Derive estremistiche in tempi di pandemia

Derive estremistiche in tempi di pandemia

Come la COVID-19 acuisce il radicalismo ideologico

La libertà di scelta terapeutica: l’aumento delle tensioni sociali e il successo di “no mask” e “no vax”

Nell’ultimo anno il dibattito pubblico è stato inevitabilmente polarizzato dalla diffusione della COVID-19 e dai suoi effetti dal punto di vista sanitario, economico, sociale e politico. Di fronte a un evento tanto drammatico quanto pervasivo, l’Italia si è ritrovata a dover fare i conti con nuove tensioni sociali sfociate, in alcune occasioni, in veri e propri e scontri.

Il caso più estremo è rappresentato dai tafferugli verificatisi tra gli imprenditori attivi nei settori sottoposti a chiusura, come quello della ristorazione, e le autorità governative rappresentate dai corpi di polizia. Da questo punto di vista, gli scontri tra forze dell’ordine e ristoratori, avvenuti durante le manifestazioni tenutesi in piazza Montecitorio[1] lo scorso aprile, hanno fotografato in maniera plastica le spaccature sociali sorte in poco più di dodici mesi tra diverse frange della popolazione italiana – e destinate a perdurare, con buone probabilità, ancora per molto tempo.

Fortunatamente, il bilancio degli scontri si è rivelato piuttosto esiguo (un ferito e sette arresti). Ciononostante, quanto accaduto ad aprile sotto la sede del governo simboleggia un preoccupante innalzamento del livello di tensione tra i vari strati della società italiana.

Sebbene le divergenze tra differenti gruppi sociali possano essere considerate alla stregua di un fenomeno endogeno nelle logiche tipiche degli Stati liberali – specie in un momento di forti stravolgimenti socioeconomici come quello determinato dalla pandemia – la diffusione della COVID-19 sembrerebbe aver accresciuto in maniera generalizzata il radicalismo di determinate posizioni ideologiche.

A questo proposito, basterebbe pensare a quanto avvenuto lo scorso autunno in occasione della seconda ondata pandemica. Dopo il lockdown generalizzato di marzo-maggio 2020 e un’estate di relativa normalità, gli effetti psicosociali determinati dalla pandemia sono emersi in tutto il loro estremismo quando migliaia di persone in tutta Europa – ma il discorso potrebbe essere ampliato anche agli Stati Uniti – si sono riversate nelle strade delle maggiori città europee per manifestare contro quella che, dal punto di vista dei partecipanti, era una vera e propria “dittatura sanitaria[2]”.

In particolare, ad attirare l’attenzione dei cronisti sono stati i cosiddetti “no mask”, vale a dire quel raggruppamento di persone che rifiuta l’obbligo di indossare le mascherine anti-contagio. Secondo i seguaci di questa filosofia, le mascherine non porterebbero alcun beneficio nella strategia di contrasto alla COVID-19 e, anzi, rischierebbero di determinare, nel lungo periodo, gravi problemi di salute, quali il cancro[3].

A muovere le teorie di dubbia validità scientifica dei “no mask”, in realtà, vi sarebbero evidenti motivazioni di carattere ideologico come, per esempio, quelle che hanno a che fare con la libertà di scelta terapeutica. Non a caso, la manifestazione andata in scena a Roma il 10 ottobre 2020 è stata intitolata “Marcia per la liberazione”, nel tentativo di porre l’accento sull’“uso politico liberticida e terroristico che il potere, cioè il governo, fa del COVID. Un potere che fa leva sulla paura dei cittadini per meglio addomesticarli e soggiogarli”[4].

Quello che a una prima analisi superficiale potrebbe sembrare un movimento disordinato e mosso unicamente da impulsi paranoici, in realtà rappresenta l’acme di un fenomeno molto più vasto, che trova origine nell’estremizzazione del pensiero liberale in atto da tempo in tutto l’Occidente, e che ha interessato numerose frange della popolazione atlantica. Una sorta di anarchismo liberale che ha innalzato l’individuo a unica forza propulsiva della società, determinando un netto rifiuto verso tutto ciò che è in grado di limitare il raggio d’azione del singolo cittadino.  

Naturalmente, una prospettiva filosofica di questo genere non può che determinare una diffidenza nei confronti di tutte quelle decisioni imposte all’individuo da una qualsiasi autorità – sia essa di natura politica, economica o sanitaria. In tal modo, il lockdown e l’obbligo di indossare mascherine anti-contagio finiscono per essere percepiti come strumenti volti a limitare deliberatamente il dissenso popolare e, di conseguenza, le libertà del singolo individuo. Si finisce quindi per sfociare in interpretazioni della realtà dai forti tratti paranoici, in linea con le più celebri teorie del complotto. Una condizione aggravata, per di più, dalla complessità intrinseca delle dinamiche che regolano le pandemie.  

