Intervista a Carlo Calenda

Intervista a Carlo Calenda

È un Carlo Calenda pronto a mettersi in gioco per la sua città, quello che incontriamo quasi casualmente in una mattina prenatalizia. In vista della ormai imminente apertura della campagna elettorale per le elezioni amministrative di Roma 2021, si è recato nell’estrema periferia est di Roma, all’Osa, dove l’acqua potabile non esiste e il verde pubblico è un coacervo di rovi infestanti. Ma qui, all’Osa, c’è anche un capitale umano importante, fatto di gente che lavora e che si impegna nel sociale. Probabilmente se ne è accorto anche il leader di Azione, che ci ha concesso una fugace (visti i tempi serrati della politica) ma interessante intervista, che può permettere ai nostri lettori di conoscere meglio il suo partito e la sua idea di politica.


C’è un po’ di “maretta” nella maggioranza. Crede che questo governo abbia ancora vita lunga?

Non lo so dire, perché l’Italia è un Paese in cui tutte le crisi poi spesso finiscono nel nulla. Quello che so è che abbiamo il più alto numero di morti su centomila abitanti. Questo non è derivante dalla demografia o altro, ma dal fatto che il Servizio Sanitario Nazionale era estremamente fragile già prima della crisi. Quando nacque Azione a novembre dell’anno scorso, non c’era ancora il Covid, però la prima iniziativa che abbiamo presentato riguardava il Servizio Sanitario, dicendo che stava andando in pezzi. Non ci si filò nessuno.

Anche dal punto di vista economico gli aiuti hanno funzionato male. Nella classifica del “Financial Times” su mortalità e danno economico-finanziario, l’Italia risulta ultima. Il nostro Paese ha un problema di funzionamento: la Repubblica e lo Stato, le amministrazioni, funzionano male perché per molti anni la politica non è stata gestione e amministrazione, ma scontro ideologico.

Questo governo ereditava una situazione già problematica, però non ha migliorato niente. È un po’ come la Raggi su Roma: la città era messa male prima, però è peggiorata. Perché? Se si vanno a vedere i curricula, si può notare che si tratta di persone che non hanno mai amministrato o gestito nulla. La Raggi non aveva alcuna esperienza istituzionale, e quindi ha fatto disastri.

È ora di cominciare a scegliere le persone sulla base della loro esperienza, su quello che hanno fatto o non hanno fatto. È quello che i Romani chiamavano cursus honorum, ossia l’idea che per fare lavori sempre più complicati si dovesse passare dall’uno all’altro accumulando esperienza; non si poteva arrivare a fare il console senza aver prima superato gli altri gradini. Io penso che questo sia tutt’oggi valido e che gli elettori dovrebbero concentrarsi sulle esperienze delle persone che si candidano, su quello che hanno fatto, senza votare gente che non ha mai lavorato in vita sua.

C’è un problema di giustizialismo in questo Paese?

Si, c’è. Abbiamo visto processi durare trent’anni per poi finire nel nulla. Assistiamo a un paradosso in cui c’è l’idea che tutto sia rilevante penalmente, ma poi nessuno va in galera. Abbiamo delle norme che vorrebbero mandare in prigione tutti e poi un sistema che non manda in prigione neanche quelli che ci dovrebbero andare. I comportamenti penali vanno ben definiti, e i magistrati devono prendersi la responsabilità degli atti che firmano, perché se tieni qualcuno sotto inchiesta per trent’anni e non concludi niente, hai una responsabilità. Evidentemente non hai valutato le cose come si deve e hai rovinato la vita di una persona.

Ieri, peraltro, Azione è riuscita far inserire in legge di bilancio una piccola cosa che è però di grande civiltà: l’idea che se una persona viene scagionata e dichiarata innocente, lo Stato le paga le spese legali. Perché la gente può diventare anche povera per difendersi in un processo in cui poi viene assolta.

Quali sono i principi ispiratori di un partito relativamente giovane come Azione?

Azione si chiama così perché si rifà al Partito d’Azione, che dopo la guerra cercò di mettere insieme due mondi: quello del liberalismo (secondo il quale l’uomo deve avere una sfera di libertà molto ampia) e quello del socialismo (secondo il quale la società non deve essere lasciata indietro). Secondo tale idea, non si poteva avere né una libertà talmente straripante per cui l’uomo era solo e se ne fregava di come andava la società (modello USA), né un sistema come quello sovietico e dei Paesi dell’Est.

Sono valori molto attuali, perché quello che è successo in questi anni, con la globalizzazione e il progresso tecnologico, è che gli individui più preparati e il progresso scientifico hanno corso tantissimo, ma la società è rimasta indietro. Abbiamo investito poco sull’istruzione, sul capitale umano, sulla capacità delle persone di conoscere anche semplicemente il funzionamento di un’istituzione e quindi di esprimere un voto consapevole.

Azione è per mettere insieme il progresso e la società, governando il progresso. Non lasciandogli fare tutto quello che vuole, qualunque costo sociale abbia.

Esiste un’area liberaldemocratica in Italia?

Si, certo. Oggi è molto difficile valutare le aree sulla base delle vecchie famiglie politiche del Novecento. È tutto molto più fluido. Esiste sicuramente un’area di persone che si sono stancate della politica come conflitto ideologico vuoto, in cui sei di destra ma non riesci a fare una politica di destra, oppure sei di sinistra e non riesci a fare una politica di sinistra. Così diventa solo una guerra di rumori e non di politica.

Detto questo, ritengo che ci sia un’area molto grande, in particolare tra i giovani, in cui vi è un’idea di politica che è anche accudire e curare il proprio territorio, partecipare, dare una mano. Una politica molto più concreta di quella che hanno vissuto i nostri genitori e i nostri nonni.

Federico Paolini per www.policlic.it

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