L’influenza dell’industria dei combustibili fossili sulle politiche australiane contro il cambiamento climatico

L’influenza dell’industria dei combustibili fossili sulle politiche australiane contro il cambiamento climatico

Il gigante delle esportazioni di carbone si confronta con le esigenze del pianeta e sembra fallire

Secondo il Climate Change Performance Index 2023, strumento indipendente di monitoraggio dell’azione contro il cambiamento climatico di 59 Paesi, l’Australia non sta facendo abbastanza per tenere bassi i livelli di emissione e far sì che la temperatura del pianeta non superi gli 1.5°C entro il 2030. I primi tre posti della classifica sono vuoti, nessuno degli Stati ha fatto il massimo che avrebbe potuto per il bene del pianeta. L’Australia occupa il 55° posto in classifica. Rispetto alla scorsa edizione ha guadagnato quattro posti, ma rimane tra i Paesi con una very low performance. La pagella ecologica del Paese è da ultimi della classe. [1]

Quali sono le fonti di emissione dei gas serra australiani? Nel National Greenhouse and Energy Reporting (2021-2022) del governo australiano, il 46.2% del totale delle emissioni di gas serra proviene dalla produzione di elettricità. Questa viene generata per il 62% dall’impiego di carbone, per il 25.7% da energie rinnovabili e per il 12.3% da gas. La seconda fonte di emissioni sono le miniere (30.3%); seguono la produzione industriale (15.4%), i trasporti (4.7%) ed altre fonti (3.4%).[2] L’Australia ha, tra i paesi sviluppati, uno dei maggiori tassi di dipendenza della propria economia dal carbone, di cui rappresenta il terzo Paese esportatore a livello mondiale.

In questo articolo saranno evidenziate le ragioni storico-politiche dell’inefficienza delle azioni del Paese contro il cambiamento climatico. Analizzeremo quali sono state nel tempo le risposte dei governi a tale minaccia globale e quali sono gli interessi che rallentano il processo per un’Australia green, dal Protocollo di Kyoto ai giorni nostri.


L’Australia a Kyoto: la crescita economica non si arresta per il cambiamento climatico

Nel Dicembre 1997 ha luogo la COP3 a Kyoto[3], la prima riunione delle parti della Convenzione quadro dell’ONU sui cambiamneti climatici. Durante l’incontro si sarebbero dovute prendere decisioni effettive attraverso l’individuazione dei target, cioè percentuali che rappresentano la diminuzione delle emissioni di gas serra cui gli Stati, Australia compresa, si devono (o dovrebbero) adeguare. Negli anni `90, il PIL australiano cresce esponenzialmente, nel 1993 si assiste ad una crescita del quasi 4% rispetto all’anno precedente[4]; nessuno, compreso il governo, vuole  rinunciare a questa crescita, soprattutto le grandi imprese che basano la loro ricchezza sull’estrazione e l’utilizzo dei combustibili fossili. Il carbone, seguito da altri minerali quali l’oro, rappresenta il primo prodotto di esportazione per il Paese.

Il governo chiede all’Australian Bureau of Agricultural and Resource Economics (ABARE) di stimare, attraverso il modello economico MEGABARE, la perdita  dell’economia australiana in seguito al taglio delle emissioni di gas serra.[5] L’obiettivo è quello di provare che il taglio delle emissioni equivarrebbe ad una forte perdita economica. I risultati della ricerca sono a favore della tesi del governo, ma in seguito verrà reso noto che le lobby dei combustibili fossili hanno donato 50.000 AUD ai fini della ricerca e che i risultati non erano corretti.[6] Gli interessi economici di quella che da ora in poi verrà chiamata greenhouse mafia vengono assecondati nel COP3. L’Australia è l’unico Paese sviluppato a cui viene concesso di aumentare le emissioni dell’8%[7]. Comunque, il protocollo di Kyoto non viene ratificato dal Paese.