Direttamente assimilabile ai “no mask” è la corrente dell’antivaccinismo. Tanto vicini che, con la diffusione del nuovo coronavirus, gli appartenenti alle due correnti di pensiero hanno iniziato ad apparire perfettamente sovrapponibili. Le file dei “no mask”, infatti, sono state accresciute da persone che si ritenevano contrarie ai vaccini ben prima della pandemia di COVID-19.

In sostanza, i “no vax” si oppongono alla somministrazione dei vaccini, mossi dalla convinzione che questi possano recare gravi danni alla salute. Negli ultimi anni, alcuni di essi sono arrivati a ipotizzare correlazioni tra l’uso dei vaccini e l’autismo, trovando sostegno anche in personalità di enorme peso politico quali Donald Trump. Nel 2017, pur affermando di essere favorevole ai vaccini, l’ex Presidente degli Stati Uniti aveva fatto intendere di trovare plausibile la correlazione tra la somministrazione dei vaccini in età infantile e lo sviluppo dell’autismo[5].

Tralasciando gli effetti negativi che un’affermazione del genere possa aver determinato per le politiche sanitarie globali – come il record di 456 casi di morbillo registrato nell’aprile 2019, negli USA, dopo un calo nelle vaccinazioni[6] – quel che più fa riflettere non è tanto il legame esistente tra “no vax” e COVID-19, quanto quello relativo al pericoloso intreccio tra crisi economica, antivaccinismo e derive estremiste.

Quella da COVID-19 non è di certo la prima pandemia della storia ad aver avuto conseguenze devastanti per l’economia globale e la fiducia sociale. Guardando al passato, emerge infatti un legame pressoché indissolubile tra crisi sanitarie e crisi economiche. Nel Trecento, la peste nera contribuì a diffondere uno dei peggiori shock economici della storia. A titolo esemplificativo, basti pensare a come, nella Repubblica di Siena, l’alto numero di decessi costrinse le autorità a sospendere i lavori di ampliamento della cattedrale di Santa Maria Assunta, a causa dell’alto numero di decessi tra i lavoratori manuali[7].

Ma le crisi economiche sono inclini ad avere come effetto anche la radicalizzazione delle fasce della popolazione più colpite dalla recessione. La disoccupazione dilagante e il malcontento diffuso tendono a generare l’aumento dell’intransigenza ideologica da parte delle vittime della crisi economica. Emblematico, a questo proposito, è il caso della Repubblica di Weimar, la cui popolazione, piegata dallo shock economico delle sanzioni di guerra imposte alla Germania, finì per consegnare le redini del governo nelle mani del Partito Nazionalsocialista di Adolf Hitler[8]

Più in generale, l’insoddisfazione, la rabbia e il malcontento generati dalle crisi economiche tendono ad accrescere il rifiuto dei valori e dei costumi promossi dalle istituzioni di uno Stato, giudicate colpevoli o corresponsabili del generale peggioramento delle condizioni di vita dei cittadini. Di conseguenza, tutte quelle iniziative politiche, economiche, culturali e sanitarie promosse a livello statale finiscono per essere ripudiate dalle fasce sociali più periferiche. Progressivamente l’intolleranza religiosa, così come lo scetticismo scientifico, iniziano a diffondersi nella popolazione.

In una società fortemente provata da malattia, decessi e disoccupazione, quindi, la sfiducia tende a trovare sfogo nella radicalizzazione: che si tratti di razzismo o antivaccinismo, la rabbia e la frustrazione possono condurre le persone più vulnerabili ad adottare comportamenti e teorie caratterizzate da grande aggressività. Motivo per cui, durante le pandemie, la sfiducia nei confronti della medicina e la colpevolizzazione di determinati gruppi etnici sono pratiche che possono insinuarsi facilmente all’interno di ampie fasce sociali.  

A questo proposito, un caso molto interessante è rappresentato dall’epidemia di colera che colpì la Germania nell’Ottocento. In questo contesto, l’arrivo del virus fu accompagnato da un’ondata antisemita che fece degli ebrei le principali vittime dell’odio e della paura. Allo stesso tempo, però, l’emergenza sanitaria che colpì la società tedesca fu caratterizzata da una forte sfiducia nei confronti della campagna vaccinale. La rabbia sociale finì per esplodere ad Amburgo, quando i luoghi dedicati alle vaccinazioni presero a essere tappezzati di volantini antiebraici, a dimostrazione di quanto la paura e l’insicurezza economica possano determinare campagne di diffamazione nei confronti di persone o delle pratiche mediche[9].

