Perché si parla di “governo diviso”?

Perché si parla di “governo diviso”?

Cause e conseguenze politiche nei Paesi presidenziali

L’8 novembre scorso, si sono svolte negli Stati Uniti le cosidette elezioni di “midterm”[1]; gli elettori, infatti, sono stati chiamati alle urne per esprimere la loro preferenza per il rinnovo delle camere del Congresso. Tramite le elezioni di metà mandato, sono stati rinnovati i 435 membri della Camera e 33 membri su 100 del Senato. Gli equilibri precedenti, di conseguenza, hanno subìto un cambiamento: i Democratici del Presidente Biden hanno perso nella Camera, non riuscendo a ottenere la maggioranza assoluta di 218 seggi. Nel Senato, invece, hanno mantenuto la maggioranza, con la vittoria decisiva di Catherine Cortez Masto in Nevada, grazie alla quale hanno guadagnato il 50° seggio. Con il 50% dei voti, infatti, i Democratici hanno comunque la maggioranza, in quanto sarà chiamata a votare la Vicepresidente Kamala Harris. Il Presidente democratico dovrà quindi necessariamente collaborare con i repubblicani, per far sì che il suo programma di governo venga approvato anche in Parlamento, soprattutto nella Camera.

Negli Stati Uniti ci sono differenze nella composizione di Camera e Senato. La Camera dei rappresentanti si compone di 435 membri, eletti ogni due anni in proporzione alla popolazione di ogni Stato. Maggiori sono gli abitanti di uno Stato, maggiori saranno i deputati eletti in rappresentanza di quest’ultimo. Il Senato, invece, è formato da 100 membri. Ogni Stato, indipendentemente dalla grandezza, elegge due senatori che rimangono in carica per sei anni. Ogni due anni si rinnova un terzo dei senatori in concomitanza con il rinnovo totale della Camera. Con quest’ultime elezioni, si è quindi venuto a creare un “divided government”, tipico degli Stati Uniti e di altri Paesi presidenziali.


Il governo diviso

“I voted” (Element5 digitale/Unsplash, licenza Unsplash), link: https://unsplash.com/photos/ls8Kc0P9hAA.

Accade frequentemente che, con le elezioni di midterm, si venga a formare governo diviso. Nei Paesi presidenziali, infatti, il potere esecutivo è rappresentato dal Presidente, che si configura come Capo di Stato e Capo di governo. Il potere legislativo è esercitato dal Parlamento, senza alcun rapporto di fiducia con il Presidente, in quanto quest’ultimo svolge il suo mandato indipendentemente dall’organo legislativo.[2] A differenza dei sistemi parlamentari, dove il Capo di governo è necessariamente espressione della maggioranza in parlamento, nei sistemi presidenziali non c’è alcun vincolo. Infatti, in alcuni momenti del mandato presidenziale, il partito del presidente può non avere la maggioranza in parlamento. Il governo diviso rappresenta quella situazione in cui il partito del Presidente non dispone della maggioranza in almeno una delle due camere del legislativo.[3] Il concetto di governo diviso ha però varie sfumature e risulta difficile dare una definizione precisa al termine.

È utile distinguere due usi separati di questo concetto: il primo si basa su una definizione aritmetica, il secondo deriva da una interpretazione comportamentale. Nella prima accezione, il governo diviso si riferisce all’assenza di maggioranze simultanee dello stesso partito nei rami dell’esecutivo e del legislativo. Considerando, invece, la nozione comportamentale di governo diviso, quest’ultimo può verificarsi anche in caso di governi aritmeticamente unitari[4]. Può accadere che il comportamento dei membri dell’esecutivo e del legislativo sia, infatti, conflittuale, nonostante appartengano alla stessa maggioranza. In questo caso, come nel governo diviso inteso in senso aritmetico, il Presidente è comunque costretto a contrattare e scendere a compromessi con i membri del Parlamento al fine di trovare accordi per portare a compimento il suo programma.[5]