“Miniera di carbone in Australia Occidentale” (Calistemon/WikiCommons, licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International), link: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Premier_coal_mine,_Collie,_April_2022_15.jpg

“Miniera di carbone in Australia Occidentale” (Calistemon/WikiCommons, licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International), link: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Premier_coal_mine,_Collie,_April_2022_15.jpg


Quasi due decenni di inazione

Fino al 2007 nessuna policy viene implementata per diminuire le emissioni di gas serra. L’utilizzo e la produzione di combustibili fossili aumentano, a favore di una economia australiana sempre più forte. Con la vittoria del nuovo primo ministro laburista Kevin Rudd (2007-2010), le carte in gioco sembrano cambiare. Il leader laburista, con l’obiettivo di far uscire l’Australia dal capitolo nero dell’ecologia, ratifica il protocollo di Kyoto, anche se non mancano i tentativi di sabotaggio della ferrea opposizione del partito liberale.[8]

La prossima mossa del primo ministro sarà quella che passerà alla storia come “Rudd Bill”, una tassa del 40% sui mega profitti delle compagnie minerarie come Rio Tinto , BHB e Woodside. Il principio di base è quello di dover ripagare tutti i cittadini australiani per i profitti fatti su delle risorse del territorio.[9] Le campagne pubblicitarie contro la super-tassa, finanziate dalle associazioni di categoria delle compagnie minerarie, e l’opposizione del partito liberale hanno  l’obiettivo di sabotare l’impresa di Rudd, influenzando l’opinione pubblica. Rudd si dimette nel 2010. Tony Abbott, leader del partito liberale, in seguito alla vittoria delle elezioni nel 2013, abroga la legge sulla supertassa. La greenhouse mafia riesce ancora una volta a salvaguardare i propri interessi.[10]

Nel 2015 l’Australia prende parte all’Accordo di Parigi, unendosi alle altre nazioni nello sforzo di mantenere la temperatura globale inferiore ai 1.5 °C. Molti hanno giudicato come minimo l’obiettivo di ridurre le emissioni in un range tra il 26 e il 28% entro il 2030 rispetto ai livelli del 2005.[11] Alcune delle politiche implementate per raggiungere tale obiettivo sono quelle di: investire denaro pubblico in fonti di energia rinnovabile, incentivare aziende e privati all’utilizzo di queste nuove fonti di energia e ad investire in esse (”Climate Solutions Package” – 5.5 miliardi AUD), certificare in maniera ufficiale le imprese ad impatto zero (”Climate Active”) ed altre iniziative, consultabili nella “National Determined Contribution” (NDC – documento che testimonia l’impegno di una nazione per la riduzione delle emissioni) aggiornata al 2020.[12] Una delle politiche attuate dal governo di Abbott nel 2016 per il raggiungimento degli obiettivi di Parigi è il “Safegueard Mechanism”, attraverso il quale si impongono limiti di emissione di CO2 ad aziende con alti tassi di inquinamento. Il problema è che i limiti imposti sono molto più alti rispetto ai livelli di emissioni di colossi industriali, come Rio Tinto, Santos, Chevron ed altri tra i 215 soggetti a tale meccanismo di controllo e che insieme causano il 30% delle emissioni nazionali.[13]

Nel 2019 il primo ministro Scott Morrison decide che l’Australia non contribuirá al Green Climate Fund. Dal 2015, l’Australia ha donato 187 milioni di dollari al fondo che finanzia progetti nei Paesi in via di sviluppo, al fine di promuovere tecnologie per la riduzione delle emissioni e l’aumento della resilienza agli impatti del cambiamento climatico.[14]


La Greenhouse mafia

Tra le compagnie dei combustibili fossili, quasi un terzo non ha pagato alcuna imposta sul reddito in Australia nel periodo 2020-2021, compresa più della metà delle principali società minerarie, energetiche e idriche del Paese. Nel 2021 Chevron ha pagato 30 dollari di imposte sul reddito. Santos e Woodside hanno avuto la meglio, pagando 0 dollari.[15]