A ben vedere, ciò che sta avvenendo oggi con la pandemia di COVID-19 non è poi troppo dissimile rispetto a quanto accaduto in Germania durante l’epidemia di colera. Basti pensare ai tanti episodi di sinofobia verificatesi nelle fasi embrionali della pandemia. A gennaio 2020, Lala Hu, docente di marketing all’Università Cattolica di Milano, segnalò su Twitter di essere stata vittima di vessazioni verbali da parte di due cittadini italiani, mentre si trovava su un treno Frecciarossa. Per non parlare, poi, dell’aggressione fisica e verbale subita da due turisti cinesi in viaggio a Venezia da parte di un gruppo di giovani italiani. Senza tralasciare, ovviamente, il gran numero di fake news a sfondo razzista circolate a livello globale sui social network e dirette alla comunità cinese[10].

Tornando all’antivaccinismo, ancora più interessante risulta la parabola involutiva dell’immagine del personale medico-sanitario agli occhi dell’opinione pubblica. Se nelle prime fasi della pandemia medici e infermieri erano stati acclamati come eroi nazionali, con la cronicizzazione della pandemia e l’introduzione dei vaccini anti-COVID-19, il personale medico-sanitario ha finito per diventare il bersaglio prediletto dell’odio dei “no vax”[11].

Il caso più eclatante riguarda la giovane Claudia Alivernini dello Spallanzani di Roma, prima infermiera italiana a ricevere una dose di siero anti-COVID-19. Dopo l’esposizione mediatica riservatagli da giornali e televisioni, l’infermiera è stata insultata sui social network, al punto da essere costretta a chiudere i propri profili[12]. La notizia è stata successivamente smentita dalla famiglia della ragazza[13], ma l’evento è utile per capire quanto un fenomeno drammatico come una pandemia possa innalzare il livello di tensione mediatica.


Lo scontro tra “aperturisti” e “rigoristi”

In ogni caso, è bene specificare come la radicalizzazione di determinate posizioni ideologiche non riguardi esclusivamente episodi eclatanti come quelli che hanno visto protagonisti i vari “no mask” e “no vax”. Anzi, da questo punto di vista, lo scontro politico consumatosi nei palazzi del potere tra “aperturisti” e “rigoristi” fornisce un’ulteriore chiave di lettura del fenomeno e rimarca il binomio pandemia-radicalizzazione[14].

Di fatto, escludendo i mesi di marzo e aprile 2020, l’intero corso della pandemia di COVID-19 è stato scandito dallo scontro tra quelli che la stampa ha finito per soprannominare “aperturisti”, vale a dire coloro che ritengono le misure per ridurre il contagio troppo restrittive, e “rigoristi”, quanti hanno adottato un atteggiamento più cauto[15].

Fin dall’inizio, a rendere interessante la contrapposizione tra queste due fazioni è stata la tendenza alla politicizzazione dello scontro. Infatti, una scelta di competenza scientifica come quella riguardante la distensione delle misure anti-contagio ha ben presto iniziato a essere sottoposta alla valutazione delle principali forze politiche in campo. Ne è scaturita una vera e propria strumentalizzazione del dibattito a fini propagandistici che ha visto protagonisti, in estrema sintesi, le forze di centrosinistra e di centrodestra; le prime al governo, le seconde all’opposizione.

Da questo punto di vista, la partita delle riaperture ha decretato la riemersione dei tradizionali tratti ideologici che in passato avevano caratterizzato le due fazioni. Il centrosinistra, rappresentato dal Movimento 5 Stelle, il Partito Democratico e le compagini minori della galassia progressista, ha fatto valere la storica vocazione interventista della sinistra scandendo il ritmo economico del Paese a suon di chiusure e riaperture. I vari decreti che si sono succeduti dal febbraio 2020 hanno provocato la chiusura o l’apertura di specifici settori economici, condizionando, di conseguenza, la ripartizione delle risorse economico-finanziarie.

Il centrodestra, costruito attorno a Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia, si è invece servito del tema dell’allentamento delle misure restrittive per rimarcare l’importanza dell’iniziativa economica individuale nella promozione dello sviluppo sociale; un tema molto caro, soprattutto, a Forza Italia e Lega, i due partiti del centrodestra più favorevoli a una gestione dell’economia in chiave liberista – nonostante la difficoltà di Matteo Salvini nel trovare un punto di incontro tra culto dello Stato sovranista e misure tipicamente liberiste come la flat tax.

