IRISH FILM FESTA 12 – Tutto esaurito alla Casa del Cinema per Moe Dunford (The Dig) e il Gran Finale della rassegna

IRISH FILM FESTA 12 – Tutto esaurito alla Casa del Cinema per Moe Dunford (The Dig) e il Gran Finale della rassegna

Il poker di Moe Dunford all’IRISH FILM FESTA 12 con The Dig

A cura di Guglielmo Vinci

La dodicesima edizione dell’IRISH FILM FESTA non poteva concludersi se non con una giornata di livello qualitativo eccelso come quella tenutasi questa domenica presso la Casa del Cinema in Villa Borghese. Una giornata caratterizzata dal coronamento di un’edizione da sogno per l’attore irlandese Moe Dunford, omaggiato dall’affetto e dagli applausi del pubblico italiano in questi cinque giorni di rassegna. Il pubblico ha infatti riempito la Sala Deluxe con un vero e proprio sold-out (per una manciata di minuti sono stato costretto a seguire il film nella sala adiacente) per la proiezione della quarta pellicola che lo vede protagonista (dopo Micheal Inside, Black ’47 e Metal Heart).

Trattasi della pellicola nordirlandese The Dig (2018) dei fratelli Ryan ed Andrew Tohill, che ha trionfato all’ultima edizione del Galway Film Fleadh, nella quale ha ottenuto il riconoscimento come Best Irish Film, e che è stata proiettata all’IRISH FILM FESTA in una vera e propria première rispetto all’uscita nelle sale irlandesi. Un risultato di grandissimo livello portato a casa dalla Direttrice Artistica della rassegna Susanna Pellis, che ha raccontato “l’intuizione avuta nel seguire questa pellicola in occasione del Galway Film Fleadh nonostante l’orario tardo di proiezione, intuizione che l’ha portata a scegliere e fare richiesta per proiettare la pellicola in Italia in un’anteprima assoluta per i due Paesi”. Presente in sala una cospicua rappresentanza del cast di The Dig con gli attori Moe Dunford e Lorcan Cranitch e i registi gemelli Ryan e Andrew Tohill, che si sono intrattenuti con il pubblico al termine della proiezione per un dibattito sul film.

Primo piano di Moe Dunford. © Emanuele Sanità (p.g.c.)

The Dig è un film drammatico ambientato nella fredda Ballymena, nella contea di Antrim (Irlanda del Nord). Una storia avvincente nonché a tensione costante, un thriller familiare che racconta il traumatico ritorno alla “normalità” di Ronan Callahan (Moe Dunford), un ex alcolista che ha finito di scontare quindici anni di carcere per l’omicidio di una donna.
L’accoglienza è tutto fuorché positiva, in quanto Ronan deve fare i conti con Sean (Lorcan Cranitch) e Roberta (Emily Taafe), rispettivamente il padre e la sorella della vittima.

Sean ha trascorso gli ultimi quindici anni alla ricerca del luogo in cui sarebbe stata sepolta la figlia Niamh, una ricerca spasmodica che non conosce sosta né riposo ma solo il tormento e l’afflizione. All’inizio della pellicola vediamo l’uomo scavare in modo forsennato nella terra di sua proprietà, sconfinando anche in quella di Ronan. Il ritorno di quest’ultimo, d’altronde, non fa altro che peggiorare lo stato di salute di Sean che diventa sempre più irrequieto. Ma il disprezzo e la diffidenza di Sean vengono, con il tempo, attenuati dalla volontà dello stesso Ronan di raggiungere la verità sulle dinamiche della notte dell’uccisione di Niamh. Il protagonista infatti, ubriaco al momento del fatto, non ricorda nulla di quella fatidica notte. Paradossalmente, l’alcool fa ritorno nella vita di Ronan proprio come un modo con cui ripercorrere alcuni dei fatti, ma diventa anche il pretesto per un pestaggio vecchia scuola da parte dell’ispettore di polizia Murphy (Francis Nagee).

