IRISH FILM FESTA 11 – Il secondo giorno tra cortometraggi, libri e guantoni da Boxe

IRISH FILM FESTA 11 – Il secondo giorno tra cortometraggi, libri e guantoni da Boxe

“Making Shorts” – Il mondo dei cortometraggi irlandesi incontra il pubblico del festival

Dopo l’inaugurazione serale alla presenza di S.E. l’Ambasciatore della Repubblica d’Irlanda in Italia e San Marino Colm O’Floinn, la seconda giornata dell’undicesima edizione dell’IRISH FILM FESTA riprende la tradizionale ripartizione in tre appuntamenti.
Nel primo pomeriggio ha avuto luogo un interessante incontro organizzato dall’IRISH FILM FESTA per i suoi spettatori : “MAKING SHORTS – Short Films Panel” è stata infatti la possibilità, per i curiosi ma anche per i giovani cineasti e filmmaker italiani di confrontarsi con personalità ed esperti dell’industria cinematografica del cortometraggio , una scelta stilistica ed artistica del cinema che in Irlanda è molto seguita e supportata dalle agenzie e dagli enti culturali come l’Irish Film Board e la Northern Ireland Screen che da anni finanziano programmi per la creazione di corti cinematografici. Festival come il Galway Film Fleadh ed il Cork Film Festival sono divenuti eventi di grande importanza ed attrattiva anche a livello internazionale.
Ma soprattutto, sono stati riconosciuti dall’Academy statunitense per la idoneità alla corsa agli Oscar per le categorie riservate ai cortometraggi. 

L’incontro ha coinvolto quindi figure di spicco, come selezionatori ufficiali dei festival e distributori di contenuti sia per il cinema che per la televisione, sia di origine irlandese che non : è questo il caso di Derry O’Brien , Managing Director della Network Ireland Television (società che annovera clienti in numerosi Paesi e che in Italia collabora con la RTI e la NBC Universal Italy) con una ventennale carriera nel settore.
È questo il caso di Eibh Collins, da dieci anni coinvolta come Short Film Programmer del Galway Film Fleadh e che collabora anche con altri enti di promozione della cinematografia irlandese a livello internazionale (come l’Irish Film America e l’Irish Film London) , come di Ger O’Brien, moderatore del dibattito con un recente trascorso nel gaelico Fleadh.

Durante il dibattito, i tre ospiti hanno discusso sulle potenzialità del cortometraggio, sul lavoro di programmazione, distribuzione e promozione delle pellicole nei circuiti cinematografici e del rapporto professionale con i clienti ed i registi dei corti.
Hanno inoltre offerto il loro contributo tecnico e la propria esperienza nel settore dinnanzi alle varie domande del pubblico presente, presentando anche alcuni trailer di cortometraggi vincitori di prestigiosi riconoscimenti (BAFTA ed Oscar).

Argomenti di dibattito di profondo interesse nonchè curiosità sono stati quelli riguardanti la fase di creazione di un cortometraggio, un’opera d’arte dove il tempo può contribuire al successo (e successivamente alla consacrazione) o al disastro di un regista e della sua squadra. A detta condivisa degli ospiti, i cortometraggi più ambiti in termini sia di promozione nei festival ed eventi che in termini di distribuzioni per clienti disparati non devono generalmente superare i 15-17 minuti di durata” : è raro infatti “che pellicole da 20 o 30 minuti possano avere appeal” per le categorie dei corti nei circuiti internazionali e, a detta particolare di Derry O’Brien , oramai sono pochi i clienti che acquistano corti della durata di 40 o più minuti”.

O’Brien ha avuto modo di condividere la propria ventennale esperienza su numerosi punti del dibattito, sia in qualità di Managing Director della NIT che in qualità di esperto del settore (come nell’estratto video qui riportato in cui indica anche le dinamiche di selezione delle pellicole da parte della propria azienda).

Inoltre, ha mostrato esempi delle pellicole che la Network Ireland Television ha distribuito e portato, in alcuni casi, al successo internazionale e a prestigiosi riconoscimenti : esempi da menzionre possono essere quelli di Stutterer, vincitore dell’Oscar nel 2015, Boogaloo and Graham, vincitore del BAFTA Award nello stesso anno, ma anche pellicole già presentate nelle precedenti edizioni dell’IRISH FILM FESTA come Violet e Gridlock, con tanto di successo nei concorsi del 2016 e nel 2017.

Anche la scelta del genere del cortometraggio ha dato risposte molto interessanti : stando all’opinione degli ospiti, O’Brien in primis, “è consigliabile la scelta della commedia“, perchè il compito delle società di distribuzione come dei festival “è quello di intrattere e coinvolgere il pubblico, non di far tagliar loro le vene” (una risposta che ha suscitato ilarità tra i presenti). Ha però voluto precisare come a suo dire sia “estremamente difficile creare e dirigere una commedia fatta per bene“.

