I Patti lateranensi

I Patti lateranensi

L’uso della religione per consolidare il regime

I rapporti tra Stato italiano e Chiesa dopo la presa di Roma

L’11 febbraio 1929 Benito Mussolini, capo del Governo italiano e duce del fascismo, e il cardinale Pietro Gasparri, Segretario di stato vaticano, si incontrarono presso i palazzi del Laterano e siglarono i Patti lateranensi, che presero il loro nome proprio dal luogo della firma[1]. Con la stipula dei Patti lateranensi, si chiudeva ufficialmente l’annosa questione romana che durava da poco meno di sessanta anni.

I rapporti tra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica, infatti, furono contrassegnati da tensioni che periodicamente emergevano sin dall’Unità d’Italia del 1861, ma ancor di più a partire dalla presa di Roma del 1870[2]. Dopo che i bersaglieri capitanati da Raffaele Cadorna entrarono in Roma attraverso la breccia di Porta Pia il 20 settembre 1870[3], si palesò immediatamente il problema di come regolare i rapporti tra l’Italia e la Santa Sede.

Il governo italiano era allora guidato dall’esponente della Destra storica Giovanni Lanza, che già nel 1871 varò la cosiddetta legge delle guarentigie, che avrebbe dovuto, nella visione del governo, sanare i dissidi con il Vaticano e con il papa, Pio IX. Il provvedimento era diviso in due parti: nella prima parte venivano definite le prerogative del pontefice, a cui veniva garantita l’extraterritorialità dei palazzi vaticani e di Castel Gandolfo, concesso un appannaggio annuo di tre milioni di lire, versate dallo Stato italiano, e permesso di tenere guardie armate a difesa dei palazzi vaticani. Nella seconda parte della legge venivano fissati i rapporti tra il clero italiano e lo Stato. Tra le altre cose, i vescovi venivano esentati dal giuramento di fedeltà al re, e si garantiva al clero piena libertà di riunione[4]. Queste concessioni erano però definite inaccettabili da Pio IX, che le definì “un mostruoso prodotto della giurisprudenza rivoluzionaria”[5].

Insomma, Pio IX non era disposto a riconoscere lo Stato italiano, e nemmeno ad accettare il fatto compiuto dell’unificazione. Questo atteggiamento non era destinato a cambiare, e anzi si concretizzò nel 1874 nel cosiddetto non expedit (non giova, non conviene). Il 10 settembre di quell’anno, infatti, un decreto della Sacra Penitenzieria, passato alla storia, appunto, come non expedit, vietava ai cattolici di partecipare alle elezioni e alla vita politica italiane, sia come candidati che come elettori[6]. Questo era un divieto pesante per i cattolici, che di fatto rinunciavano a far sentire la propria voce nel dibattito politico italiano, e tale divieto non ebbe vita breve. Ancora nel 1895 il successore di Pio IX, Leone XIII, con una lettera al cardinale Lucido Maria Parocchi nota come Quale debba, ribadiva che “nulla si è da Noi immutato delle suddette disposizioni”[7] e si raccomandava “a quanti sono veramente cattolici di volere acquetarsi” e di rispettare le disposizioni che erano già state impartite da Pio IX[8].

Soltanto all’inizio del Novecento, con Pio X sul soglio pontificio, le cose cominciarono a cambiare, in modo comunque graduale e abbastanza lento. Nel 1905 Pio X pubblicò l’enciclica Fermo proposito, che, pur non abolendo il non expedit, in qualche modo lo superava, consentendo ai cattolici la partecipazione alla vita politica se fossero venute a crearsi determinate condizioni riconosciute dai vescovi[9]. Questa disposizione era in realtà abbastanza vaga, e lasciava spazio a interpretazioni. D’altra parte, l’atteggiamento di Pio X e del Vaticano in generale in relazione alla partecipazione attiva dei cattolici alla politica italiana non fu sempre conciliante, anzi: nel 1909 il sacerdote Romolo Murri, fondatore della Lega Democratica Nazionale – il primo partito cattolico italiano – venne scomunicato proprio perché aveva deciso di candidarsi alle elezioni (quando, tra l’altro, risultò anche eletto)[10].