Entrambe le accezioni di governo diviso, sia quella comportamentale che quella aritmetica, trovano la loro applicazione in ordinamenti diversi da quelli presidenziali. Infatti, il governo diviso si può verificare anche nei sistemi semipresidenziali dove il Primo ministro, espressione di una maggioranza parlamentare, appartiene a un partito opposto al partito del Presidente. La situazione in questione è comunemente chiamata “coabitazione[6]” ed è assimilabile al governo diviso dei Paesi presidenziali. Nei sistemi parlamentari si può verificare il governo diviso, inteso in senso comportamentale, con i governi di coalizione, dove partiti appartenenti alla stessa coalizione hanno richieste ideologicamente distanti che provocano “divisione” nel governo. Anche i governi di minoranza[7] sono in pratica governi divisi in quanto, anche per loro, non è prevista una maggioranza parlamentare a sostegno dell’esecutivo, e ogni volta devono contrattare per l’approvazione degli atti che ritengono opportuni.[8] Il governo diviso, negli Stati Uniti, rappresenta però un caso quasi unico nel suo genere, in quanto a competere regolarmente alle elezioni sono sempre due o massimo tre partiti. Di conseguenza, se un partito non dispone della maggioranza in Parlamento, sicuramente l’altro sì. In altri Paesi presidenziali in cui è presente una grande frammentazione partitica, questa relazione non è poi così ovvia.


Il governo diviso in America Latina

Quasi tutti i Paesi appartenenti al sud America hanno un sistema di tipo presidenziale con differenze sostanziali in seno all’organo legislativo e nelle istituzioni. Tra questi emerge il caso del Brasile. Sono recenti le elezioni presidenziali del Brasile, che hanno visto la vittoria del candidato del Partito dei lavoratori, Luiz Inácio Lula da Silva. In Brasile vi è un livello di multipartitismo estremo, per cui il partito del Presidente ha quasi sempre in parlamento una percentuale irrisoria. Con le ultime elezioni, ad esempio, il partito dei lavoratori ha appena 69 seggi sui 513 dell’intera Camera dei deputati.

Il neoeletto Presidente Lula dovrà quindi creare una coalizione post-elettorale per garantirsi una maggioranza in Parlamento in grado di portare avanti il suo programma. Il presidenzialismo brasiliano è stato spesso definito come “Presidenzialismo di coalizione”, in quanto non porta mai a un governo diviso, come nel caso degli Stati Uniti, ma genera delle coalizioni provvisorie sovradimensionate a sostegno del Presidente. I continui negoziati tra i partiti di maggioranza e opposizione generano spesso compromessi, decisioni particolaristiche, scandali e corruzione.[9]

Altri Paesi dell’America latina hanno sperimentato il fenomeno del governo diviso solo recentemente. Un esempio di questi è rappresentato dal Messico. Il Messico, a livello istituzionale, è molto simile agli Stati Uniti. Il presidente, eletto per un mandato di sei anni e non rieleggibile, funge da capo del ramo esecutivo, da capo dello Stato e da comandante in capo delle forze armate. Il Congresso bicamerale è composto da una Camera dei Deputati di 500 membri, con mandato triennale e da un Senato di 128 membri, eletti con un mandato di sei anni. In Messico, il governo diviso a livello nazionale è arrivato dopo le elezioni del Congresso federale del 1997. Fino al 1988, ci si trovava di fronte a un caso di iperpresidenzialismo, in quanto il partito del Presidente godeva di maggioranze qualificate in entrambe le camere del legislativo, consentendo a quest’ultimo di attuare con facilità anche riforme costituzionali. Il partito egemone fino agli inizi degli anni ’90 era il Partido Revolucionario Institucional (PRI), che fin dalla sua fondazione aveva sempre vinto sia alle elezioni presidenziali che in quelle legislative. [10] Con le elezioni del 2000, per la prima volta è stato eletto un Presidente esponente di un altro partito, il Partito Azione Nazionale. Il PAN però non ha ottenuto la maggioranza al Senato e si è venuto a creare quindi un governo diviso.

