta violenta.[25] È questo il contesto nel quale si è inserito, quindi, anche il terrorismo di sinistra.

In altre parole, ci si rende conto della complessità di quegli anni, caratterizzati da un livello di disordini sociali e di violenza senza precedenti, che trova terreno “nell’incapacità della classe dirigente di ricomporre il conflitto modificando gli equilibri di potere e di ridisegnare un nuovo contratto sociale”.[26]

Gli anni di piombo e quelli successivi sono stati caratterizzati da esasperate indagini giudiziarie, processi, sentenze e depistaggi che in molti casi non hanno permesso di individuare gli autori materiali dei fatti e nemmeno i mandanti, ma hanno permesso di ricostruire le dinamiche degli episodi, scardinare il terrorismo e ricomporre il Paese.[27]

Ad oggi, però, si può affermare che il contesto storico, politico e sociale sia completamente diverso e che gli anni di piombo possano definirsi abbondantemente chiusi, sebbene le verità processuali abbiano lasciato zone d’ombra e domande senza risposta.[28] La maggior parte dei protagonisti di quegli anni è in stato di libertà e quasi tutti sono alle prese con una nuova vita. Non si vuole, pertanto, negare il dolore delle vittime e dei loro familiari, dinnanzi al quale non si può fare altro che mantenere un rispettoso silenzio. Quanto, al contrario, sottolineare come procedere all’estradizione dopo decenni non restituirà né prestigio o “sovranità” allo Stato italiano, né consentirà alla pena di adempiere alla funzione della rieducazione ai sensi dell’art. 27 della Costituzione. La disposizione, infatti, è inquivocabile nel suo tenore letterale: l’art. 27 comma 3 della Costituzione stabilisce che “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. La disposizione, quindi, esclude che la sanzione penale possa essere intesa in senso “retributivo” ben dovendo, pertanto, “assumere una connotazione di “recupero sociale”, finalizzata al reinserimento e nella società del colpevole”.[29]

Ci si chiede, inevitabilmente, a quale reinserimento[30] e rieducazione possa tendere una pena che intervenga dopo più di quarant’anni dai fatti, nei confronti di uomini e donne alle prese con una nuova vita, diversa da quella degli anni di piombo.

E non si può fare a meno di rilevare che, in questo Paese, in passato come attualmente, dinnanzi alla commissione di reati politici e non solo, continuiamo a confrontarci con “due Italie” opposte negli assetti istituzionali: da una parte una carta Costituzionale “avanzata” figlia della resistenza antifascista, la quale all’art. 27 contempla, appunto, il principio della rieducazione del condannato e, inoltre, intende la nozione di reato politico come garanzia dalla repressione nei confronti di ordinamenti autoritari[31]; dall’altra parte, una legislazione “ordinaria” formulata nel ventennio o addirittura nell’età prefascista, che tende alla repressione dei reati politici e rimarca la sua essenza autoritaria nel rapporto tra Stato e cittadini.[32]

Melanie Luperto per www.policlic.it


Note e riferimenti bibliografici

[1] Con l’espressione “anni di piombo” si è soliti indicare un periodo storico caratterizzato da un attivismo politico violento volto a minare l’ordine costituito. In Italia si fa riferimento al periodo storico compreso tra il 1969 e il 1982. Appare più completa, tuttavia, con riferimento alla situazione italiana, l’espressione “anni di piombo e di tritolo” poiché ricomprende sia l’attivismo politico violento di sinistra che ricorreva al “piombo” e cioè alle armi, sia il terrorismo di destra il quale ricorreva al tritolo al fine di commettere attentati dinamitardi. Sul punto si veda G. Oliva, Anni di piombo e di tritolo. 1969-1980 il terrorismo nero e il terrorismo rosso da piazza Fontana alla strage di Bologna, Mondadori, Milano 2019.