Eibh Collins ha aggiunto come sia molto importante anche lo studio dei festival presenti nel circuito locale, nazionale ed internazionale “per poter fare la scelta più utile alla promozione della propria pellicola”, raccontando come anche all’interno del Galway Film Fleadh si vadano a creare, nella scrematura dei cortometraggi che annualmente vengono posti al vaglio dei selezionatori, “dei percorsi cinematografici volti a guidare il pubblico secondo un discorso, un’idea che possa suscitare in loro disparate emozioni“.
Decisamente sconsigliata quindi “l’idea di unire più lavori (drammatici come comici) aventi tematiche simili espresse in modo crescente” perchè il pubblico “potrebbe annoiarsi o restare profondamente impressionato” , come decisamente sconsigliato da parte di Derry O’Brien la scelta del “Short Film Corner” del Festival di Cannes (“non c’è alcun filtro” delle miriadi di pellicole candidate e “il costo di promozione è eccessivo”).

Saper studiare le rassegne presenti sul territorio o all’estero è utile anche per quei cortometraggi che ruotano attorno alle donne : secondo le stime riportate dagli ospiti presenti, i maggiori clienti delle società di distribuzione di pellicole sono donne. Per O’Brien questo significa anche saper selezionare il target di riferimento, ma soprattutto comprendere “la maggiore e spiccata sensibilità femminile nella promozione di determinate pellicole”, mentre per la Collins “la presenza di protagoniste femminili nei cortometraggi in concorso rendono sicuramente le cose più interessanti” quando in genere “il soggetto femminile viene automaticamente messo in secondo piano dall’industria del cinema, dal pubblico o dal cinema stesso” (un elemento che stiamo notando molto “grazie” ad Harvey Weinstein).

C’è stato spazio anche per una domanda di Policlic.it sul valore e l’impatto che la sceneggiatura e le tecniche di ripresa possono avere all’interno di un cortometraggio e l’opinione è stata unanime : “è la sceneggiatura che può catturare la curiosità” di un distributore e/o di un selezionatore per una rassegna cinematografica, usando le parole di Eibh Collins. Per O’Brien si parla addirittura di “talento nel scrivere la sceneggiatura di un corto” per la sintesi della narrativa e l’immediatezza di una storia all’interno della breve durata di un cortometraggio, anche se “le nuove tecnologie e piattaforme possono influire o addirittura cambiare la percezione di un’opera da parte del pubblico come degli esperti“. Gar O’Brien ha rincarato la dose dicendo : “Si può fare un pessimo corto da una grande sceneggiatura, ma non il contrario.”

I protagonisti del “MAKING SHORTS – Short Film Panel”.
Da sinistra verso destra Derry O’Brien (Network Ireland Television) , Eibh Collins (Galway Film Fleadh) e Gar O’Brien, moderatore del dibattito.



#IFFbooks – L’esordio della letteratura all’IRISH FILM FESTA con Paul Lynch

L’incontro, per la categoria #IFFbooks, con lo scrittore Paul Lynch. A sinistra, la moderatrice dell’incontro Simona Pellis

Successivamente al dibattito e alla proiezione del corto Stutterer, si è passati al secondo evento di giornata, l’esordio della nuova categoria e rubrica del Festival dedicata alla letteratura irlandese #IFFbooks.

Dopo l’esperimento della precedente edizione con lo scrittore Dermot Bolger, quest’anno è stata la volta del pluripremiato Paul Lynch, scrittore nonchè ex critico cinematografico che ha presentato la traduzione della sua opera “Red Sky In Morning” (2014) da parte della casa editrice 66th and 2nd.

Paul Lynch è uno dei talenti emergenti della narrativa irlandese con diverse opere vincitrici di prestigiosi premi letterari e “Cielo Rosso al Mattino” ha suscitato l’interesse degli organizzatori del Festival : un racconto ambientato nella Donegal degli anni della Grande Carestia dove un evento tragico (la morte di un landlord da parte del protagonista) tramuta la narrazione in quella di un western.

L’intervista a Lynch da parte di Simona Pellis ha voluto esplorare diversi aspetti del libro presentato al pubblico, quanto dello stile narrativo di Lynch e le fonti d’ispirazione (la natura selvaggia ed incontaminata, il concetto di potere e le pulsioni animali dell’essere umano) che lo portarono nel 2014 alla stesura del libro, pluripremiato in patria e non solo, che venne anche nominato “libro del mese” da Amazon.