Rispetto ai tempi di Pio IX, però, non poteva non notarsi un attenuamento dell’ostilità della Chiesa nei confronti dell’Italia. La cosa fu percepita anche dal dominatore politico dei primi quindici anni del Novecento, Giovanni Giolitti, che, da Presidente del Consiglio, dopo aver varato il suffragio universale maschile nel 1912, si rivolse proprio ai cattolici per cercare di tamponare la possibile avanzata dei socialisti ora che il bacino di elettori era sensibilmente più ampio[11]. Con Giolitti si confrontò il presidente dell’Unione elettorale cattolica italiana, il conte Vincenzo Ottorino Gentiloni. I due giunsero, nel 1913, a un accordo informale in 7 punti[12], che sostanzialmente vedeva da un lato i cattolici appoggiare i candidati liberali alle elezioni, e dall’altro garantiva a Gentiloni e alla sua Unione voce in capitolo sulla scelta dei candidati giolittiani[13]. Il “patto Gentiloni” diede gli effetti sperati: alle elezioni del 1913 i liberali ottennero 270 seggi sui 508 disponibili[14], conquistando la maggioranza alla Camera, nonostante il suffragio universale maschile potesse contribuire a mettere in difficoltà Giolitti e il suo sistema di potere.

Giovanni Giolitti (Meyers/Wikimedia, licenza di pubblico dominio), link: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Giolitti2.jpg?uselang=it

<Nel primo Dopoguerra, infine, vennero eliminati gli ultimi ostacoli per la partecipazione cattolica alla vita politica italiana: nel 1919 Benedetto XV abolì il non expedit[15], e sin dalla elezioni del 1919, le prima dopo la guerra, i cattolici poterono partecipare al voto con un proprio partito, il Partito Popolare di don Luigi Sturzo[16], che si scontrò nell’agone politico fino a che il fascismo non spazzò via lo stato liberale[17].

Benito Mussolini, che prese il potere nel 1922, ereditava comunque una situazione già meno complicata rispetto a quella nata nel 1870. Stato e Chiesa avevano ammorbidito le loro posizioni reciproche nel corso degli anni, e i tempi cominciavano a essere maturi per lavorare a un superamento definitivo della questione romana.


Mussolini anticlericale

Le posizioni socialiste che Benito Mussolini tenne in gioventù, con tanto di partecipazione attiva alla vita del Partito socialista e dell’organo di partito, l’“Avanti!” – di cui tra il 1912 e il 1914 fu anche direttore – sono note[18]. Al socialismo si accompagnava un anticlericalismo abbastanza spinto, cosa peraltro non inusuale per i militanti di quella che allora era considerata l’estrema sinistra.

Le posizioni ostili del giovane Mussolini nei confronti della religione e in particolare della Chiesa emersero abbastanza precocemente. Già per il 1904, anno che Mussolini trascorse principalmente in Svizzera, sono citabili due episodi. Di quell’anno è infatti una sua pubblicazione, intitolata L’uomo e la divinità, in cui il futuro Duce negava l’esistenza di Dio e accusava la morale cattolica di essere vile[19]. Più aneddotico è invece il secondo episodio. A Losanna Mussolini partecipò a un dibattito con un pastore protestante; argomento del dibattito: l’esistenza di Dio. Durante il dibattito Mussolini salì sul tavolo, estraendo il suo orologio dalla tasca, e affermo, rivolgendosi a Dio: “Se ci sei veramente, mi devi fulminare entro cinque minuti!”[20].

Le posizioni di Mussolini nei confronti della religione e della Chiesa non si ammorbidirono nemmeno negli anni immediatamente precedenti la Prima guerra mondiale, quando, tornato in Italia, egli era diventato uno dei principali e più noti esponenti socialisti. Dall’“Avanti!”, da lui diretto, venivano spesso lanciati strali contro la Chiesa[21], e questi continuarono anche quando, nel 1914, Mussolini lasciò insieme giornale e Partito socialista schierandosi a favore dell’intervento nella Prima guerra mondiale e fondando il suo giornale, “Il Popolo d’Italia”[22].