[2] In particolare: «Giovanni Alimonti, brigatista rosso, deve espiare la pena di anni 11, mesi 6 e giorni 9 di reclusione e la misura di sicurezza della libertà vigilata per 4 anni per banda armata, associazione con finalità di terrorismo, concorso in violenza privata aggravata, concorso in falso in atti pubblici. Tra i vari delitti per cui vi è condanna figura anche il tentato omicidio del vice Dirigente della Digos dr. Nicola Simone. Il 27/02/2013 è stato emanato un mandato di cattura europeo con scadenza l’8/01/2022; Enzo Calvitti, brigatista rosso, deve espiare la pena di anni 18, mesi 7 e giorni 25 di reclusione e la misura di sicurezza della libertà vigilata per 4 anni per banda armata, associazione con finalità di terrorismo, associazione sovversiva, e ricettazione di armi. Il 19/06/1998 è stato emanato un mandato di cattura europeo con scadenza il 21/12/2021; Roberta Cappelli, brigatista rossa, deve espiare la pena dell’ergastolo con isolamento diurno di anni 1, per associazione con finalità di terrorismo, concorso in rapina aggravata, concorso in omicidio aggravato. Risulta responsabile degli omicidi del Gen.  dei CC E. Galvaligi, dell’Agente della P.S. Michele Granato, del V. Questore Sebastiano Vinci e dei ferimenti del Dr. Domenico Gallucci e del V. Questore Nicola Simone. Il 15/12/1998 è stato emanato un mandato di cattura europeo con scadenza il 30/07/2022; Marina Petrella, brigatista rossa, deve espiare la pena dell’ergastolo con isolamento diurno per 6 mesi per omicidio. È stata condannata per l’omicidio del Gen.  dei CC E. Galvaligi, il sequestro del giudice G. D’urso, l’attentato al V. Questore Nicola Simone, il sequestro dell’Assessore regionale della D.C. Ciro Cirillo e l’uccisione dei due operatori di scorta. Il 27/02/2013 è stato emanato un mandato di cattura europeo con scadenza l’8/01/2022; Sergio Tornaghi, brigatista rosso, deve espiare la pena dell’ergastolo per partecipazione a banda armata, propaganda ed apologia sovversiva, pubblica istigazione, attentato per finalità di terrorismo e di eversione, detenzione e porto illegale di armi e violenza privata. Il 25/09/1996 è stato emanato un mandato di cattura europeo con scadenza il 5/05/2023; Narciso Manenti, “Nuclei armati Contropotere Territoriale”, deve espiare la pena dell’ergastolo per l’omicidio per l’app. dei CC Guerrieri Giuseppe, anni 2 e mesi 6 di reclusione per ricettazione e detenzione e porto abusivo di armi ed anni 3 mesi 6 di reclusione per associazione sovversiva e artecipazione a banda armata. Il 13/09/2005, risulta inserito in SIS II il mandato di cattura europeo con scadenza il 6/07/2023; Giorgio Pietrostefani, “Lotta Continua”, deve espiare la pena di anni 14, mesi 2 e giorni 11 di reclusione per l’omicidio del Commissario di Polizia Luigi Calabresi. Il 26/01/2000 è stato emanato il mandato di cattura europeo con scadenza il 9/09/2023». Informazioni estratte da documentazione consultabile su https://www.lastampa.it/cronaca/2021/04/28/news/francia-arrestati-7-membri-delle-brigate-rosse-1.40208242 [ultima consultazione: 12 giugno 2021].

[3] https://www.opiniojuris.it/la-dottrina-mitterrand-litalia-chiude-i-conti-con-il-passato/ di D. Nocerino, 3 maggio 2021 [ultima consultazione: 12 giugno 2021].

[4] Per conoscere la data di prescrizione di ogni singolo mandato di arresto v. nota 2.

[5] https://ilmanifesto.it/addio-dottrina-mitterrand-sette-arresti-in-francia/ di A. M. Merlo, 28 aprile 2021 [ultima consultazione: 12 giugno 2021].

[6] Sul punto L. Kalb, L’estradizione: A) per l’estero, in esecuzione e rapporti con autorità giurisdizionali straniere, in “Trattato di procedura penale”, VI (2009), p. 568.

[7] In questo senso: P. Tonini, I rapporti giurisdizionali con autorità straniere, in “Manuale di Procedura penale”, XX (2019), p. 1107; per ulteriori approfondimenti: M. R. Marchetti, Rapporti giurisdizionali con autorità straniere, in G. Conso, V. Grevi e M. Bargis (a cura di), Compendio di procedura penale, VII (2014), p. 1164.

[8] Cfr. Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo su «Riconoscimento reciproco delle decisioni definitive in materia penale», del 26 luglio 2000, COM (2000) 495, p. 4.

[9] P. Tonini, op. cit., p. 1093.

[10] M. R. Marchetti, op. cit., p.1161.

[11] P. Tonini, op. cit., p. 1107.

[12] Per ulteriori approfondimenti: https://www.altalex.com/guide/mandato-di-arresto-europeo del 18 novembre 2020 [ultima consultazione: 12 giugno 2021].

[13] Si veda: http://www.dirittoegiustizia.it/news/15/0000102646/Quale_procedura_per_la_consegna_all_Italia_dei_terroristi_arrestati_in_Francia.html di A. Chelo del 4 maggio 2021 [ultima consultazione: 12 giugno 2021].

[14] La ragione per la quale, invece, l’Italia, in alcuni casi, ha proceduto con la richiesta di mandato di arresto europeo è da rinvenire nella dichiarazione rilasciata dalla stessa, mediante la quale stabiliva che, diversamente dalla Francia, avrebbe continuato “a trattare in conformità delle norme vigenti in materia di estradizione tutte le richieste relative a reati commessi prima della data di entrata in vigore della decisione quadro sul mandato di arresto europeo”; per ulteriori approfondimenti: https://eurlex.europa.eu/legalcontent/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32002F0584&from=IT;

[15] https://it.euronews.com/2021/04/28/cos-e-la-dottrina-mitterand-e-perche-la-francia-ha-concesso-asilo-ad-ex-brigatisti di A. M. Storto.