In Ecuador, infine, il governo diviso rappresenta la norma. Il parlamento dell’Ecuador è monocamerale, quindi, all’esecutivo basterebbe ottenere la maggioranza in quell’unica camera per evitare la formazione di governo diviso. Nel periodo successivo all’emanazione della Costituzione del 1978, però, nessun partito ha ottenuto la maggioranza assoluta nell’organo legislativo. Probabilmente, a influire maggiormente è stato il livello molto alto di multipartitismo, che ha consentito a più partiti di essere rappresentati in Parlamento con percentuali irrisorie.[11]


Cause del governo diviso

Il governo diviso è un fenomeno complesso che non è spiegabile considerando singole cause. Si può però provare a individuarne di due tipi: comportamentali e strutturali[12].

Tra le cause comportamentali emergono quelle derivanti dal comportamento dei singoli elettori. Quest’ultimi potrebbero scegliere razionalmente il governo diviso, votando per le elezioni presidenziali un partito, e per le elezioni legislative un altro. Spesso accade che un elettore che non si senta rappresentato da due partiti estremisti presenti nell’arco parlamentare, tenda a votare entrambi (uno alle presidenziali e uno alle legislative), per bilanciare e moderare il loro comportamento. Al tempo stesso, l’elettore, in uno Stato federale, può scegliere di votare nel Parlamento per l’elezione di una personalità di spicco che possa meglio rappresentare i bisogni del proprio territorio, indipendentemente dal partito che essa rappresenta, e poi votare alle presidenziali per il partito che ha tradizionalmente sostenuto.

Altre cause, invece, dipendono dalle istituzioni, dalle leggi vigenti e dalla struttura normativa. Il sistema elettorale per l’elezione del Presidente può influire sulla formazione di governi divisi. Altri aspetti fondamentali riguardano il numero di partiti che competono regolarmente per le elezioni, i limiti al mandato presidenziale e la durata del mandato. Con un livello alto di multipartitismo, potrebbe esserci una maggiore rappresentatività dei partiti all’interno delle istituzioni che comporterebbe maggiore possibilità di governi divisi. Infatti, più sono i partiti rappresentati in parlamento, più questi avranno difficoltà a raggiungere la maggioranza assoluta dei seggi.

Anche il limite al mandato presidenziale può influire positivamente o negativamente sulla formazione di governi divisi. Un Presidente che non può essere mai rieletto perde facilmente il senso di responsabilità nei confronti dei suoi elettori, che in ogni caso non potrebbero votarlo di nuovo. È probabile, quindi, che in delle ipotetiche elezioni di midterm gli elettori siano maggiormente invogliati a eleggere in Parlamento l’alternativa proposta al Presidente in carica. Al tempo stesso, è opportuno considerare la durata dei mandati del legislativo e dell’esecutivo. Se questi due organi sono eletti per gli stessi anni, hanno quindi il medesimo mandato, ed è più complicato che si venga a creare un governo diviso, poiché gli elettori sono chiamati a esprimere due preferenze nello stesso momento. Nel sistema semipresidenziale francese, infatti, grazie alla riforma del 2000[13], che ha armonizzato il mandato del Presidente con quello della legislatura, la coabitazione non si è più verificata[14].


Conseguenze del governo diviso

Uno scatto fotografico sulle elezioni generali statunitensi del 2020 (Clay Banks/Unsplash, licenza Unsplash), link: https://unsplash.com/photos/BY-R0UNRE7w.

