La Regione Lazio ai tempi del coronavirus

La Regione Lazio ai tempi del coronavirus

Nel pieno della situazione emergenziale che opprime l’Italia da ormai nove mesi, a livello tanto sanitario quanto economico, gli enti locali, per il legame più stretto che hanno con i territori di riferimento, rivestono un ruolo di importanza fondamentale nel fornire risposte tempestive ed efficaci alle istanze dei cittadini. Ne parliamo con Enrico Forte, consigliere regionale del Lazio e consigliere comunale di Latina nelle fila del Partito Democratico, facendo particolare riferimento ai territori che rappresenta e alle misure necessarie al miglioramento degli stessi.


Come si sta comportando il sistema Paese di fronte all’emergenza COVID? La risposta delle istituzioni ai vari problemi che si sono via via palesati è sempre stata nel complesso efficace e tempestiva, oppure ci sono degli aspetti da rivedere?

In queste circostanze, anche le risposte importanti rischiano di arrivare in ritardo rispetto alle esigenze delle persone, delle imprese, delle famiglie. Io penso che sia stato fatto uno sforzo importante, ma questo sforzo è stato il frutto anche dell’atteggiamento molto responsabile tenuto dalle persone. Penso che per la fase che dovremo affrontare – c’è il tema delle risorse europee, i ritardi che vediamo sul Recovery Fund – ci sia bisogno di un “cambio di passo”, di una maggiore consapevolezza delle istituzioni e delle forze politiche. È necessario che per una volta si mettano da parte le “magliette” e venga messo al primo posto l’interesse generale del Paese, delle persone, e che venga rafforzata la compagine governativa, per affrontare le prossime sfide.

In questo lungo periodo emergenziale stiamo assistendo a momenti di conflitto, anche duri, tra i governatori delle regioni e il governo nazionale. Ciò spesso genera un senso di confusione, sia tra i cittadini sia tra le stesse istituzioni, con un rimpallo continuo di responsabilità e conflitti di attribuzioni tra Stato centrale ed enti locali. Sarebbe auspicabile, a suo parere, una riforma del Titolo V della Costituzione, che renda più chiara ed esplicita la ripartizione di competenze tra Stato ed enti locali anche in relazione a emergenze come questa?

Direi proprio di sì. È apparsa in tutta la sua evidenza la fragilità di un sistema istituzionale, e questo continuo rimpallo di responsabilità, che in realtà denota un senso di irresponsabilità, dimostra che c’è bisogno di attribuzioni precise. Noi abbiamo perso una grande occasione con un referendum che conteneva troppe cose, ma in cui la definizione delle competenze tra Stato e Regioni era molto chiara. L’elemento più evidente di questa situazione è quello relativo alla sanità: abbiamo competenze che sono di fatto in capo alle Regioni, e questo ha causato anche molti squilibri, perché la sanità è molto diversa tra le Regioni. Penso che questa sia l’occasione per rivedere il Titolo V, attraverso una ridefinizione precisa delle attribuzioni e delle competenze. In questa situazione torna anche il tema del bicameralismo: siamo ancora prigionieri di un bicameralismo cosiddetto perfetto, ma che perfetto in realtà non è, e che rende difficile l’attività legislativa e la tempestività dei provvedimenti – tant’è che ci rifugiamo nei DPCM, il che non è il massimo in questo momento. Però ripeto: se continuiamo a ragionare solo in termini di schieramenti, non facciamo un servizio al Paese. La politica gioca una partita decisiva: o fa un salto di qualità, e diventa utile alle esigenze dei cittadini, o altrimenti diventa sempre più irrilevante, come già in parte lo è. In questa lunga fase e nella fase precedente di lockdown, nel momento più tragico, in cui ci siamo trovati ad affrontare un mostro di cui non conoscevamo le sembianze, c’è stato un discorso importante, che è passato in parte sotto silenzio: quello del capo dell’opposizione portoghese, il quale, in pratica, ha detto: “Io sono il capo dell’opposizione, ma in questo momento capisco che il Paese debba affrontare un’altra fase. Affrontiamola insieme”.

Negli ultimi anni abbiamo assistito a una gestione sanitaria regionale che se da un lato ha riscosso consensi per via del risanamento dei bilanci, dall’altro ha suscitato un malcontento niente affatto trascurabile, soprattutto al di fuori della Capitale, per via di una serie di chiusure di ospedali, cui le “case della salute” non sono riuscite a supplire. Ciò ha dato la percezione di una capacità minore di garantire cure capillari alla cittadinanza. La proposta di legge inerente all’istituzione dell’infermiere di comunità, di cui appunto lei è promotore e primo firmatario, può essere considerata come un tentativo di risposta a questa situazione?