I giganti dei combustibili fossili si riuniscono in associazioni di categoria che difendono avidamente i loro interessi, la reputazione delle imprese e dei loro membri. Grandi compagnie, come Santos e Woodside, spendono milioni all’anno per finanziare tali associazioni e promuovere attività politiche e di lobbying, finanziano partiti politici, creano campagne in televisione o sui social media, influenzano decisioni di parlamentari. Nel caso riportato precedentemente della “Rudd Bill”, il Minerals Council of Australia (associazione delle compagnie minerarie) ha speso $17.2 milioni solo in campagne televisive contro la riforma fiscale.[16] La reputazione delle stesse compagnie viene protetta attraverso il finanziamento di squadre ed eventi sportivi, campagne di sensibilizzazione, infrastrutture, ecc.[17]

L’arricchimento e la crescita delle compagnie dei combustibili fossili non sembra ridurre i ritmi. L’Australia ha in cantiere 116 nuovi progetti per l’estrazione di carbone, petrolio e gas. Se tutti procedessero come previsto, verrebbero rilasciati nell’atmosfera 1,4 miliardi di tonnellate di gas serra in più all’anno.[18]


Climate Bill 2022

Nell’estate 2022, dopo la sua vittoria, Anthony Albanese (Partito Laburista) emana il “Climate Bill”, strumento di legge attraverso il quale il target prefissato nel 2015 a Parigi viene modificato. L’Australia diminuirà del 43% le emissioni entro il 2030 e raggiungerà il cosiddetto net zero (0% di emissioni di gas serra) entro il 2050.[19] Come raggiungere i nuovi obiettivi? Nel NDC 2022, oltre a prevedere maggiori fondi per le politiche sopraelencate del NDC 2020, le nuove strategie consistono nel creare la “National Electrical Vehicle Strategy” , che ha come fine l’incentivo all’utilizzo di veicoli elettrici, coadiuvato dallo stanziamento di nuovi investimenti pubblici indirizzati a tecnologie per la decarbonizzazione e per le energie rinnovabili, e  dalla prevista diminuzione dei limiti di emissioni per i grandi polluter, attesa dal “Safeguard Mechanism”.[20]

Organizzazioni ambientaliste ed il Green Party criticano le decisioni del nuovo governo, dicendo che, se pur avanzate rispetto ai governi precedenti, le politiche non limitano la costruzione di nuove fonti di emissione di gas serra, come miniere e gasdotti, o, in generale, non pongono barriere ad iniziative economiche che prevedono l’impiego di combustibili fossili. Il primo ministro ha risposto che imporre tali limiti sarebbe troppo dannoso per l’economia.[21]

I maggiori investimenti pubblici ed aiuti alle imprese, al fine di utilizzare energie rinnovabili, sembrano aver avuto successo almeno in parte. Incentivare l’uso di nuove fonti di energia, come quella solare, ha avuto come conseguenza la diminuzione dei profitti delle grandi industrie estrattrici di carbone, il quale rimane la principale fonte di produzione di elettricità nel Paese. Origin Energy ha chiesto l’approvazione per chiudere la più grande centrale elettrica a carbone dell’Australia con sette anni di anticipo. Rio Tinto ha venduto alcune delle sue miniere di carbone ed è improbabile che ne approvi di nuove, mentre BHP si è impegnata a uscire e ha un obiettivo di riduzione delle emissioni di gas serra del 30% per il 2030. Quattro grandi banche si sono impegnate pubblicamente a smettere di finanziare il carbone entro il 2030 o il 2035, anche se i critici sostengono che si investono ancora miliardi in combustibili fossili come il gas.[22]