Come detto, queste posizioni anticlericali non erano insolite per coloro i quali appartenevano e si rifacevano al mondo socialista. Esse, però, ebbero un’appendice nella vicenda personale di Mussolini anche dopo il salto dall’altro lato dello schieramento politico.

Nel 1919 Benito Mussolini fondò, in Piazza San Sepolcro a Milano, il movimento dei Fasci di combattimento, che di lì a qualche anno sarebbe diventato il Partito fascista. Nel programma dei neonati Fasci di combattimento, pubblicato il 6 giugno 1919 nella prima pagina del Popolo d’Italia, Mussolini elencava tutti i punti programmatici che il nuovo momento si proponeva di perseguire. Tra le misure volte a risolvere il “problema finanziario” era citato il “sequestro di tutti i beni delle congregazioni religiose e l’abolizione di tutte le mense vescovili, che costituiscono una enorme passività per la Nazione e un privilegio di pochi”[23]. Anche se nel programma dei Fasci di combattimento non c’erano ulteriori riferimenti alla Chiesa e alla religione, già solo questo punto programmatico era indice di un atteggiamento di Mussolini ancora molto negativo nei confronti del cattolicesimo.

D’altra parte, in quei primissimi mesi di vita del movimento fascista, c’erano almeno due ulteriori motivi che contribuivano a tenere distanti Mussolini e la Chiesa. Da un lato, infatti, come si è visto, Benedetto XV aveva abolito il non expedit e don Luigi Sturzo aveva fondato il Partito popolare italiano, e sembrava naturale che la gerarchia ecclesiastica appoggiasse il primo partito cattolico della storia d’Italia[24]. Dall’altro lato, se è vero che le violenze dello squadrismo fascista si rivolsero principalmente contro i socialisti, non mancarono casi di assalti diretti contro associazioni cattoliche[25], e la cosa non poteva piacere al papa.

Questi, però erano gli ultimi atti di una rivalità che andava sanandosi. A partire dai primi anni Venti del Novecento, infatti, iniziò un percorso di riavvicinamento costante – nonostante alcune difficoltà – tra la Chiesa cattolica e Mussolini, che dal 1922 avrebbe rappresentato lo Stato italiano.


Verso il concordato

Dopo la marcia su Roma e la presa del potere, Mussolini si rese conto che governare contro la Chiesa in Italia non era facile: il 99% degli italiani, infatti, si dichiarava di fede cattolica, e spesso erano le parrocchie gli unici centri di aggregazione sociale presenti sul territorio[26]. Mussolini, quindi, voltò rapidamente le spalle all’anticlericalismo che lo aveva accompagnato fino a quel punto[27] (tanto da far partecipare tutti i ministri del suo governo a una messa davanti all’Altare della Patria pochi giorni dopo l’insediamento[28]) con un obiettivo duplice: avere la Chiesa come alleato e non come avversario, facilitando così il mantenimento del potere; esautorare il Partito popolare di don Luigi Sturzo, che era visto da Mussolini come uno dei principali ostacoli per il raggiungimento dei suoi obiettivi.

Proprio su questo secondo aspetto, il Vaticano ebbe un ruolo non irrilevante nel periodo della crisi finale dello Stato liberale (1922-1925). La Chiesa, infatti, nel corso di quegli anni accordò sempre meno consenso al Partito popolare, e si avvicinò sempre di più al fascismo[29]. Già a inizio del 1923, Mussolini ebbe una serie di incontri con l’allora segretario di Stato vaticano, cardinal Gasparri, durante i quali il Duce del fascismo cercava alleati in Vaticano, prospettando in cambio la ricerca di una soluzione alla questione romana[30]. Le profferte di Mussolini furono ben accolte dal Vaticano, e tra il 1923 e il 1924 la gerarchia ecclesiastica contribuì all’esautorazione del Partito popolare, prima costringendo don Luigi Sturzo a dimettersi da segretario politico del partito, poi a lasciare l’Italia. In questo modo, non solo il Partito popolare veniva privato del suo esponente più rappresentativo, ma anche della personalità che più delle altre aveva sostenuto l’incompatibilità del cattolicesimo con il fascismo[31]. Il Vaticano, in questo modo, non solo finiva per favorire Mussolini in vista del suo consolidamento del potere, ma aveva come obiettivo anche quello di ripiegare sull’Azione cattolica come “strumento di organizzazione laica alle dirette dipendenze della gerarchia ecclesiastica”[32].