Intanto la chiusura degli ospedali risale al decreto Polverini, quindi si perde nella notte dei tempi. Era necessario risanare i conti, perché in assenza di conti in ordine, che erano controllati sia dal MEF [Ministero dell’Economia e delle Finanze, NdR] sia dal Ministero della Salute, non era possibile fare nulla. Ricordo che nel 2013, appena diventato consigliere regionale, le deleghe – perché si procedeva per deleghe, allora – per l’assunzione nel Lazio di personale sanitario corrispondevano a diciotto unità, quindi nulla. È un modello sanitario che non ha funzionato, perché l’inappropriatezza dei ricoveri, la mancata presa in carico di pazienti fragili e cronici, l’assenza di un presidio territoriale, hanno fatto sì che i pronto soccorso siano stati in passato presi d’assalto. Quindi il tema della territorialità è un tema centrale e la legge sull’infermiere di comunità va in questa direzione. Tra l’altro, è una proposta di legge presentata da me addirittura nel 2015, quindi nella passata legislatura. Oggi, le dichiarazioni e i provvedimenti del ministro Speranza ci dicono che il territorio diventa il primo presidio per evitare che gli ospedali facciano cure improprie. Ma questo riguarda anche il rapporto tra tutti gli operatori della sanità: i medici di medicina generale, i pediatri di libera scelta, le aziende sanitarie. Ad esempio, l’Asl di Latina è stata all’avanguardia perché sulla telemedicina, che è uno strumento efficacissimo, ha avuto un premio nazionale. Occorre quindi cambiare il modello, il paradigma: l’ospedale dev’essere il luogo nel quale si arriva perché si ha necessità di un intervento di una determinata complessità, ma tutto il resto – e questo era anche il senso delle case della salute – sta nella prevenzione, nelle cure primarie, nella presa in carico, per evitare che pazienti cronici, fragili, vadano inappropriatamente presso gli ospedali. Le misure del Governo si dirigono verso questo modello, e la Regione si sta adeguando.

In che modo la Regione Lazio e il Comune di Latina si stanno preparando alla ricezione delle risorse del Recovery Fund? Che ruolo avranno gli enti locali nella gestione delle risorse che proverranno dall’Unione Europea?

Le risorse immediatamente disponibili o rapidamente disponibili sono i fondi della nuova programmazione europea 2021-2027, oltre ai fondi diretti che ci sono, e ai quali bisognerebbe che gli enti locali e anche i privati attingessero in maniera più cospicua, come avviene per altri Stati europei. Sul Recovery Fund la Regione ha presentato un documento al Governo, con il quale chiede misure importanti. Tra queste misure, ce ne sono alcune che guardano in maniera specifica alla nostra provincia [Latina, NdR]. Ne cito due, sulle infrastrutture: il raddoppio della 156 fino al casello autostradale di Frosinone, e la dorsale adriatica, che è la Formia-Cassino-Sora-Avezzano. Ci sono poi altre misure che non sono comprese nel Recovery, ma collegate a risorse dello Stato, che riguardano la ormai famigerata bretella Campoverde-Cisterna-Valmontone, la Roma-Latina e poi le risorse pubbliche del Governo e della Regione per il nuovo ospedale di Latina, che va a unirsi all’ospedale del Golfo, per il quale è già stato presentato il piano di fattibilità. Detto questo, il ruolo dei Comuni è decisivo. I Comuni devono dotarsi delle strutture tecniche e amministrative, perché ci sono procedure che bisogna conoscere e bisogna saper applicare, ma ancora prima devono avere una visione dello sviluppo, sapere dove vogliono portare i propri territori, perché questi provvedimenti non possiamo utilizzarli per interventi a pioggia. È questa la grande scommessa, la grande sfida che riguarda Latina.

Il prossimo anno si terranno nuove elezioni comunali a Latina. Mi può dire, da cittadino di Latina, tre priorità che ritiene debbano essere perseguite nei prossimi anni, al fine di rendere migliore e più vivibile la nostra città?

In primis la cura della città, quindi una grande attenzione a tutto ciò che riguarda la viabilità, il verde pubblico, la gestione dei rifiuti. Un’altra priorità è l’investimento delle risorse europee nella digitalizzazione, nell’innovazione, nella banda larga, nel 5G: Latina, anche per la giovane età che ancora ha, va trasformata in una città che sia veramente contemporanea da questo punto di vista, che abbia hub di open innovation. L’altra grande sfida riguarda, infine, la valorizzazione della marina di Latina: immagino anche una portualità compatibile, una città che abbia nel mare un elemento di sviluppo e di crescita.



Riccardo Perrone
per www.policlic.it

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