Uno Stato in cui è presente un governo diviso è spesso additato come uno Stato non efficiente. Il Presidente, infatti, per portare a compimento il suo programma, dovrà di volta in volta negoziare con i componenti del Parlamento, senza avere mai la certezza che un provvedimento venga approvato. Similmente a quanto accade in un governo di minoranza di tipo parlamentare, la maggioranza per l’approvazione delle leggi va di volta in volta ricercata tra i membri del Parlamento. Ciò potrebbe comportare uno stallo per la produzione legislativa, in quanto nessuno degli attori presenti sarebbe disposto a fare un passo indietro.

Per risolvere la situazione, Presidente e membri del Parlamento possono scegliere di contrattare l’uno con l’altro e trovare soluzioni di mezzo per possibili divergenze. Non è dunque detto che un governo diviso sia meno produttivo di un governo unitario. Anzi, questa continua negoziazione potrebbe portare a soluzioni migliori, che contemplino le esigenze di una platea più ampia di elettori, rappresentati contemporaneamente sia dal partito del Presidente che dal partito di maggioranza parlamentare. In Europa, molte democrazie semipresidenziali e presidenziali hanno sperimentato il fenomeno del governo diviso, senza tuttavia compromettere l’efficienza delle istituzioni. Ne sono un esempio Paesi come l’Irlanda o la Finlandia, comunemente reputati come ottime democrazie, nonostante la presenza di governi divisi sia così frequente.


[1] Le elezioni di midterm sono elezioni legislative che si svolgono trascorsi due anni dall’elezione presidenziale e hanno lo scopo di rinnovare tutti i seggi della Camera e 1/3 dei seggi del Senato.

[2] G. Sartori, Ingegneria costituzionale comparata, Il Mulino, Bologna 1995, pp. 98-99.

[3] R. Elgie, Divided government in comparative prospective, ‎Oxford University Press, Oxford 2002, p. 12.

[4] Il governo unitario è un governo in cui il partito del Presidente controlla entrambe le camere del Parlamento.

[5] R. Elgie, Divided government in comparative prospective, pp. 2-10.

[6] La coabitazione dipende dalla struttura duale dell’esecutivo dei sistemi semipresidenziali, che prevede sia un Presidente eletto che un Primo ministro espressione della maggioranza in Parlamento (G. Sartori, Ingegneria costituzionale comparata, Il Mulino, Bologna 1995, p. 136).

[7] Nelle democrazie parlamentari, un governo è definito di minoranza se non può contare su una maggioranza assoluta, bensì relativa, dovuta alle astensioni di alcuni deputati o senatori al momento del voto (Cosa significa “governo di minoranza” e quando si è verificato in passato, in “QuiFinanza”, 21/09/22, link: https://quifinanza.it/info-utili/video/governo-minoranza-conte/452358/, ultima consultazione 04/12/22).

[8] R. Elgie, Divided government in comparative prospective, pp. 7-9.

[9] S. Vassallo, Sistemi politici comparati, Il Mulino, Bologna 2016, p. 354.

[10] R. Elgie, Divided government in comparative prospective, pp. 63-69.

[11] R. Elgie, Divided government in comparative prospective, pp. 47-49.

[12] Ivi, pp. 15-16.

[13] Il 7 giugno 2000, il Consiglio dei ministri francese ha approvato un disegno di legge costituzionale che ha ridotto la durata del mandato presidenziale da sette a cinque anni. Per ulteriori approfondimenti si rimanda alla voce “Présentation générale du référendum du 24 septembre 2000 sur le quinquennat” pubblicata dal Conseil Consitutionnel francese e presente negli archivi digitali di “Wayback Machine – Internet Archive” (02/05/2008, link: https://web.archive.org/web/20080502030857/http://www.conseil-constitutionnel.fr/dossier/referendum/2000/presse.htm, ultima consultazione 16/12/2022).

[14] ISPI, Come funziona il presidenzialismo alla francese, 21/04/22, link: https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/come-funziona-il-presidenzialismo-francese-17098 (ultima consultazione 16/12/22).

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