[16] https://www.opiniojuris.it/la-dottrina-mitterrand-litalia-chiude-i-conti-con-il-passato/ [ultima consultazione: 12 giugno 2021].

[17] https://www.lastampa.it/esteri/2021/04/23/news/francia-tunisino-uccide-una-funzionaria-di-polizia-in-commissariato-ha-urlato-allah-akbar-1.40188759 [ultima consultazione: 12 giugno 2021].

[18] https://ilmanifesto.it/addio-dottrina-mitterrand-sette-arresti-in-francia/  di A. M. Merlo, 28 aprile 2021 [ultima consultazione: 12 giugno 2021].

[19] V. nota 18.

[20]Essa è stata funzionale alla ricostruzione delle fratture all’interno dell’Italia. Essa non nega quanto è accaduto nella storia e le responsabilità. Essa semplicemente permette al Paese i ricominciare a vivere; e senza dubbi permette agli storici di poter fare il loro lavoro e cioè trasformare il dolore lancinante in conoscenzahttps://www.lemonde.fr/idees/article/2021/04/20/reaffirmer-la-doctrine-mitterrand-sur-les-exiles-politiques-ne-signifie-en-aucun-cas-donner-a-l-italie-des-lecons-en-matiere-de-justice_6077367_3232.html;

[21] https://www.repubblica.it/politica/2021/04/28/news/arrestati_a_parigi_sette_ex_terroristi_draghi_soddisfazione_per_la_decisione_della_francia_-298464030/ di D. Banfo [ultima consultazione: 12 giugno 2021].

[22] Per approfondire le funzioni della pena, v. F. Battista, Prigioni e urbs: i detenuti nell’oblio dell’indifferenza, in “Policlic” n. 6, scaricabile all’indirizzo https://www.policlic.it/policlic-n-6/

[23] Per completezza, occorre dare conto del fatto che non tutti i gruppi extraparlamentari di destra ricorrevano agli attentati dinamitardi. In particolare, occorre menzionare l’esperienza dei NAR (Nuclei Armati Rivoluzionari), i quali, contrariamente a tutti i movimenti della destra eversiva, rivolsero le proprie armi e la violenza direttamente contro lo Stato; rapida consultazione su https://it.wikipedia.org/wiki/Terrorismo_nero;

[24] G. Sabbatucci e V. Vidotto, Il mondo contemporaneo dal 1848 a oggi, Laterza, Bari 2012, p. 590.

[25] Ivi, p. 591.

[26] Mario Grispigni, La strage è di Stato. Gli anni Settanta, la violenza politica e il caso italiano, in Simone Neri Serneri (a cura di), Verso la lotta armata. La politica della violenza della sinistra radicale degli anni Settanta, Il Mulino, Bologna 2012, p. 99.

[27] G. Oliva, Anni di piombo e di tritolo. 1969-1980 il terrorismo nero e il terrorismo rosso da piazza Fontana alla strage di Bologna, Mondadori, Milano 2019, p. 25.

[28] Ivi, p. 355.

[29] I. Nicotra, Pena e reinserimento sociale Ad un anno dalla “sentenza Torreggiani”, consultabile su: https://www.dirittopenitenziarioecostituzione.it/images/pdf/saggi/I_Nicotra_Pena_e_reinserimento_sociale.pdf [ultima consultazione: 12 giugno 2021].

[30] Sul punto occorre dare conto della polemica intervenuta in ordine alla erogazione del Reddito di cittadinanza in favore di alcuni ex brigatisti. In particolare, si fa riferimento al sussidio assegnato all’ex terrorista Federica Saraceni, condannata ad anni 21 e mesi 6 per l’omicidio di Massimo D’Antona e attualmente sottoposta alla pena detentiva dei domiciliari. Al netto delle polemiche intervenute, tuttavia, l’INSP (ente erogatore del servizio) ritiene che i requisiti per la percezione del RDC siano presenti. Si rileva, infatti, che la norma circoscrive a dieci anni dalla richiesta di RDC, il periodo entro cui non devono essere intervenute condanne penali. La condanna di Federica Saraceni è intervenuta dodici anni fa; per ulteriori approfondimenti: https://www.ilsole24ore.com/art/sussidio-ex-brigatista-saraceni-lega-pd-e-fdi-contro-reddito-cittadinanza-AC6di0n; [ultima consultazione: 12 giugno 2021].

[31] Per ulteriori approfondimenti: G. Silvestri, Estradizione, mandato di arresto europeo e altre forme di cooperazione in materia penale. Incontro di studio tra la Corte costituzionale italiana ed i Tribunali costituzionali di Spagna e Portogallo, consultabile           su: https://www.cortecostituzionale.it/documenti/convegni_seminari/RI_Silvestri_Lisbona20121116.pdf [ultima consultazione: 12 giugno 2021].

[32] G. Oliva, op. cit., p. 356.

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