Già nel 1923, comunque, il governo Mussolini approvò un provvedimento che riscosse pareri positivi anche in Vaticano: la riforma Gentile. Tale riforma – che deve il suo nome al ministro che la ideò, il filosofo Giovanni Gentile – aveva due aspetti degni di nota, per questo articolo. Da un lato, infatti, con la riforma Gentile si superava l’impronta positivista dell’istruzione italiana, che l’aveva caratterizzata sin dalla legge Casati del 1859[33]. Soprattutto, però, la riforma introduceva l’insegnamento obbligatorio della religione a scuola, cosa che portò “L’osservatore romano” a sottolineare “l’inarrivabile virtù elevatrice” della riforma[34].

Insomma, i rapporti tra la Chiesa e il fascismo, e dunque tra Chiesa e Stato italiano, non erano mai stati così buoni, e ciò emergeva chiaramente anche dalle dichiarazioni pubbliche sia di Mussolini, che del papa Pio XI. Nel 1924 Mussolini affermava che “L’Italia è cattolica. Occorre disciplina, occorre obbedienza, occorre inoltre il rispetto alle tradizioni e alla Religione”[35]. Allo stesso modo, nel 1926, dopo che Mussolini era sfuggito all’attentato di Anteo Zamboni a Bologna, Pio XI espresse la “gioia immensa che provava nell’animo nel saperla salva e incolume interamente per ispeciale protezione di Gesù Cristo”[36].

Al di là di queste dichiarazioni pubbliche, dopo il consolidamento del regime iniziato con il discorso del 3 gennaio 1925[37], si intensificarono i rapporti tra l’Italia fascista e la Chiesa in vista di un accordo che ponesse fine alla questione romana. Entrambe le parti avevano principalmente obiettivi politici nel perseguimento di tale accordo: Mussolini voleva presentarsi sia internamente che in ambito internazionale come colui il quale aveva sanato la frattura tra Stato e Chiesa, presente in Italia sin dall’Unità, con l’obiettivo di rafforzare il proprio prestigio e di aumentare il consenso intorno a sé stesso e al suo regime[38]; alla Santa Sede, invece, premeva soprattutto la garanzia per l’Azione cattolica di poter continuare a operare, l’introduzione dell’insegnamento della religione in modo obbligatorio anche nelle scuole medie e il riconoscimento giuridico del matrimonio religioso[39]. Dietro a questi aspetti più pratici, inoltre, la Chiesa puntava a poter avere un certo peso e una certa influenza nella vita italiana, nonostante la presenza dell’autoritarismo fascista[40].


I Patti lateranensi

Il momento della firma dei Patti lateranensi, 11 febbraio 1929 (Alberto Felici/Wikimedia, licenza di pubblico dominio), link: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Firma_dei_Patti_Lateranensi.jpg?uselang=it.

Dopo alcuni anni di trattative non sempre lineari[41], nel 1929 si giunse a un accordo finale tra Stato italiano e Chiesa cattolica. L’11 febbraio 1929, presso i palazzi del Laterano, Benito Mussolini in rappresentanza dell’Italia e il cardinal Gasparri, segretario di Stato vaticano, firmarono i Patti lateranensi. I Patti si componevano di tre documenti differenti: un trattato, una convenzione finanziaria e un concordato. Con il trattato il Vaticano riconosceva lo Stato italiano e riconosceva anche Roma come sua capitale. In cambio, l’Italia riconosceva al Papa piena sovranità sulla Città del Vaticano, dichiarata neutrale e inviolabile[42]. Con la convenzione finanziaria, l’Italia si impegnava a versare nelle casse della Chiesa un’indennità a risarcimento della perdita dei domini dello Stato pontificio[43].

