Sulla ciclicità del capitalismo. Uscire dalla crisi: controllo dei prezzi e riforme bancarie

Sulla ciclicità del capitalismo. Uscire dalla crisi: controllo dei prezzi e riforme bancarie

La ricerca di una via d’uscita

Una volta comprese le cause e raccontati gli eventi che annunciarono l’imminente crisi, l’approfondimento porta naturalmente alle strategie che le amministrazioni applicarono per uscire dal buco della depressione. Per maggiore chiarezza, si suddivideranno le tematiche in tre gruppi: stabilità dei prezzi e politiche bancarie; politiche industriali e agricole; politiche del lavoro, dell’assistenza sociale, immigrazione e protezionismo. L’attualità di questi temi non ha bisogno di essere rimarcata (probabilmente l’unica questione “mancante” rispetto alle tematiche odierne è quella climatica).

Dunque, arriviamo alla domanda: giunti al 1929, con l’economia americana al collasso e il resto del mondo che seguiva a ruota, quali iniziative presero le amministrazioni interessate? Iniziamo a rispondere con due precisazioni. La prima è che ci furono due Presidenti a dover fronteggiare la crisi, con politiche certamente diverse, ma con alcuni punti di continuità. I due presidenti in questione furono Herbert Hoover, che governò dal 1929 al 1933, e Franklin Delano Roosevelt, alla Casa Bianca per ben 12 anni, dal 1933 al 1945. Questa precisazione non appare scontata, se pensiamo alla notorietà dei rispettivi provvedimenti: i libri di storia sono pieni di analisi, cronistorie ed elogi del New Deal, il piano ideato dal presidente Roosevelt per risollevare l’economia degli Stati Uniti. Eppure, non fu lui a dover fronteggiare la crisi per primo e ciò fu indubbiamente un vantaggio sia in termini elettorali sia in termini politici: l’inefficacia delle politiche di Hoover e la sua continua spinta a calmare gli animi (con un malcelato messaggio di negazione) spinsero alla vittoria il successore democratico; inoltre, si ridussero (ma non si annullarono completamente) le resistenze nei confronti di una nuova sperimentazione in termini di politica economica, considerati i vasti fallimenti collezionati dal repubblicano Hoover.  L’altra precisazione si allaccia a quanto appena detto e riguarda invece il contesto ideologico che sosteneva l’economia americana. Per i classici, non poteva esistere una crisi poiché poggiava tutto sulla legge degli sbocchi di J.B. Say, secondo la quale, sommariamente, finché vi era un’offerta vi era automaticamente anche una domanda. Perciò, una continuità dell’offerta garantiva una continuità della domanda, creando un circuito di progresso quasi senza fine. Quasi, perché in effetti le cose non andarono così. Scardinare questa convinzione, poggiata sulle tesi di un economista, non fu cosa facile. Anche solo l’idea che potesse esserci una qualche forma di pianificazione da parte dello Stato appariva come inutile o dannosa. Vediamo quindi quali furono le iniziative prese per cominciare a ricostruire quanto era stato distrutto dal vento impetuoso della crisi, finanziaria prima ed economica dopo.


Il problema della deflazione: come evitare la caduta dei prezzi?