Inevitabilmente, la frattura venutasi a creare nei palazzi del governo è destinata ad avere pesanti ripercussioni sulla coesione sociale del Paese. Da questo punto di vista, è probabile che gli imprenditori e i lavoratori dei settori sottoposti a chiusura, in futuro, prenderanno la decisione di passare tra le fila di Lega e Fratelli d’Italia, i partiti dimostratisi più critici nei confronti delle forze di governo e più vicini agli interessi dei lavoratori meno qualificati. Gli elettori di centrosinistra, invece, potrebbero continuare a ridursi sempre più al nucleo elettorale liberal-progressista dei grandi centri urbani. In mezzo, invece, si troverà un Movimento 5 Stelle vittima delle proprie incongruenze strutturali, uscito del tutto ridimensionato dalla pandemia e lacerato dalla rivalità interna tra l’ala governista e quella populista.

Di certo, qualunque sarà nei prossimi anni la struttura dell’elettorato italiano, è possibile affermare che la pandemia abbia avuto effetti rovinosi anche per il dibattito politico. Le grandi tematiche emerse in un anno di emergenza sanitaria, come le conseguenze del taglio della spesa pubblica per sanità e istruzione, l’aumento delle diseguaglianze o l’arretratezza delle infrastrutture digitali, sono state ridotte a uno scontro tra forze politiche ancorate alle sole logiche di sopravvivenza elettorale.

I partiti in causa hanno finito per alimentare un dibattito sterile che non ha apportato nessuna soluzione rilevante al dramma sanitario, economico e occupazionale vissuto dall’Italia in oltre un anno di pandemia. Emblematicamente, la formazione del governo di unità nazionale guidato dall’ex Presidente della BCE Mario Draghi rappresenta il fallimento della politica di fronte al dilagare della pandemia. Un atteggiamento che rischia di fomentare ancora di più i tanti contrasti emersi all’interno della società italiana durante l’emergenza sanitaria.



L’erosione della fiducia sociale: come le pandemie contribuiscono ad aumentare il disagio popolare

Uno studio condotto sugli effetti socioeconomici dell’influenza spagnola permette di comprendere quanto le pandemie influiscano negativamente sulla coesione sociale. Secondo i ricercatori dell’Università Bocconi e della Barcelona Graduate School of Economics, l’influenza che tra il 1918 e il 1920 causò il decesso di circa 50 milioni di persone (su una popolazione mondiale di 2 miliardi) avrebbe generato, nel lungo periodo, un aumento generalizzato della sfiducia sociale. Analizzando i dati della Spagnola, il team di ricercatori ha elaborato uno studio volto a individuare una correlazione fra la mortalità nei diversi Paesi e le conseguenze economico-sociali della pandemia, focalizzandosi sugli immigrati europei giunti negli Stati Uniti, dopo aver vissuto in prima persona l’emergenza sanitaria[16].

Partendo dalla teoria dell’ereditarietà dei tratti culturali, lo studio analizza le informazioni sui discendenti di coloro che hanno vissuto la pandemia di influenza spagnola, utilizzando i dati del “General Social Survey” (GSS), sondaggio rappresentativo della popolazione degli Stati Uniti. Grazie a questi dati, i ricercatori sono riusciti a risalire “al livello di fiducia sociale dei discendenti diretti dei migranti negli Stati Uniti”[17] e sono stati in grado di “fornire una stima della fiducia sociale per ogni Paese di origine, prima e dopo la diffusione dell’influenza spagnola”[18].

Per ogni nazione di provenienza, i ricercatori hanno confrontato i livelli di fiducia sociale per i due periodi, riuscendo a individuare una correlazione tra sfiducia e tassi di mortalità legati alla pandemia. I risultati della ricerca hanno infatti sottolineato che “un aumento della mortalità per influenza […] ha comportato una diminuzione della fiducia di 1,4 punti percentuali”, stabilendo così un nesso causale tra decessi causati dalla pandemia e sfiducia sociale. In breve, negli eredi dei migranti europei provenienti da nazioni con un tasso di mortalità più elevato si sono registrati livelli di scetticismo e insoddisfazione sociali più alti.

Lo studio permette di capire quanto un evento drammatico come la pandemia possa determinare problematiche di natura sociale anche nel lungo periodo. Che si tratti di sfiducia o di insicurezza, le emergenze sanitarie sembrano determinare forti traumi nelle società e favorire, al contempo, l’emersione di derive estremiste. Nel 1918 l’influenza spagnola aprì una delle stagioni più buie della storia dell’umanità: nel 1929 il crollo della borsa di Wall Street ebbe effetti devastanti su una società già provata da una guerra mondiale e da una pandemia capace di ridurre l’aspettativa di vita di circa dieci anni, mentre a inizio anni Trenta, l’Europa trascinò il mondo intero nel più devastante conflitto armato della storia dell’umanità.