Infine, con il Concordato si andavano a regolare i rapporti interni tra la Chiesa e il Regno d’Italia. Lo Stato italiano si impegnava a garantire completa autonomia alla Chiesa nell’esercizio del suo magistero spirituale, mentre il cattolicesimo veniva riconosciuto come religione di Stato[44]. Una serie di articoli, poi, andavano a regolare questioni specifiche nel dettaglio: i sacerdoti venivano esentati dal servizio militare; i sacerdoti colpiti da censura ecclesiastica non avrebbero potuto essere assunti in uffici pubblici; veniva riconosciuta validità giuridica al matrimonio religioso; veniva esteso l’insegnamento della religione anche alle scuole secondarie, definendolo “fondamento e coronamento dell’istruzione pubblica”[45].

Nel Concordato si andava poi ad affrontare anche il tema dell’Azione cattolica, che, come visto, era particolarmente caro alla Santa Sede. L’Azione cattolica veniva riconosciuta dal governo italiano, e riceveva garanzie di poter continuare la propria attività, purché sotto il controllo della gerarchia ecclesiastica e completamente al di fuori del campo politico[46].

La firma dei Patti lateranensi fu un grande successo politico di Mussolini, nonostante alcune concessioni che il Duce dovette fare al Vaticano, soprattutto nel Concordato. Mussolini, infatti, poté presentarsi e fu presentato dai giornali italiani come lo statista in grado di risolvere l’annosa questione romana[47], e riuscì a estendere il consenso anche a strati della popolazione che sino ad allora erano stati, se non ostili, almeno indifferenti, stabilizzando ulteriormente il suo regime[48]. Ciò è dimostrato anche dalle lodi che pervennero a Mussolini dal mondo cattolico, alcune delle quali particolarmente significative. La “Civiltà cattolica”, ad esempio, si riferì alla firma dei Patti come “l’ora di Dio”[49], ma l’espressione destinata a passare alla storia la pronunciò Pio XI stesso. Il 14 febbraio 1929, ricevendo gli studenti e gli insegnati dell’Università Cattolica di Milano, il papa dichiarò che per risolvere la questione romana era necessario “un papa alpinista, immune da vertigini e abituato ad affrontare le ascensioni più ardue”[50] – riferendosi a sé stesso – ma anche “un uomo come quello che la provvidenza ci ha fatto incontrare[51], cioè Mussolini.

Benito Mussolini, il socialista anticlericale degli inizi, era diventato l’uomo della Provvidenza.

Ritratto di papa Pio XI (Nicola Perscheid/MK&G-Wikimedia, 1922, licenza di pubblico dominio), link: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Pius_XI,_by_Nicola_Perscheid_(retouched).jpg?uselang=it.


I contrasti tra Stato e Chiesa dopo i Patti

Come visto, la stipula dei Patti lateranensi era stata voluta, da entrambe le parti, più sulla spinta di questioni e obiettivi politici che per altri motivi ideologici o confessionali; insomma, né il fascismo era diventato un movimento composto da ferventi cattolici, né la Chiesa era diventata fascista. Piuttosto, Mussolini aveva tentato di usare la religione come instrumentum regni, mentre Pio XI aveva lo scopo di proteggere e possibilmente aumentare la sfera d’azione della gerarchia ecclesiastica nella società italiana[52].

Che l’obiettivo principale perseguito da Mussolini con i Patti lateranensi fosse quello di puntellare il regime e aumentare il suo prestigio, e non una sincera volontà di stringere un’alleanza con la Chiesa, emerse chiaramente nel 1931, quando, nonostante fossero passati appena due anni dalla firma dell’accordo, la tensione tra le due sponde del Tevere – quella italiana e quella Vaticana – riesplose.

Oggetto del contendere era nuovamente il ruolo dell’Azione cattolica, che, come abbiamo visto, era stato disciplinato dal Concordato. Il 29 maggio 1931, Mussolini dispose la chiusura di tutti i circoli dell’Azione cattolica[53]. Il motivo per cui il Duce decise di prendere questo provvedimento era, dal suo punto di vista, chiaro: l’Azione cattolica era vista come una concorrente delle organizzazioni giovanili fasciste, e si temeva che “la cultura dell’Azione cattolica rendesse molti giovani impermeabili alle pressioni ideologiche del fascismo”[54]. Pio XI ovviamente reagì, e il 29 giugno 1931 pubblicò l’enciclica Non abbiamo bisogno[55]. Il papa non trattenne le critiche al regime fascista, e anzi lo accusò di ingratitudine, perché proprio grazie ai Patti lateranensi esso aveva tratto un “aumento di prestigio e di credito”[56]. Non solo: il regime doveva essere grato all’Azione cattolica per aver tolto dal terreno politico gli appartenenti al Partito popolare, confinandoli sul terreno religioso, che per il fascismo doveva considerarsi innocuo[57]. E agendo l’Azione cattolica sul semplice terreno della religione, essa non solo non avrebbe dovuto preoccupare il regime, ma avrebbe potuto tranquillamente coesistere con le associazioni giovanili fasciste, occupandosi di campi diversi[58].