Resta il problema che l’Australia sia produttrice del 7% delle esportazioni mondiali di combustibili fossili, il terzo Paese esportatore dopo Russia ed Arabia Saudita. Organizzazioni ambientaliste sostengono che la continua estrazione di combustibili fossili non permetterebbe il raggiungimento del taglio delle emissioni del 43% entro il 2030, e che tali esportazioni sono un fattore significativo delle emissioni globali. Inoltre, non è ancora stata presa in considerazione l’idea di imporre una tassa sugli extraprofitti delle imprese derivanti dall’uso e dall’estrazione dei combustibili fossili, una tassa che dovrebbe seguire l’esempio della “Rudd Bill”, ma che sicuramente incontrerebbe l’opposizione agguerrita delle grandi lobby, che hanno molto potere al livello decisionale del governo.[23]

“Impianto solare presso il CSIRO Energy Centre, Nuovo Galles del Sud” (CSIRO/WikiCommons, licenza: Creative Commons Attribution 3.0 Unported), link: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:CSIRO_ScienceImage_2141_Solar_Array_at_the_CSIRO_Energy_Centre.jpg

“Impianto solare presso il CSIRO Energy Centre, Nuovo Galles del Sud” (CSIRO/WikiCommons, licenza: Creative Commons Attribution 3.0 Unported), link: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:CSIRO_ScienceImage_2141_Solar_Array_at_the_CSIRO_Energy_Centre.jpg


Conclusione

Guardando al Climate Change Performance Index 2023, i cui risultati sono riportati all’inizio dell’articolo, risulta chiaro che il Paese ancora non sta facendo abbastanza con le sue politiche ambientali. Comunque, sembra che qualcosa stia cambiando e che, se pur un piccolo passo in avanti, il Climate Bill è una delle policies contro il cambiamento climatico più significative implementate in Australia da almeno due decenni, se non da sempre.

Non è da sottovalutare la crescita di interesse nei confronti del tema da parte dell’opinione pubblica. Ormai quasi tutti gli australiani conoscono gli effetti del cambiamento climatico sul loro Paese; hanno visto incendi, inondazioni e innalzamenti della temperatura influire sulla loro quotidianità, e le promesse di azione contro il cambiamento climatico da parte dei candidati influisce sul voto di una fetta sempre maggiore di elettorato.[24] Molte sono le iniziative di sensibilizzazione al tema portate avanti da gruppi di cittadini ed associazioni, il loro impatto sull’opinione pubblica è evidente. D’altro canto, una parte della popolazione è  ancora scettica riguardo l’esistenza del fenomeno, e considera irrilevante l’apporto delle emissioni australiane sul totale di quelle globali. D’altronde l’economia australiana è sempre dipesa dai combustibili fossili e molti non vedono la profittabilità nel cambiare rotta verso un’economia green.


[1] Germanwatch/New Climate Institute & Climate Action Network, Climate Change Performance Index Results 2023,.

[2] National Greenhouse and Energy Reporting (2021-2022) , Australian Government Clean Energy Regulator, link: https://www.cleanenergyregulator.gov.au/NGER/National%20greenhouse%20and%20energy%20reporting%20data/Data-highlights/2021-22-published-data-highlights (ultima consultazione: 03/04/2023).

[3] La “Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici” (UNFCCC – United Nations Framework Convention on Climate Change) è entrata in vigore nel 1994 e tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite ne fanno parte, compresa l’Australia. La Convenzione stabilisce le linee guida generali per trovare soluzioni all’impatto dell’uomo sul cambiamento climatico. COP è l’acronimo per Conference of Parties (Conferenza delle Parti), nome dato alle  riunioni degli Stati parti della UNFCCC.

[4] Australian GDP Growth Rate (1961-2023), link: https://www.macrotrends.net/countries/AUS/australia/gdp-growth-rate (Ultima consultazione: 04/04/2023).

[5] The framework convention on climate change and the Kyoto Protocol, Parliament of Australia, link: https://www.aph.gov.au/Parliamentary_Business/Committees/Senate/Environment_and_Communications/Completed%20inquiries/1999-02/gobalwarm/report/c03 (Ultima consultazione: 04/04/2023).