Trovare una correlazione diretta tra l’emersione dei totalitarismi e la pandemia di influenza spagnola è certamente una forzatura. Tuttavia, non è poi così assurdo sostenere che l’emergenza sanitaria del 1918-1920 abbia contribuito ad aumentare il disagio socioeconomico che ha condotto all’avvento del nazifascismo e all’esasperazione delle pulsioni xenofobe di un’ampia porzione della società.

In questo senso, la pandemia di influenza spagnola può essere interpretata come un monito da non sottovalutare: le grandi crisi globali favoriscono il proliferare di ideologie e modelli comportamentali estremisti che, se non adeguatamente gestiti, possono sfociare in pericolose derive oltranziste. Da questo punto di vista, i precedenti storici sono innumerevoli; spetterà alla politica, come sempre, trovare una strategia per evitare la reiterazione degli errori del passato.

Alessandro Lugli per www.policlic.it


Note e riferimenti bibliografici

[1] G. Di Santo, Alta tensione a Montecitorio tra Polizia e ristoratori, Un agente ferito, sette persone fermate, in “ANSA”, 6 aprile 2021, consultato in data 22 maggio 2021.

[2] D. Gandini, No mask in piazza contro restrizioni e mascherine. Manifestazioni a Varsavia, Londra e Roma, in “Euronews”, 10 ottobre 2020, consultato in data 22 maggio 2021.

[3] D. Puente, Coronavirus. La propaganda contro le mascherine parlando di cancro e giovani morti in Cina, in “Open”, 27 maggio 2020, consultato in data 22 maggio 2021.

[4] “Il Fatto Quotidiano”, Il 10 ottobre la “Marcia della liberazione” a Roma: “Governo fa uso terroristico del Covid”. Da Montesano alla Cunial, ecco chi ci sarà, in “Il Fatto Quotidiano”, 7 ottobre 2020, consultato in data 22 maggio 2021.

[5] “Il Fatto Quotidiano”, Trump nomina Kennedy in commissione vaccini: sostenitore delle tesi che li collegano all’autismo, in “Il Fatto Quotidiano”, 11 gennaio 2017, consultato in data 22 maggio 2021.

[6] R. Viola, Epidemia di morbillo a New York, è emergenza sanitaria, in “Wired”, 10 aprile 2019, consultato in data 22 maggio 2021.

[7] The Editors of Encyclopaedia Britannica, voce Black Death, in “Encyclopaedia Britannica”, consultato in data 7 giugno 2021.

[8] E. Grazzini, Disoccupazione e austerità portano al nazismo. Oggi come ieri, in “Il Fatto Quotidiano”, 15 novembre 2018, consultato in data 7 giugno 2021.

[9] “Gariwo”, Antivaccinismo e antisemitismo sono legati da sempre, in “Gariwo”, 5 maggio 2021, consultato in data 22 maggio 2021.

[10] A. Foderi, Come il coronavirus sta alimentando il razzismo contro i cinesi, in “Wired”, 29 gennaio 2020, consultato in data 23 maggio 2021.

[11] “Il Mattino”, Covid, i medici eroi della prima ondata sommersi da una valanga di denunce penali, in “Il Mattino”, 30 ottobre 2020, consultato in data 8 giugno 2021.

[12] “Rai News”, Claudia Alivernini, prima vaccinata in Italia, minacciata sui social: ‘Ora vediamo quando muori’, in “Rai News”, 29 dicembre 2020, consultato in data 23 maggio 2021.

[13] “TgCom24”, Vaccino, Claudia Alivernini smentisce le minacce di morte sui social, in “TgCom24”, 4 gennaio 2021, consultato in data 10 gennaio 2021. 

[14] G. Pappalardo, L’emblematica disputa tra rigoristi ed aperturisti, in “TUTTI Europa ventitrenta”, 20 maggio 2021, consultato in data 10 giugno 2021.

[15] P. Salvatori, Covid: governo nuovo, vecchie polemiche, in “Huffington Post”, 10 marzo 2021, consultato in data 8 giugno 2021.

[16] A. Aassve et al., Epidemics and Trust: The Case of the Spanish Flu, in “IGIER UniBocconi”, Working Paper n. 661, marzo 2020.

[17] F. Venturi, Dopo il virus sarà da sconfiggere la sfiducia sociale, dice uno studio, in “Agi”, 3 aprile 2020, consultato in data 23 maggio 2021.

[18] F. Venturi, Ibidem.

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