Nell’estratto qui riportato, Lynch racconta e riporta uno degli eventi storici (in parte menzionati nell’opera) che lo ha ispirato nella stesura del libro ma anche nella propria vita personale (venne a conoscenza di questo evento durante la crisi economica del 2008 che travolse anche l’Irlanda, Lynch stesso ed i propri familiari) : la strage del “Duffy’s Cut” in Pennsylvania del 1832.



I cortometraggi della giornata : Stutterer e Guard
 

Dalle conferenze e le interviste si passa ora alle pellicole : come già detto in precedenza, già in occasione del panel “MAKING SHORTS” è stato possibile assistere alla proiezione di un cortometraggio. Un progetto lodevole sia per la sua qualità (non a caso riuscì a vincere l’Oscar per il miglior cortometraggio “live action” nel 2015) che per come il regista Benjamin Cleary sia riuscito a realizzarlo ottenendo i fondi necessari con un doppio lavoro (quando si dice “You can do it, if you want it!”).

Il cortometraggio racconta, in dodici minuti, la storia di Greenwood (Matthew Needham) , un giovane tipografo di Londra profondamente introverso per via della propria balbuzie che mina e rende difficilissimi i rapporti con le altre persone.
Greenwood intrattiene anche per questo  una piacevole e proficua relazione online da sei mesi con Ellie (Chloe Perrie), la quale è ignara del suo handicap. 

L’invito a sorpresa per incontrarsi (trovandosi anche lei a Londra) crea un’iniziale blocco in Greenwood, impaurito che Ellie possa scappare una volta compreso di avere un partner balbuziente, che si rinchiude nell’autocommiserazione.
Ma la voglia di reagire lo porterà a presentarsi ugualmente all’appuntamento per provare a superare i propri limiti e le proprie insicurezze, salvo poi scoprire che Ellie è muta e comunica con il linguaggio dei segni proprio come lui.

Dodici minuti da applausi in sala come per il sottoscritto : grande cura nei dettagli ed storia immediata, concisa ma dannatamente efficace , con le musiche che accompagnano perfettamente la narrazione degli eventi e creano un’atmosfera molto toccante.

Si passa quindi alla parte finale e “pugilistica” della giornata del Festival (qui il link delle riprese) nella quale sono stati proiettati il corto GuardRocky Ros Muc , il docu-film a produzione congiunta di Irlanda, Irlanda del Nord e Stati Uniti , incentrato sulla vita e la carriera del pugile Sean Mannion oltre ai suoi legami involontari con la mafia irlandese di South Boston.

La Direttrice Artistica dell’IRISH FILM FESTA 11 Susanna Pellis presenta le pellicole conclusive della seconda giornata : il corto Guard e il documentario Rocky Ros Muc.

In riferimento al cortometraggio Guard, primo dei sette lavori di questa edizione provenienti dall’Irlanda del Nord, è un racconto dove il pugilato è parte attiva all’interno di una famiglia in frantumi. La giovane Katie (Bronagh Taggart) ritrova in casa il padre Kieran (Michael McElhatton) appena uscito dal carcere dopo anni di detenzione e messo agli arresti domiciliari. Il rapporto iniziale è nullo e soltanto il pugilato pare smussare gli spigoli assai appuntiti di Katie (colpisce il padre in due occasioni).

Il motivo di tale distanza lo si scopre alla fine (“Non mi piace la boxe, non mi è mai piaciuta, lo sto facendo per la mamma” le ultime, delle poche battute di una comunque espressiva Katie) : dalle inquadrature finali infatti si comprende che Kieran è finito in carcere per l’omicidio della madre (il primo piano sulla macchia di sangue vicina alla poltrona del salone).
Kieran cerca di lavare quella macchia conscio a quel punto dell’irreparabilità del rapporto con la figlia.

Il silenzio della sala al termine del corto non fanno che confermare la mia perplessità rispetto a questo cortometraggio di tredici minuti, al quale ritengo mancasse un tassello narrativo all’interno della storia (il rapporto padre-figlia non concretizzatosi nemmeno durante l’incontro di boxe al quale Kieran aveva invitato la figlia).
Un’opinione squisitamente personale visto che diverge rispetto a quella di altri collaboratori di Policlic.it presenti alla proiezione, i quali sono invece riusciti a cogliere quell’elemento che nella mia interpretazione risultava mancante.

Infine, il resoconto della giornata si conclude con le impressioni riguardanti l’ultima pellicola presentata all’IRISH FILM FESTA 11 nella sua seconda giornata di rassegna, ovvero Rocky Ros Muc.