Ma in questo film sono i dettagli che fanno la differenza: i tempi, gli oggetti, i frammenti di dialogo e le parole dette come quelle non dette. I dettagli aiutano, nel corso dei 97 minuti del film, a districare l’enigma attorno alla morte di Niamh con un incredibile colpo di scena che porta alla soluzione del caso… ma non alla fine. L’alcool, il liquore al biancospino, la pala e la vanga usate per scavare nella terra, la collana, l’acqua, il pozzo nella proprietà di Ronan, il pestaggio: tutti elementi che fanno da contorno e offrono al contempo dei piccoli indizi allo spettatore che osserva, attento e coinvolto, lo svolgimento della storia.

Una pellicola che ha ottenuto il grande apprezzamento del pubblico romano presente nelle sale, ma che per alcuni degli spettatori presenti è risultato anche difficile da comprendere. Al termine dell’ovazione del pubblico per il lavoro brillantissimo dei fratelli Tohill, che dimostra il perché abbia ottenuto con merito il riconoscimento come miglior film irlandese al Galway Film Fleadh, è seguito il dibattito con il pubblico moderato da Susanna Pellis nel quale il cast e i registi hanno raccontato il “dietro le quinte” della pellicola. Un lavoro girato e ultimato in tempi strettissimi, come hanno avuto modo di raccontare i registi Ryan e Andrew Tohill: tre settimane a ritmi forsennati e in alcune giornate con temperature climatiche proibitive.

Eppure le tempistiche strette non hanno demoralizzato in alcun modo la squadra, forte del lavoro che ognuno degli elementi dello staff e del cast ha voluto compiere. Un lavoro intenso, snervante, molto provante anche dal punto di vista fisico, come ha avuto modo di raccontare Moe Dunford, ma che nello stesso tempo ha visto uno spirito di collaborazione e una motivazione granitica in ogni singolo elemento della produzione del film.

Su una cosa sia i registi che gli attori non hanno avuto dubbi: l’Irlanda del Nord non è solo il luogo delle riprese delle serie cult Game of Thrones Vikings. “Negli ultimi dieci anni c’è stato un vero e proprio boom della produzione e della cultura cinematografica nell’Irlanda del Nord” – ha aggiunto il regista Ryan Tohill – “e sono molto fiducioso per la nuova generazione di cineasti nordirlandesi, è davvero promettente”.

Primo piano del regista Ryan Tohill. © Emanuele Sanità (p.g.c)


Il Gran Finale dell’IRISH FILM FESTA 12 – La premiazione dei cortometraggi

A cura di Guglielmo Vinci

Si giunge così, al termine della proiezione della pellicola The Dig, alla premiazione del concorso per i migliori cortometraggi della dodicesima edizione della rassegna cinematografica, quest’anno per le categorie DramaDocumentary. Un concorso che, a dire di una soddisfattissima Susanna Pellis, “ha mostrato una qualità altissima da parte dei registi, degli attori, e dei produttori dei corti, in particolar modo nell’ambito dei documentari che sono una realtà sempre più in crescita“.

Presenti in sala la giuria esaminatrice del concorso e alcuni tra i produttori e i registi dei corti, giunti in Italia per assistere all’evento; ma anche alcuni volti noti dell’IRISH FILM FESTA, come l’attore irlandese Barry Ward (apprezzato lo scorso anno nel film Maze) assieme alla regista Laura Kavanagh (No Place è il suo cortometraggio che Policlic.it ha avuto modo di recensire).

Barry Ward (attore in Maze e L’Accabadora) e Laura Kavanagh alla Casa del Cinema in Villa Borghese per assistere alla premiazione del concorso per i migliori cortometraggi dell’IRISH FILM FESTA. La Kavanagh ha partecipato al concorso con il suo cortometraggio No Place, di cui Ward è coproduttore.