La polemica, che comunque aveva assunto toni anche aspri, non si trascinò troppo a lungo, perché nessuno dei due contendenti desiderava che lo scontro si trascinasse più del dovuto[59]. Il 2 settembre 1931 si giunse a un nuovo accordo tra Stato e Vaticano: l’Azione cattolica poteva continuare a esistere e a operare, sempre ben confinata sul campo esclusivamente religioso (non erano più consentite, ad esempio, attività sociali o sportive); essa si sarebbe organizzata su base diocesana, e il capo sarebbe stato scelto con il benestare del regime[60].

Le reazioni a questo accordo nel mondo cattolico non furono tutte positive. Don Luigi Sturzo ne rimase deluso, dopo aver sperato che il contrasto potesse portare il Vaticano a minare le fondamenta stessa del regime, e Francesco Luigi Ferrari parlò di una Chiesa genuflessa “innanzi all’altare del Moloch fascista”[61]. In realtà, nonostante le speranze dei cattolici antifascisti, portare lo scontro a inasprirsi non conveniva a nessuna delle due parti: non alla Santa Sede, a cui premeva continuare a garantire alla gerarchia ecclesiastica alcuni spazi d’azione in più possibile autonomi, e nemmeno a Mussolini, che non voleva impegnarsi in una sorta di guerra di religione interna, dagli esiti imprevisti, inimicandosi la folta base cattolica presente in Italia[62].


Conclusioni

Quello del 1931 fu l’unico grande episodio di scontro tra l’Italia fascista e la Santa Sede, almeno fino all’emanazione delle leggi razziali del 1938 e poi l’entrata in guerra dell’Italia a fianco della Germania nazista nel 1940, due atti che contribuirono ad allontanare il mondo cattolico dal regime e da Mussolini[63].

Proprio quando il regime cominciò a perdere consenso, lì si vide come i Patti lateranensi avevano contribuito a creare una situazione favorevole per la Chiesa. La politica di Pio XI, che come detto mirava a garantire alla Santa Sede un certo margine di manovra autonomo rispetto all’autoritarismo fascista, consentì al Vaticano di essere pronto quando il regime si indebolì e poi venne meno[64], mentre proprio nelle fila dell’Azione cattolica si erano formate numerose personalità che andranno a costituire la classe dirigente cattolica nel secondo Dopoguerra[65].

Proprio dopo la Seconda guerra mondiale, la Chiesa decise di impegnarsi nella vita politica italiana, cambiando approccio rispetto a quanto era avvenuto dal 1870 in poi, appoggiando convintamente – a differenza del tiepido appoggio accordato nel primo Dopoguerra al Partito popolare – la Democrazia cristiana. Nel frattempo, i Patti lateranensi finirono in Costituzione, dopo un contrasto particolarmente accesso tra le varie forze politiche in seno all’Assemblea costituente, risolto soltanto quando, a sorpresa, Palmiro Togliatti, leader del Partito comunista italiano, annunciò il voto favorevole del suo partito alla proposta presentata[66], che poi divenne l’articolo 7 della Costituzione. Quest’ultima recita: “Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti, accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale”[67].

I Patti sarebbero stati revisionati nel 1984 da Bettino Craxi. Sino ad allora, proprio in virtù dell’accordo del 1929, e nonostante non se ne facesse espressa parola in Costituzione, la religione cattolica rimase la religione di Stato della Repubblica italiana.