Uno dei primi problemi da fronteggiare fu la deflazione costante dei prezzi, e già in questo contesto emersero le differenze tra le politiche di Hoover e quelle di Roosevelt. Il primo, infatti, optò per la via della diminuzione dei tassi di interesse che, assieme al tasso di risconto della Federal Reserve a 1,5%, doveva garantire una maggiore facilità di accesso a ingenti quantità di denaro per le banche e, di conseguenza, anche per i loro clienti. È chiaro che in una situazione di crisi, ma soprattutto di incertezza economica, non è per nulla scontato che una maggiore offerta di denaro determini anche una maggiore domanda dello stesso. Non vi erano le basi, infatti, per chiedere dei prestiti e per garantirne la restituzione. Constatato il fallimento di questo primo intervento, il successore di Hoover, F. D. Roosevelt, scelse un’altra strada, poiché nonostante la grande quantità di denaro resa disponibile i prezzi erano ancora in caduta libera. Le richieste di intervento per limitare i danni giunsero da tutto il Paese, auspicando un intervento per normalizzare la situazione dei prezzi. Con l’avvio del New Deal, Roosevelt prese due provvedimenti nel tentativo di spingere al rialzo i prezzi: ordinò alle banche di non effettuare pagamenti in oro e proibì la tesaurizzazione, impendendo così il possesso privato di oro. Tuttavia, questi provvedimenti non sortirono i risultati sperati, restando nell’alveo della propaganda[1]. Assieme a questi provvedimenti, fu attuato il piano di un economista agricolo, George F. Warren, relativo al legame tra prezzo dell’oro e prezzi delle merci: Warren aveva studiato il rapporto tra questi due fattori, riscontrando una correlazione tra l’aumento del prezzo dell’oro e l’aumento di quello delle merci. Si proseguì su questa strada verso un apprezzamento dell’oro.  Il primo effetto collaterale, un vero e proprio boomerang, fu l’impossibilità di usufruire dei vantaggi legati all’aumento del valore dell’oro da parte dei privati a causa del precedente divieto di tesaurizzazione. Se questo divieto non ci fosse stato, i possessori di oro avrebbero potuto disporre di una maggiore quantità di denaro, uno stimolo non indifferente per l’aumento dei prezzi. Tuttavia, i risultati poco brillanti di questo piano e le numerose opposizioni che aveva suscitato portarono al suo abbandono e alla ricerca di alternative attraverso interventi sull’economia reale[2].


Banche e credito: la strategia di Hoover

La seconda questione, strettamente legata al tema della gestione della moneta e dei prezzi, riguarda le banche.

“Le banche non ebbero un ruolo di primo piano nella crisi del ’29, ma quando la crisi si fu incancrenita, risultarono naturalmente incapaci di sostenere il peso dei troppi crediti non restituiti.”[3]

I primi interventi vennero formulati dall’amministrazione Hoover nel 1931. Il presidente in carica, constatando l’impossibilità per la Federal Reserve di far fronte alla crisi da sola, creò la National Credit Corporation nell’ottobre del 1931. L’ente aveva lo scopo di frenare l’ondata di fallimenti bancari attraverso degli interventi diretti, anche se la sua efficacia fu inferiore alle attese[4]. L’anno successivo Hoover creò la Reconstruction Finance Corporation, utilizzando finanziamenti pubblici. Si rese necessario un rafforzamento dell’autorità del Consiglio Federale della Riserva di Washington poiché, a causa dell’assenza di coordinamento tra le dodici banche[5] della Riserva, la capacità di intervento risultava non abbastanza tempestiva. In quell’occasione, all’interno del consiglio di Washington vi furono infatti opinioni divergenti. I governatori delle banche federali di Atlanta e New York, rappresentanti della maggioranza, spingevano per un’azione più decisa della Federal Reserve, attraverso un’estensione del credito e l’espansione della base monetaria. D’altra parte, il resto del consiglio, assieme a esponenti esterni, non era d’accordo con questa linea, che avrebbe creato problemi d’inflazione. Un emendamento del 21 luglio del 1932 autorizzò la RFC a fare prestiti anche a governi statali e municipali, per garantire loro la possibilità di provvedere alla costruzione di infrastrutture e realizzare progetti utili a incentivare la ripresa economica[6]. Questo provvedimento non rappresentava qualcosa di nuovo sullo scenario americano. Già nel 1918, infatti, era stato creato il War Finance Corporation, lo strumento del Governo per sostenere le industrie impegnate nello sforzo bellico e le banche coinvolte in queste produzioni. Al netto del miglioramento di alcune situazioni bancarie, le cose peggiorarono quando il Congresso approvò la legge che rese obbligatoria la pubblicazione dei nomi delle banche che avevano usufruito dell’aiuto del Governo. Se l’obiettivo iniziale di questo provvedimento era la trasparenza, la realtà dei fatti lo trasformò in un boomerang. Le banche che comparivano sulla lista furono, com’era facile prevedere, soggette a ulteriori crisi di fiducia.


Roosevelt e il mondo bancario: tra restrizione e regolamentazione

Le misure prese da Roosevelt furono, invece, di gran lunga più incisive. L’intervento del successore di Hoover iniziò dal tentativo di ristabilire la fiducia nel sistema creditizio. Per raggiungere questo obiettivo, Roosevelt seguì due linee:

  • attuare una politica restrittiva nella gestione delle riserve auree, per frenare l’emorragia di oro in corso;
  • riformare il sistema bancario e la governance della FED.