La premiazione è stata anticipata da un significativo evento per l’organizzazione dell’IRISH FILM FESTA e dell’Associazione Culturale Archimedia: il gemellaggio sancito con l’Associazione Culturale Red Shoes, rappresentata dalla sua fondatrice Annamaria Passetti.
L’associazione, nata nel 2017 con il patrocinio dell’Ambasciata Britannica in un contesto antecedente agli ultimi sviluppi della Brexit, si pone l’obiettivo di valorizzare la produzione culturale dell’area britannica.

Il gemellaggio tra l’IRISH FILM FESTA e la Red Shoes è stato siglato e sancito con una stretta di mano tra la Pellis e la Passetti (in basso) e la consegna della tessera associativa dell’associazione a Susanna Pellis, la quale ha voluto ribadire lo spirito di unione che l’IRISH FILM FESTA si prefigge nel considerarsi un evento all-Ireland e no borders“.

Una stretta di mano tra la Direttrice Artistica della rassegna Susanna Pellis e la fondatrice dell’associazione, Anna Maria Pasetti, sancisce il gemellaggio tra l’IRISH FILM FESTA e l’Associazione Culturale Red Shoes

Per la categoria riservata al miglior cortometraggio drammatico, la giuria ha decretato vincitrice la pellicola Bless Me Father (2017) del regista Paul M. Horan, mentre il miglior cortometraggio documentaristico è stato Mother & Baby (2017) della regista Mia Mullarkey (a destra).
Due cortometraggi molto apprezzati dal pubblico e dalla giuria, che presentano un tema comune tra loro: la critica alla Chiesa Cattolica.
Se nel cortometraggio drammatico viene svelata l’ipocrisia di alcuni comportamenti adottati dalla Chiesa Cattolica in Irlanda (divertente l’idea di una controconfessione tra il confessore e il peccatore), in Mother & Baby la regista Mia Mullarkey si fa portavoce di un drammatico nonché scandaloso fatto di cronaca. Nel 2017 è stato infatti reso noto il macabro ritrovamento di alcune fosse comuni nelle case famiglia e negli orfanotrofi di proprietà di istituti religiosi, strutture destinate alle madri non sposate e ai loro figli che furono teatro di violenze, sevizie, maltrattamenti e della morte di ottocento bambini, molti dei quali neonati di poco meno di una settimana. Curiosa coincidenza il fatto che proprio in quei giorni, a Verona, si stesse svolgendo il Congresso Mondiale delle Famiglie.

I vincitori del concorso per i cortometraggi della dodicesima edizione dell’IRISH FILM FESTA. A sinistra, il regista Paul M.Horan con Bless Me Father (Categoria Drama); a destra, la regista Mia Mullarkey per Mother & Baby (Categoria Documentary).

Al termine della premiazione, la squadra organizzativa del festival ha salutato il pubblico presente con la proiezione di alcuni episodi della serie televisiva nordirlandese Derry Girls.


Comicità adolescenziale ai tempi dei Troubles – Derry Girls

A cura di Giulia Vinci

È proprio vero quando dicono che non si finisce mai d’imparare!
Non poteva esserci miglior conclusione per questa edizione dell’IRISH FILM FESTA, soprattutto per una patita di serie televisive come me, di quella avvenuta domenica sera al termine della premiazione dei cortometraggi della rassegna. L’organizzazione del festival, con la scelta della serie TV Derry Girls (2018), ha tirato fuori il colpo per me inaspettato, una ciliegina su questi cinque giorni di cinema irlandese.

Siamo negli anni ’90, in una “piccola” cittadina dell’Irlanda del Nord, Derry (o Londonderry,”dipende dalle vostre convinzioni”). In un lampo veniamo catapultati tra le pagine del diario, e della vita, della sedicenne Erin, con la sua strampalata cugina Orla, le amiche Clare Michelle e il “purtroppo povero” cugino inglese di quest’ultima, James.

Della storia, oltre al quadretto di amici, fa parte in modo attivo anche la famiglia di Erin: la madre Mary, il padre Gerry, il nonno Joe e la zia Sarah. In breve, otto personaggi esilaranti. La protagonista frequenta assieme ai suoi amici l’Our Lady Immaculate College, una scuola secondaria religiosa e soprattutto femminile. La frequentano tutte le ragazze e anche James, che per via della propria nazionalità sarebbe vittima di un pestaggio quotidiano in un qualsiasi altro luogo.