Con i Patti lateranensi, dunque, Mussolini aveva sfruttato la Chiesa per puntellare il regime e consolidare il suo potere, sia aumentando il proprio prestigio personale che conquistando il consenso di larga parte del mondo cattolico, che allora in Italia era largamente maggioritario. Di contro, con quegli stessi Patti, il Vaticano tutelò la propria sfera d’azione, evitò uno scontro diretto con il regime che non avrebbe probabilmente arriso alla Santa sede, e conquistò degli spazi di autonomia che senza l’accordo non ci sarebbero stati – come dimostra il tentativo di chiusura dell’Azione cattolica da parte di Mussolini.

Come accennato in precedenza, alla lunga i Patti lateranensi furono particolarmente positivi per la Chiesa: se dal 1870 al 1929 i cattolici erano rimasti esclusi dalla vita politica italiana – per il combinato disposto delle volontà della Santa sede e della classe dirigente liberale italiana – proprio con i Patti lateranensi furono poste le basi per la grandissima influenza che la Chiesa ebbe dal Dopoguerra per tutta la Prima repubblica sulla vita politica italiana. Insomma, se nell’immediato la risoluzione della questione romana fu molto utile a Mussolini per rafforzare la sua posizione, in uno dei più classici usi della religione come instrumentum regni, alla lunga fu il Vaticano a trarre i benefici più cospicui dai Patti lateranensi, che di fatto permisero loro di acquisire una rilevante influenza sulla società e sulla politica italiana.

 

Emanuele Del Ferraro per www.policlic.it

 


Riferimenti bibliografici

[1] G. Sabatucci e V. Vidotto, Storia contemporanea: il Novecento, Laterza, Roma-Bari 2008, pp. 142-143.

[2] Per approfondire le vicende che portarono alla presa di Roma, si veda E. Del Ferraro, Roma capitale: La questione romana da Teano alla breccia di Porta Pia, in “Policlic” XVI (2021), pp. 39-47, link: https://www.policlic.it/la-questione-romana-da-teano-alla-breccia-di-porta-pia/ (Ultima consultazione 13/11/2022).

[3] Ivi, pp. 46-47.

[4] G. Mazzuca, Quei patti benedetti, Mondadori, Milano 2019, versione e-book, capitolo VI.

[5] Ibidem.

[6] Si veda la voce Non expedit nell’Enciclopedia online Treccani, link: https://www.treccani.it/enciclopedia/non-expedit/ (Ultima consultazione 14/11/2022).

[7] Quale debba, Lettera di Leone XIII a L. M. Parocchi, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 14 maggio 1895, p. 1, link: https://www.vatican.va/content/leo-xiii/it/letters/documents/hf_l-xiii_let_18950514_quale-debba.pdf (Ultima consultazione 14/11/2022).

[8] Ibidem.

[9] Non expedit, cit.

[10] M. Guasco, voce Murri, Romolo, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. LXXVII (2012), link: https://www.treccani.it/enciclopedia/romolo-murri_%28Dizionario-Biografico%29/ (Ultima consultazione 14/11/2022).

[11] G. Mazzucca, op. cit., capitolo XII.

[12] Per il dettaglio si veda Ibidem.

[13] Ibidem.

[14] Ibidem.

[15] Non expedit, cit.

[16] Ibidem.

[17] Sulla presa del potere di Mussolini si veda E. Del Ferraro, I rossi e i neri: Il primo Dopoguerra dal Biennio rosso alla marcia su Roma, in “Policlic” XIII (2021), pp. 23-31, link: https://www.policlic.it/i-rossi-e-i-neri/ (Ultima consultazione 14/11/2022).

[18] Per approfondire la vita di Mussolini si veda E. Gentile, voce Mussolini, Benito, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. LXXVII (2012), link: https://www.treccani.it/enciclopedia/benito-mussolini_%28Dizionario-Biografico%29/ (Ultima consultazione 16/11/2022).

[19] Ibidem.

[20] G. Mazzucca, op. cit., capitolo XIV.

[21] Ivi, capitolo XI.

[22] Ibidem.

[23] Fasci italiani di combattimento, in “Il Popolo d’Italia”, CLIII (1919), p. 1, link: http://digiteca.bsmc.it/?l=periodici&t=Popolo%20d%60Italia(Il)# (Ultima consultazione 16/11/2022).