[6] Ibidem.

[7] Come scappatoia al taglio delle emissioni, la strategia utilizzata dal ministro Robert Hill, che verrà accolto come un eroe al suo ritorno da Kyoto, è quella di includere nel Protocollo la cosidetta Australian Clause (art. 3 comma 7), in cui viene riconosciuto il taglio delle emissioni avvenuto in passato, dovuto alla riduzione del land-clearing (taglio degli alberi ai fini agricoli), come bonus da cui partire per la decisione del target di partenza. Nel Paese si è assistito ad una riduzione delle emissioni dovuta al land-clearing dal 1990 al 1997.

Fonte: C. Hamilton, Australia hit its Kyoto target, but it was more a three-inch put than a hole in one, The Conversation, 16 luglio 2015. Per consultare il “Protocollo di Kyoto”: https://unfccc.int/cop3/.

[8] A. Porritt, Rudd signs Kyoto ratification document, in Australian Broadcasting Corporation, 2 dicembre 2007.

[9]N. Zakharia, Rudd doubles down on defunct mining super profits tax, in Australian Mining, 23 aprile 2021.

[10] Rudd stands firm on tax as miners step un fight, in The Sydney Morning Herald, 5 maggio 2010.

[11] UNFCCC, Australia’s Intended Nationally Determined Contribution to a new Climate Change Agreement, agosto 2015, link:  https://www4.unfccc.int/sites/submissions/INDC/Published%20Documents/Australia/1/Australias%20Intended%20Nationally%20Determined%20Contribution%20to%20a%20new%20Climate%20Change%20Agreement%20-%20August%202015.pdf.

[12] Australia’s Nationally Determined Contribution, Communication 2020 del Governo Australiano, link: https://unfccc.int/sites/default/files/NDC/2022-06/Australia%20NDC%20recommunication%20FINAL.PDF.

[13] Climate Council, Safeguard mechanism decision explainer, 27 marzo 2023, link:

https://www.climatecouncil.org.au/resources/safeguard-mechanism-decision-explainer/.

[14] K. Mathisen, Australia stops payment to Green Climate Fund, in Climate Home News, 2 aprile 2019.

[15] C. Knaus, Almost a third of Australia’s large companies pay no income tax, in The Guardian, 3 novembre 2022.

[16] C. Downie, Industry lobby groups are out in force against Labor’s enetgy cap plan – doing the dirty work of fossil fuel giants, in The Guardian, 14 dicembre 2022.

[17] Ibidem.

[18]D. Pateman, Australia’s116 new coal, oil and gas projects equate to 215 new coal power stations, in The Conversation, 21 marzo 2023.

[19]J. Evans,  Australia’s Paris Agreement commitment lifted to 43 per cent emissions reduction by 2030, in Australian Broadcasting Corporation, 16 giugno 2022.

[20] UNFCCC, Australian National Determined Contribution, Comunicazione del 2022 del Governo Australiano, link: https://unfccc.int/sites/default/files/NDC/2022-06/Australias%20NDC%20June%202022%20Update%20%283%29.pdf.

[21]A. Gunia, Australia’s New Climate Bill is Promising. But the fight over Ambitious action is only just starting, Time, 9 agosto 2022.

[22]N. Khadem, Labor, Greens look set to push businesses to adopt tougher emission targets, in Australian Broadcasting Corporation, 24 maggio 2022.

[23]R. Denniss, Anthony Albanese’s latest plan to subsidise foreign coal and gas companies is just absurd, in The Guardian, 14 dicembre 2022.

[24]  8 in 10 Australians are concerned about climate change with a clear public expectation of Government action, in Ipsos, 20 aprile 2022, link:

https://www.ipsos.com/en-au/8-10-australians-are-concerned-about-climate-change.

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