L’IRISH FILM FESTA ha presentato un piccolo “antipasto” della prima stagione, con tre dei sei episodi complessivi (1,5 e 6) nei quali riusciamo subito a delineare le personalità dei vari personaggi: le bullettine della scuola risultano odiose come le possiamo solo immaginare e la preside Sorella Michael, nevrotica e velenosa come una serpe, aggiunge quel carico di esplosività aggiuntiva in un contesto già esplosivo di suo quale quello dei Troubles. La stessa Derry, abitata da una maggioranza cattolica alla quale appartengono anche le protagoniste della serie, è teatro quotidiano dello scontro tra i “bastardi feniani” e i “fottuti orangisti” (affettuoso scambio di epiteti tra le comunità politico-religiose della città). Anche le cose più semplici, come una gita fuori porta in Éire, possono diventare del tutto problematiche soprattutto se nel pieno delle celebrazioni e parate militari unioniste del 12 Luglio (con tanto di “ospite” dell’IRA in macchina).

Che cosa provano a fare se è sempre la stessa roba dal 1795? (trd. Derry Girls, 2018, ep.5)

Qualche parola in più, senza anticipare nulla, sull’ultimo episodio della stagione. Erin diventa direttrice del giornale scolastico della scuola e, coinvolgendo i suoi amici, decide di rilanciarlo con un “clamoroso” servizio sull’outing di una studentessa. Orla, invece, decide di partecipare al talent show scolastico con la sua nuova passione per lo step acrobatico, finendo per far salire sul palco tutti i suoi amici, pronti a difenderla, sulle note di Like a Little Prayer di Madonna, dalle battute di scherno degli altri studenti. Da apprezzare le battute in lingua originale:

Erin: Yeah, she might be a dick [riferito a Orla], but she’s my dick!
Clare: Actually… she’s our dick!
(Derry Girls, 2018, ep.6)

L’originalità della serie ideata e diretta da Lisa McGee sta nell’aver raccontato in un modo assolutamente diverso il periodo drammatico dei Troubles, capovolgendone i canoni: si passa dal dramma (che rimane di mero sottofondo) a una vera e propria comedy in cui la vita (a)normale di alcune studentesse si trascina nel grottesco.

Una serie che gioca su tanti piani diversi volti a esasperare le caratteristiche di base dei personaggi: dalle fattezze fisiche al loro pesantissimo accento, dalla codardia di Clare alla volgarità di Michelle, passando per la mollezza del povero James, costantemente trattato come una specie di attaccapanni senza spina dorsale (d’altronde, “è inglese“).

Il ritmo è veloce, le battute rapide, le situazioni buffissime, ma tutto si unisce in una certa idea di amicizia e di famiglia, come è giusto che sia per tutte le comedy corali che vogliono farci ridere dei loro personaggi, ma dandoci comunque l’idea che se la passino bene.
Come detto in precedenza, la violenza e l’inquietudine non fanno mai capolino sulla superficie di Derry Girls, ma sono sempre presenti sullo sfondo, come una minaccia a una commedia altrimenti fresca e senza mezzi termini. Questa ombra permette di dare un’interpretazione aggiuntiva a tutta la serie, che diventa non solo (o non tanto) una parentesi comica e autobiografica, quanto una sorta di moto ribelle nei confronti di un mondo assurdo nel quale le persone si uccidono tra loro.

Queste tre puntate mi hanno convinta a seguire la serie? Sono state così divertenti da farmi vedere anche la seconda stagione? Assolutamente sì.

Per chi fosse interessato, la prima stagione è stata acquisita da Netflix. Un consiglio spassionato per il prossimo download!



Guglielmo
e Giulia Vinci per www.policlic.it

Si ringrazia Emanuele Sanità per le fotografie (per gentile concessione)

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