Per prima cosa, come risposta immediata alla crisi bancaria in atto nel 1933, il 6 marzo di quello stesso anno il Presidente proclamò la chiusura di tutte le banche del Paese, sospendendo tutte le transazioni bancarie interne e verso l’estero. Subito dopo questo provvedimento, Roosevelt avviò il processo di riforma del sistema bancario americano aggiungendo un altro tassello legislativo: con l’Emergency Banking Act del marzo 1933 (anche questo già abbozzato durante la presidenza Hoover) prese il via la progressiva riapertura delle banche. Si ritenne necessario un intervento di regolazione in materia di gestione delle riserve auree poiché, secondo quanto stabilito dal sistema del Gold Standard, l’oro presente nelle riserve auree americane doveva corrispondere almeno al valore del 40% dei dollari circolanti. A seguito della crisi bancaria del 1933, il rischio di raggiungere quella soglia limite e di scendervi al di sotto si fece sempre più concreto. La paura di una svalutazione del dollaro spinse i suoi possessori a preferirgli l’oro e questo non accadde solo all’interno del Paese; anche all’estero montò la preoccupazione per un dollaro sempre più debole.

Per riportare la situazione sotto controllo, Roosevelt attuò una politica di gestione dell’oro in tre fasi[7]:

  • tra la primavera e l’estate del 1933 venne dichiarata la sospensione del Gold Standard e, assieme ad essa, anche la possibilità di convertire i dollari in oro e di esportarne all’estero;
  • nell’ottobre del 1933 cominciò la seconda fase, con il Gold Purchase Plan, che aveva come obiettivo quello di aumentare i prezzi attraverso l’autorizzazione all’acquisto di oro a prezzi più alti da parte della RFC, aumentando il valore dell’oro e diminuendo quello dei dollari;
  • con la terza e ultima fase si cominciò a ristabilire la normalità: il Gold Reserve Act del gennaio del 1934 ristabiliva infatti il gold standard e i legami finanziari tra gli Stati Uniti e il resto del mondo.

Infine, vennero attuati i due provvedimenti di riforma che avrebbero condizionato il mondo bancario e finanziario degli Stati Uniti per tutto il resto del secolo: il Glass Steagall Act e l’istituzione della SEC (Securities and Exchange Commission). Il primo atto sancì la separazione tra le banche commerciali e le banche d’investimento, per evitare possibili commistioni tra le due attività. Le banche miste ebbero un anno di tempo per decidere se intraprendere la strada commerciale oppure quella dell’investimento. Questa divisione aiutò il sistema bancario a restare sano. A questo provvedimento ne venne affiancato un altro che istituiva la Federal Deposit Insurance Corporation, società federale di garanzia sui depositi bancari[8]. La SEC venne creata appositamente per regolamentare l’universo finanziario e per porre un freno a Wall Street, attraverso una commissione che avrebbe vigilato sulle transazioni garantendone la trasparenza. Tutti questi interventi riuscirono a migliorare la concezione che si aveva del sistema bancario e a ristabilire progressivamente la tanto agognata fiducia, anche se questo fu reso possibile attraverso un iniziale e notevole isolamento economico degli Stati Uniti, chiaramente in contrasto con i primi processi di globalizzazione che avevano preso il via prima della depressione.

Luca di San Carlo per Policlic.it


Fonti Bibliografiche

[1] J.K. Galbraith, Storia dell’economia, BUR Rizzoli, Milano 2016, pp. 223-4.

[2] Ivi, p. 227.

[3] V. Zamagni, Perché l’Europa ha cambiato il mondo. Una storia economica, Il Mulino, Bologna 2015, p. 205.

[4] Ivi, p. 208.

[5] Le dodici banche della riserva federale, la cui giurisdizione ricadeva nei rispettivi distretti, erano: Boston, New York, Philadelphia, Cleveland, Richmond, Atlanta, Chicago, St. Louis, Minneapolis, Kansas City, Dallas, San Francisco. Si veda S. Kollen Ghizoni, Reserve Bank Organization Committee Announces Selection of Reserve Bank Cities and District Boundaries, in federalreservehistory.org, novembre 2013.

[6] M. Gou, G. Richardson, A. Komai & D. Park, Banking Acts of 1932, in federalreservehistory.org, novembre 2013.

[7] Ibidem.

[8] K.K. Patel,  Il New Deal, una storia globale, Einaudi, Torino 2018, p. 72.

 

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