[24] G. Mazzucca, op. cit., capitolo XIII.

[25] E. Del Ferraro, I rossi e i neri, cit.

[26] G. Sabatucci e V. Vidotto, op. cit., p. 142.

[27] M. Gotor, L’Italia nel Novecento: Dalla sconfitta di Adua alla vittoria di Amazon, Einaudi, Torino 2019, p. 66.

[28] G. Mazzucca, op. cit., capitolo XIV.

[29] F. Malgeri, Chiesa cattolica e regime fascista, in “Italia contemporanea”, CXCIV (1994), p. 53.

[30] Ibidem.

[31] Ivi, pp. 53-54.

[32] Ivi, p. 54.

[33] O. Brino, Pragmatismo globalizzato e storicismo idealistico italiano: Dewey, Croce, Gentile e la scuola di oggi, in “Il Margine”, XXXVI (2016), pp. 10-11.

[34] C. Mazzucca, op. cit., capitolo XVII.

[35] Ivi, capitolo XIV.

[36] Ivi, capitolo XX.

[37] Per approfondire si veda E. Del Ferraro, Il giurista del regime: Alfredo Rocco tra il Tribunale speciale e il Codice penale, in “Policlic”, XV (2021), pp. 15-23, link: https://www.policlic.it/il-giurista-del-regime/ (Ultima consultazione 19/11/2022).

[38] F. Malgeri, op. cit., p. 56.

[39] Ibidem.

[40] Ibidem.

[41] Nel 1927 Mussolini decise, ad esempio, di posticipare il giro di vite sull’Azione cattolica proprio per poter arrivare a un accordo con la Chiesa. V. C. Mazzucca, op. cit., capitolo XXI.

[42] M. Gotor, op. cit., p. 66.

[43] Ibidem.

[44] Ibidem.

[45] G. Sabatucci e V. Vidotto, op. cit., p. 143.

[46] Ibidem.

[47] G. Mazzucca, op. cit., capitolo XXII.

[48] G. Sabatucci e V. Vidotto, op. cit., p. 143.

[49] G. Mazzucca, op. cit., capitolo XXII.

[50] M. Gotor, op. cit., p. 67.

[51] Ibidem.

[52] F. Malgeri, op. cit., pp. 56-57.

[53] C. Mazzucca, op. cit., capitolo XXV.

[54] F. Malgeri, op. cit., p. 57.

[55] Per il testo completo si veda Pio XI, Lettera enciclica Non abbiamo bisogno (29 giugno 1931), link: https://www.vatican.va/content/pius-xi/it/encyclicals/documents/hf_p-xi_enc_19310629_non-abbiamo-bisogno.html (Ultima consultazione 20/11/2022).

[56] Ibidem.

[57] Ibidem.

[58] Ibidem.

[59] F. Malgeri, op. cit., p. 57.

[60] C. Mazzucca, op. cit., capitolo XXV.

[61] F. Malgeri, op. cit., p. 57.

[62] Ibidem.

[63] C. Mazzucca, op. cit., capitolo XXIX.

[64] F. Malgeri, op. cit., p. 60.

[65] M. Gotor, op. cit., p. 69.

[66] V. Sabatucci e V. Vidotto, op. cit., p. 269.

[67] Link: https://www.senato.it/istituzione/la-costituzione/principi-fondamentali/articolo-7 (Ultima consultazione 20/11/2022).

L’Iri, lo Stato, le banche, l’industria

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Il 23 gennaio 1933, con il regio decreto legge n. 5, venne istituito l’Istituto di Ricostruzione Industriale (Iri)[1]. La costituzione dell’Iri prese le mosse dall'urgenza “di completare l'organizzazione creditizia mediante la creazione di un nuovo Istituto di diritto...

Le relazioni tra cinema e lavoro nel XX secolo

Le relazioni tra cinema e lavoro nel XX secolo

Cinema, lavoro e società: un trittico inscindibile Quando nel 1895, al Salon Indien du Grand Cafè di Parigi, i fratelli Lumière accesero il proiettore dando vita al cinema moderno, la prima ripresa a cui gli spettatori assistettero ritraeva donne e uomini al termine...