Rocky Ros Muc – Il pugile che combattè per l’Irlanda
(a cura di Giuseppe Bertini)

A pochi giorni dal match contro il giamaicano Mike McCallum, decisivo per l’assegnazione del titolo mondiale dei mediomassimi, Sean Mannion riceve un’importante proposta economica da una nota azienda di telecomunicazioni statunitense: 5.000 dollari in cambio dell’apposizione del logo societario sui calzoncini dell’incontro.
Mannion rifiuta la proposta poiché non intende sostituire la già presente scritta “Ros Muc”, che sta ad indicare la sua cittadina natale, situata nella regione del Connemara.
Nonostante questo primo rifiuto l’offerta viene aumentata fino ad un massimo di 25.000 dollari, ma nuovamente respinta.
Alla richiesta di spiegazioni sul desiderio di voler mantenere a tutti i costi questa scritta, Mannion risponde indicando i suoi concittadini.
“Che cosa producono?”, chiedono dall’azienda.
“Esseri umani”, risponde con assoluta tranquillità Mannion, chiudendo definitivamente il discorso.

Questo episodio, ricordato all’inizio del documentario dal diretto protagonista e dal regista, racchiude alcuni temi quali l’abbandono della propria terra, il comunitarismo e il forte attaccamento alle proprie radici, che sono stati molto importanti per la costruzione del lavoro. Mannion si avvicina al pugilato a partire dagli otto anni, praticandolo, presso la palestra della sua scuola elementare, sotto la guida di quel Mike Flaherty che diverrà da lì a breve il suo primo allenatore, con il quale si laureerà campione nazionale a diciassette anni.

Tre anni dopo, come tanti suoi coetanei, decide di tentare la fortuna oltreoceano, partendo alla volta di Boston, da dove avrà inizio la sua carriera nel professionismo. Si stabilisce nella zona di South Boston, nella quale vive una numerosissima comunità irlandese.
In questa parte del documentario la figura di Mannion viene utilizzata soprattutto per descrivere le condizioni di vita della comunità stessa.
Gli irlandesi trapiantati in America sono legati da un forte spirito di solidarietà e unione, dovuto principalmente al sentimento di nostalgia della terra d’origine, che si manifesta soprattutto nell’utilizzo del gaelico come lingua “ufficiale” della comunità, prima dell’inglese stesso.

Tutto questo facilità l’inserimento di Mannion il quale, con i primi successi sportivi, diventa un vero e proprio punto di riferimento per la comunità, che intravede in lui il simbolo del proprio riscatto sociale. Gli stessi esponenti della criminalità organizzata irlandese vedono in Mannion un’importanza tale da offrirgli protezione contro determinati personaggi, ritenuti pericolosi per il prosieguo della sua carriera.
Nei cinque anni successivi al suo ingresso nel professionismo, Mannion si stabilisce ai vertici della classifica mondiale, distinguendosi per la sua velocità d’esecuzione dei colpi e per una grande resistenza fisica, che gli consentono di non perdere mai un incontro per K.O.

Nell’Ottobre del 1984 è chiamato a contendere il WBA a Mike McCallum nella suggestiva cornice del Madison Square Garden di New York. La grande attesa per l’incontro in Irlanda, aumentata dai pronostici favorevoli, spingono la televisione di stato RTE ad impegnarsi nella copertura in diretta dell’evento; proprio questo fatto viene particolarmente apprezzato da Mannion, il quale vede aumentare il senso di responsabilità nei confronti del suo paese e dei suoi tifosi. La vittoria tuttavia, all’unanimità dopo ben quindici round, andrà al giamaicano McCallum.

Mannion, a causa soprattutto di un infortunio nei giorni precedenti l’incontro (un taglio non suturabile, provocato negli allenamenti, sulla palpebra sinistra), non si esprime sui suoi normali standard, conducendo una gara difensiva, sotto costante attacco dell’avversario e senza essere in grado di portare a segno colpi importanti. Nonostante il grande affetto dimostratogli, in primis dalla comunità di Boston, e dai suoi connazionali nel corso di una visita in patria dieci giorni dopo la finale, entra in uno stato di depressione che gli impedisce di gareggiare ad alti livelli.

Angelo Dundee, storico allenatore tra gli altri di Muhammad Ali e “Sugar” Ray Leonard, che guidò Mannion quando questi era trentenne, si è rammaricato di “non averlo allenato dieci anni prima”, nel pieno della sua forza fisica e fame di vittoria.

Nel 1993, dopo ben 57 incontri (42 vittorie, 14 sconfitte, 1 pareggio), il crudele destino farà coincidere nello stesso giorno il ritiro di Mannion e la morte dell’allenatore Mike Flaherty che lo aveva lanciato nel mondo del pugilato.
Nonostante una grandissima carriera, la convinzione di aver deluso il popolo irlandese è sempre viva in Mannion, e probabilmente non andrà più via.

Una rappresentanza della Redazione e i collaboratori di Policlic.it
Da sinistra verso destra Guglielmo e Giulia Vinci e Giuseppe Bertini



Guglielmo Vinci
e Giuseppe Bertini per Policlic.it

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